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Qui i giocatori di The Miracle lasciano imprese, poesie, narrare eventi e grandi avventure avvenute e in svolgimento su Ardania. Linguaggio strettamente ruolistico.

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By Nawal al Sabah
#57505
Non sono mai voluta stare all'Oasi.
Chissà quando l'ho dimenticato?!
Da ragazzi, nella Harais, ridevamo delle finezze della vita dentro le mura, trovavamo ridicole certe comodità e certi vizi, pensavamo fosse cosa per gente con poco Vigore, meno Parsimonia e nessun cactus di senso.
Quante risate al pensare un figlio della città santa a districarsi tra i problemi di una vita nomade, con un bello sputo di lama da lavare da una tunica di seta, aah!
Con mia sorella Labwa ibn Kmal, dopo la liberazione, avevamo pensato di stabilirci sul Raya per un periodo, ma poi no, porca siccità, troppi vincoli, troppe catene.
E ce le siamo fatte mettere d'oro, poi; lei più di me.
Così eccomi qui, a considerare se le tende sono abbastanza blu o aguardar le ha troppo stinte per tenerle ancora; se non è il caso di aumentare il prezzo dei narghilè al Bordello; se sto uscendo con la giusta quantità di gioielli per non fare sembrare la mia Tenda povera, ma nemmeno volgare.
Non sono mai voluta stare all'Oasi.
Poi mi sono dimenticata...
Sarà che all'inizio mia sorella ne aveva bisogno, per un periodo, per studiare il Maat; forse perché mio zio mi mostrava affetto e fiducia; che da tanto tempo non avevo nessuno a parte Labwa e dopo tutto all'Oasi lavoravo poco e guadagnavo bene.
Poi c'era stato quello là, che per un attimo mi fece credere di essere come loro. Tutti attori, per non pagare, eh?
Non sono mai voluta stare all'Oasi.
Ho iniziato a ricordarmelo, ad andare tra le dune, a tornare solo poco tempo, girare Ardahan senza una meta, per perdermi e ritrovarmi, perché Akkron ama i curiosi, no?!
Però avevo giurato, quindi tornavo sempre, come il buon lama torna alla Harais anche senza cavaliere. E poi oh, anche senza aver giurato al Risoluto, comunque ero figlia di Akkron, ben prima che di mio padre.
Tornavo alla città santa e finivo sempre per restare un po'di più, finché non mi trovai di nuovo sedentaria. Una sedentaria. Una Tremecciana.
Non sono mai voluta stare all'Oasi.
Eppure vuoi per distrazione, vuoi perché forse credevo che avrei avuto una famiglia, che mi sarei abituata, sono rimasta qui. E ho fatto le cose che fanno i tremecciani, ho preso una casa più grande, ho messo un paio di cugini a vendere per me, ho preso il bordello in gestione, ho provato a tenere lo stesso uomo per un po', c'ero quasi riuscita.
Ma non è servito a nulla, dentro di me c'è una nomade stanca di troppe cose; di star ferma ad aspettare, della falsa cortesia urbana, degli intrallazzi del bazaar dell'anima, di questi segreti sotto un velo di sabbia che troppe volte il Kamshin ha disperso con le sue illusioni, che poi sono le mie, oh!
Non sono mai voluta stare all'Oasi.
Ora che me ne sono ricordata, torno con la Harais della zia Rabbuqa, che in questa stagione è da qualche parte nella Sarissa e sicuro ha voglia di canzoni nuove per le donne, trucchi di Maat per i bambini, e capelli rossi con esperienza per giovanotti esuberanti. Questa sono: una danzatrice del Maat, una Sahima da Bordello, una cantrice del Kamshin; e per quelli come noi con le nostre facce da schiaffi, c'è sempre una tazza di stufato della zia Rabbuqa, uno dei peggiori del Sahra.
A un Assid questo serve, la pancia piena e le stelle disordinate solo a prima vista.
Punto a nord, nord-ovest il muso del mio lama, le sue orecchie dritte sono una fionda che mi lancia a casa, mi volto a vedere le dune che si mettono veloci tra me e le cupole e sorrido: se la caveranno una stagione senza una vecchia odalisca!
Dietro mi lascio tutto e solo una canzone sguaiata mi rincorre ancora un po', prima di perdersi nel Sahr'akbar, come me.
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By Nawal al Sabah
#58423
Mbeyrika, col cucchiaio di legno, stava frugando da un giro di clessidra nel suo piatto in cerca di un pezzo di qualcosa, qualsiasi cosa, che fosse più grande di un granello di sabbia e che non fosse completamente sputlito. Aveva un'aria davvero avvilita.
"Akkron è grande, ma non può fare anche questo per noi, - sospirò - devi andare tu"
Yashet, che aveva lasciato perdere la cena e stava accostando il manico rotto del suo liuto alla cassa, sussurrando "an xar...xar ylem...vas des xar" con aria concentrata e nessun risultato, sollevò lo sguardo, notando sua cugina di 5° grado fissarla.
"Andare io...a fare cosa?"
"A sederti su un cactus!!" - sbottò Mbeyrika - "All'Oasi, con la zia Rabbuqa, a farle fare una dentiera"
In un angolo della tenda, infagottata in svariate pelli di lama, la zia Rabbuqa russó brevemente piú forte, come a rispondere al suo nome.
"E basta con la dentiera delle mie dune, cucina tu se hai da ridire" la rimbrottò Saray.
"Io faccio frecce. Frecce, imbecille!" Precisò piccata Mbeyrika
"Non dire imbecille a mia sorella" le gridò Elghalia, col suo cucchiaio già carico, pronto a scattare come una catapulta.
Elghalia tesseva tappeti e quindi non aveva un gran mira, ma tutte nella tenda delle donne dovettero comunque schivare la poltiglia che avevano per cena, l'unica cosa che ormai cucinasse la zia Rabbuqa, avendo perso il suo terzultimo dente il mese passato, perché la sbobba tendeva a spandersi come fiato di drago.
"Merda nella barba di Gurion!" Strillò Yashet "Vedete perché voglio stare nella tenda degli uomini?! Siete un nido di vipere"
"Seh, te ci vuoi stare, ma sono altri i serpenti che ti motivano" la rimbeccò Atissah, la più anziana, con un sorriso storto per la cicatrice della brutta coltellata che si era presa nella guerra.
Tutte risero; era normale qualche buona zuffa in una tenda di donne Assid, ma non duravano mai.
"E va bene, se vogliamo tornare a mangiare come adulti sani, zia Rabbuqa deve avere una dentiera, perché lei non cucinerà due piatti diversi al giorno e voi non me la farete ammazzare..." Concesse Yashet.
"Poi dice a noi vipere, 'sta ofidiana..." ghignava Saray, che intanto tirava in faccia a Elghalia una pezza per pulire il disastro di zuppa.
"...solo non ho capito perché dovrei accompagnarla io, come se fosse solo mia zia, oh...mandiamoci un uomo, scusate!" Concluse la cantrice, tornando a cercare di riparare il liuto.
"Perché te sei nei registri"
"Seh, un uomo che fa una cosa bene..."
"Conosci gente"
"... e sai come farti fare gli sconti, schifosa" risposero le altre in un coro scomposto.
"Ecco lì, una bella botta di schifosa e subito mi viene voglia di compiacervi, oh!"
"Dai, così ti fai riparare il liuto, che vogliamo musica e te si vede che non ce la puoi fare, insomma, ci son manici che non rispondono nemmeno al tuo maat!"

Yashet sospirò lentamente e teatralmente.
Non le piaceva l'idea di tornare all'Oasi, ma le sue cugine avevano una carovana di buone ragioni ed erano giorni ormai che la opprimevano con gli stessi discorsi.
E poi c'era la cucina della zia Rabbuqa...se prima faceva schifo solo il sapore, ora anche la consistenza faceva venire voglia di andare a mangiare vomito di sciacallo.
Mentre pensava che dopo tutto... un paio di giorni... giusto per mettere i denti su un bel porco "alla Kodjo" con la crosta croccante...già Atissah stava sgomitando Mbeyrika, indicandole l'espressione sognante della cugina.

Sgattaiolò fuori dalla tenda di Kabdiel già pronta, senza svegliarlo; non aveva voglia di sgridarlo ancora perché si faceva sentimentale, difetto comune negli amanti troppo giovani. Prima del suo ritorno, se Akkron voleva, si sarebbe scordato di lei, sperava vivamente, anche se non pensava di stare via a lungo.
La zia era quasi pronta, era già a metà della lista delle lamentele del mattino, una specie di Faradh degli anziani, che menzionava i 4 Pilastri dell'età: schiena dura, ginocchia gonfie, vecchie ossa e cicatrici ancestrali.
Quando ebbe finito di lamentarsi, si fece aiutare a salire sul lama da due vittime scelte a caso, ma con prepotenza, tra i ragazzini che studiavano i loro preparativi dal fuoco principale della Harais, che scamparono ad un'ernia a testa solo perché la quasi totale inutilità della dentatura della zia Rabbuqa aveva invece sì una utilità, la stava facendo dimagrire.
Quindi, cercando di non ridere dei due poveri bambini, anche Yashet montò sul suo lama.
Poi le due donne dai capelli rossi, unico tratto comune, misero i loro lama a passo lento sulla pista invisibile che ti porta dove sei costretto ad andare.
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By Nawal al Sabah
#60392
La guardia della porta sud aveva la fronte imperlata di sudore e se la asciugò con un lembo del turbante, riprendendo fiato.
Dopo la permanenza all'Oasi, la zia Rabbuqa era tornata al suo peso forma - la sfera é una forma, no?! - complice la sua nuova dentiera in avorio e i pasti in locanda da Kodjo, e Yashet aveva dovuto chiedere aiuto al malcapitato per issarla su un lama ancor più malcapitato.
"Punta dritto a sud-ovest, arriverai per cena. Ti accompagnerei zia, ma spero che ti prenda uno scorpione!" La salutò scherzando.
"Quando andrò al Grande Banchetto mi piangerai in una tenda buia!"
"Si zia, piena di uomini nudi!"
"Svergognata!"
La guardia, imbarazzata dallo scambio, evitò lo sguardo di Yashet che rientrava nelle mura, alla quale doveva per altro ancora dei sicli per una questione simile.
"Ed eccomi qua, mi sono distratta un attimo, e sono di nuovo una Tremecciana - pensava avviandosi al Bordello - in una città gremita, ma sola come uno sciacallo."
Più tardi, ormai a chiusura, Kabir le stava dicendo le solite cose sagge che non consolano: "...a parte che hai tutti noi...però anche tu sei troppo intransigente...e poi lo sapevamo che il nostro non era un mestiere col quale invecchiare...dai, vieni da me che mia moglie ha fatto la zuppa di pescetti..."
Mente tornava a casa per la via più lunga, vicino a delle felci si spogliò per entrare nello scuro e freddo Treman'raya, rimanendo un po' ferma, con l'acqua al mento, per calmarsi.
Non riesco a stare a vedere come va tutto a odalische così - rimuginava - mi sembra di stare al capezzale di un moribondo, che se lo volevo fare, facevo il cerusico!
L'immobilità del sultanato e l'accidia dei suoi fratelli erano troppo anche per una scansafatiche come lei, poi dopo essere stata aggredita, si sarebbe aspettata qualcosa di più davvero.
Mentre era ammollo, i suoi pensieri vagarono da Rutu Kumaa alle Terre di Ywul, ad una vecchia vita da lince addomesticata, ma non si può risalire due volte la stessa duna...o si?
Arrabiata con se stessa per quel pensiero malinconico, uscí dall'acqua e si vestí, puntando finalmente verso casa cantando una vecchia canzone:
"Come la lince son io di fatto,
Mi strofino su molte gambe,
Ma di nessuno sono il gatto"

La fulminò l'idea che forse era il momento di farsi un'altra vita: come la lince che ne ha sette, era stata una bambina Assid, una ragazza tra i predoni, una Tremecciana, una Amoniana a singhiozzo...poteva essere una sayyida dove e come le pareva, almeno altre tre o quattro volte!
Conosceva gente dappertutto, sapeva adattarsi e tenersi a galla.
Dormì bene per la prima volta in molto tempo, stringendo una mappa di Ardahan.
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By Nawal al Sabah
#61233
Il fatto che non avesse sentito parlare di pelle verde, braccia aggiuntive, follia o demenza negli utilizzatori abituali degli sprangthotter, o sparaporte, come era più sensato chiamarli secondo lei, la convinse finalmente ad usarne uno per il suo trasferimento.
Comunque la superstizione è solo una prudenza meno noiosa, eh!
Quindi con una sola carovana di lama e il minimo aiuto di alcuni malcapitati, si sistemò e presto si sorprese da sola con serate di studi, pomeriggi di prove di pittura e frequentazioni per bene, come se improvvisamente un Kyodrum potesse essere un beduino normale!
Non si sarebbe mai integrata davvero, ovviamente, non senza giurare Fedeltà al loro Re, non da pagana, non col suo aspetto.
Era chiaro anche da come le veniva chiesto di trottare in giro a fare intrallazzi troppo sudici per un buon bianco. Pazienza, dopo tutto non era niente di nuovo e nemmeno di così importante: questa gente aveva acqua, guardie con tutta l'armatura e mura senza finestre ed erano troppo impegnati a tenersi d'occhio tra loro per poterle dare problemi.
Non avrebbe rifatto l'errore di pensare che avrebbe trovato una famiglia, come quando era arrivata a Tremec.
Si sarebbe goduta le stranezze delle Terre Verdi, le bellezze, le brutture, il cibo insolito e i vestiti coi merletti.
Ascoltando ora il fuoco cantare nel caminetto, con le sue cose finalmente -diversamente- ordinate, si rotolò sul suo nuovo materasso di piume di arpia con la soddisfazione fisica di chi ha imparato ad apprezzare ogni dono dell'Unico perché non è che sta lì a fartene di continuo, oh!
Ha cose più importanti da fare, porca siccità! Cosa poi, mica sono affari che dobbiamo capire noi!

Si alzò come se le fosse scoppiato qualcosa di nanico sotto la schiena, ricordandosi che Garion le aveva portato della torta al cioccolato e si sedette poi a mangiarla davanti alla finestra.
Vedere chi passava per la Via dei Re e mandare a mente con chi, a cavallo di cosa e vestito come, era uno dei suoi nuovi passatempi. D'altronde il Tremano dice che Akkron ama i curiosi!
Era anche curiosa di vedere quanto ci si potesse arricchire in una città come Hammerheim, al Malik Kumaa; dopo tutto servono un sacco di sicli ogni volta che si cambia vita e questa forse non era quella che avrebbe mantenuto.
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By Nawal al Sabah
#61447
Aveva preso i ricordi più cari, i libri, un po' di vestiti, un mazzo di sigari e aveva scritto una carta al Lord Primo, per poi dirigersi verso lo Sparaporte.
Poi era tornata trafelata a prendere tutto il materiale per dipingere i quadri magici, ridendo di cosa avrebbe pensato di lei Garion se si fosse dimenticata!
Poi era corsa all'Oasi.
E niente, oh, anche stavolta diventerò ricca un'altra volta!
Non poteva fare la follia che aveva in mente senza parlarne con il suo Capotenda, che si, era un bastardo Kyodrum quanto lei, però oh! La cosa era grossa!
Ma siamo lama pazzi dopo tutto, dovrebbe capire...credo!
Non aveva idea che sarebbe finita come segretaria della Cerchia dei Visir e sua vicina di casa, ma le apparenze van salvate, porca siccità!

Non si può risalire due volte la stessa duna, dice un proverbio derviscio. Ogni giorno il Kamshin soffia sul Sahra'kbar e ne cambia il profilo, creando un mondo nuovo di nuove dune, nuove salite, nuove discese.
Non fa forse lo stesso con noi? Ogni giorno le cose che la vita ci sbatte contro ci cambiano, se non fosse così non impareremmo, non miglioreremmo, non diventeremmo degni del Grande Banchetto.
Però a volte cambia tanto il Sahra, cambiamo tanto noi, che per assurdo siamo di nuovo in cima alla stessa duna.
Mi guardo intorno ancora spaesata: Come sono finita qui? Cosa seguivo?
La verità direi... Mi ero cercata dentro con furia la verità e l'avevo buttata fuori, poi avevo preteso di sapere la verità. E quando abbiamo visto che avevamo due verità uguali, non potevamo che fare questa pazzia.


Il suono lontano di un tamburo arresta il vagare dei suoi pensieri, è notte e più vicino si sente il vociare di chi cucina al falò del Riposo del Cacciatore, l'odore di cibo la distoglie dalla meditazione che segue la preghiera della sera, così si alza dall'angolo che Jaren la ha aiutato a orientare per le sue Faradh.
Mio marito ci tiene che mi senta a casa quando mi fermo qui...marito...che parola assurda. Usarla le sembra stupido, perché nessuno li aveva sposati, eppure non c'era nessun contratto che nessun Visir potesse redigere che li avrebbe resi, più di così, proprietà uno dell'altra.
Scostando la tenda e uscendo nel mezzo del campo, pensa che l'amore fa fare cose tremendamente insensate, come iniziare ancora un'altra vita da lince del deserto, che ora ha due branchi.
Uno nel Sahra'kbar, e uno nel cuore oscuro e pulsante delle terre degli orchi, dove qualcuno doveva per forza portare un poco di bellezza e un po' d'amore, almeno a giorni alterni!
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By Iruion
#62441
Queste riflessioni vedono la luce lungo un percorso fatto di ricerca, passi falsi, persone giuste e coincidenze fortuite. Molte voci hanno suggerito e ispirato, non sempre in modo consapevole. Tuttavia, tutto ebbe inizio con un acquisto al mercato di Loknar, sul finire dell'estate del 286.
Garion era un uomo di fede. Tutto sommato, lo si poteva effettivamente descrivere come un "vecchio oghmarita insensato": quando qualcosa andava storto, non cedeva alla disperazione, ma piuttosto, con pazienza e ostinazione, si arrovellava per cercare di comprendere il senso degli eventi e cosa potesse trarne.

Negli ultimi mesi, una domanda che si era posto in passato era tornata a occupare i suoi pensieri: il Cuore e la Mente. Era una strada su cui si era ritrovato a camminare di nuovo, senza nemmeno accorgersi di averla imboccata; una questione che aveva quasi dimenticato di essersi posto. Ma, per una serie di eventi, si era trovato a guardarla da un'angolazione diversa, dalla quale tutto appariva più chiaro.

Non era stato un viaggio facile. Era una di quelle volte in cui bisogna smarrirsi per trovare la strada giusta. Tuttavia, credeva di essere arrivato dove voleva giungere.

Eppure, questa faccenda di Yashet... che senso aveva?

Giravano alcune voci: si diceva che il Sultano avesse fatto decapitare una sahima per averlo offeso. Non sembrava una storia molto credibile, eppure da giorni Jaren Lao aveva scritto sulla bacheca di Tremec che non riusciva a trovarla da nessuna parte.

Era davvero così che era finita? Yashet, uccisa per eccesso di sberleffo a scopo di vilipendio sultanale? Dopo tutte le situazioni improbabili da cui era riuscita a uscire? Che senso aveva?

Garion e Yashet erano molto diversi, ma avevano in comune una curiosità vivace. Durante il loro primo incontro avevano tentato di mungere una pecora evocata, scoprendo poi che comunque si trattava di un maschio. Non erano entrati subito in confidenza, ma col tempo Garion aveva imparato ad apprezzare i modi sfacciati di Yashet, dietro cui si nascondevano storie e conoscenze del deserto, raccontate con uno stile poco accademico, ma molto intrigante.

Lui le aveva teso una trappola con la storia delle gemme della previsione: di fatto, stavano svolgendo una ricerca, il che di fatto la rendeva una ricercatrice accademica. Prima o poi gliel'avrebbe detto, anche se sapeva bene che lei avesse già capito tutto da un pezzo. In un certo senso, era rimasto vittima di quella stessa trappola: col tempo aveva imparato ad apprezzare il metodo Kyodrum.

Se viaggiamo solo su strade note, visiteremo solo luoghi già conosciuti. Ed è qua che il metodo Kyodrum giunge provvidenzialmente in nostro soccorso: pare che il nome stesso della tenda nobile di Tremec si possa tradurre come "folle lama senza meta" – l'animale giusto, con lo stato mentale giusto, nel momento giusto.

Da lì, aveva iniziato a riflettere su quanto non fosse sempre vantaggioso procedere con rigorosa razionalità: il Cuore e la Mente non erano opposti, ma complementari. Avrebbe maturato questa consapevolezza più avanti, tra astensioni riconsiderate, discussioni sui vuoti importanti e imprevisti tentativi di autosabotaggio.

Ma ora, se Yashet fosse davvero sparita per sempre, quale sarebbe stato il senso?

Significava che, alla fine, aveva ragione quando aveva scritto che è necessario accettare la solitudine? Che ora avrebbe proprio dovuto abbracciarsi l'effimero e godersi le laute tracce che aveva inevitabilmente lasciato?

...Forse sì.

Forse bisognava essere testimoni delle proprie parole, anche nei momenti in cui era più difficile farlo. Essere lui stesso la prova che quelle parole non erano solo carta imbrattata, ma che avevano un fondamento di verità.

Quindi sì, nel caso, avrebbe onorato quel vuoto. E quelle tracce.

Al di là delle considerazioni sull'apporto di Yashet al metodo di ricerca di Garion, lui la considerava un'amica. Era convinto che, sotto strati di modi discutibili, vie non ortodosse e atteggiamenti talvolta abrasivi, ci fosse del buono autentico. Era una delle poche persone di cui si fidava, una delle poche con cui fumava volentieri un sigaro di khaab, semplicemente per fare due chiacchiere.

Avrebbe voluto altri sigari di khaab. Avrebbe voluto chiamarla "stimata collega" almeno una volta, anche solo per sentirsi prendere in giro.

Non ci si deve affezionare alle linci del deserto, diceva spesso Yashet. Ma purtroppo, non era stato possibile farne a meno.
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By Maeve Adler
#62442
Era una sera come tante altre, una di quelle in cui Maeve si trovava a discutere con Saad a Tremec.
Quel tremecciano era l'essenza stessa dell'arroganza e dell'insopportabilità, ma, ancora una volta, Maeve preferì ignorare le sue assurde pretese e si allontanò per evitare un conflitto.

D'istinto, e come da abitudine, decise di uscire dall'Oasi passando dalla porta Nord, ma prima si fermò al lavatoio per abbeverare la sua cavalcatura.
A Tremec, chi conosce e rispetta le tradizioni sa che il Raya è sacro, l'acqua preziosa, e occorre sempre trovare un equilibrio tra i Pilastri dell'Ospitalità e quello della Parsimonia. Il lavatoio era dunque il luogo ideale per rinfrancare un animale stanco.

Due donne erano lì, intente a lavare e chiacchierare sottovoce.

Hai sentito della sahima decapitata?
Una fine crudele... ma cosa aveva fatto?
Pare abbia osato offendere il Sultano.
Una lingua audace può essere più tagliente di una lama... e altrettanto fatale.

L'otre che Maeve stava riempiendo le scivolò di mano, cadendo a terra. D'un tratto, frammenti di un enigma che l'aveva tormentata per giorni sembrarono combaciare. Il suo sguardo, perso nel vuoto, vagava mentre le due donne la osservavano incuriosite.

Non poteva essere vero.

Yashet? — sussurrò, incredula.

L'otre rotolò lontano sulla sabbia.
Maeve ricordò il loro ultimo incontro, il giorno successivo al famoso torneo. Yashet era venuta a trovarla per metterla in guardia contro chi tramava alle sue spalle. Ancora una volta si era dimostrata un'amica, una sorella.
E poi… quelle lamentele legittime, i messaggi lasciati in bacheca, la visita di Jaren Lao, preoccupato, in cerca di lei.
Il volto di Maeve, dapprima assente, si irrigidì. Le sue labbra si schiusero appena, gli occhi sbarrati.
Un dolore acuto la trafisse, seguito da una rabbia crescente che non riusciva a controllare.
Strinse un pugno, un gesto di disperazione e collera. Avrebbe voluto urlare, ma non lo fece.
Improvvisamente, odiò quel luogo che pure l'aveva accolta quando era in fuga dai Regni Umani. Lo tollerava, ma ora avrebbe voluto distruggerlo, ammazzarli tutti, vedere il Raya tingersi di sangue.


Raccolse l'otre, ignorò le due donne e risalì in sella al suo ostard.

Tornò sui suoi passi fino alla locanda. Darleen Cox era lì, seduta indisturbata. Il suo ignobile barraccone da intrattenimento era ormai smantellato, il deserto tornato sacro e interdetto ai nemici della stirpe nera.
In quell’istante Maeve realizzò che non c’era più nulla per lei in quel luogo. Che perisse pure, in mano a un manipolo di tagliagole o di feddhayn venduti.

L’ostard galoppava come mai prima, portandola lontano dall’Oasi. Quando infine giunsero a Loknar, entrambi erano stremati. Legò l’animale a un paletto, entrò in casa e crollò su una sedia.

Dopo lunghi istanti, si alzò. Il suo sguardo cadde su un volume nella libreria: un libro dalle pagine di papiro pregiato, rilegato in antica pelle dorata, con angoli rinforzati in lamina d’oro.

Lesse il titolo e sorrise. Ricordi piacevoli riaffiorarono, impossibili da trattenere, come un fiume che trova la sua strada tra le rocce e scorre impetuoso verso valle.
In certo modo l'aveva resa donna.

Rivide se stessa: una fanciulla sola, schiva, riservata, estranea ai piaceri della vita.
“Cosciotti d’avorio”, come la chiamava Yashet.
E poi una donna adulta, bellissima, dalla pelle nera come la notte, forte, pazza, determinata, tremecciana, Kyodrum.
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