Zarr Vagor

La porta del fulmine crepita, cancella il suono della tempesta di neve fuori dalla grotta. Ogni pelo che ho sul corpo si mette diritto come avessero chiamato una carica di lance contro il nemico. La pelle prude, la luce accecante mi investe.

Bianco.

Chiudo gli occhi per non rimanerne accecato.

L’abbaglio della porta del fulmine mi lascia delle macchie colorate a disturbarmi la vista che fa l’abitudine alla semi oscurità.

Siamo dall’altra parte.

Faccio un passo fuori dal disco dorato e scendo i gradini di metallo lucido. I quattro grandi corridoi sono illuminati con insufficienza da piccoli globi brillanti che oscillano, sospesi nel vuoto a specchiarsi sulle mura foderate di metallo spesso un palmo. Fasci di tubature si intrecciano come serpenti appena nati tra il pavimento e le pareti, corrono ovunque, avvolti in coperture rigide e scintillanti. Il ronzio diffuso e prepotente del luogo si fa largo nei miei timpani, mi fa vibrare il cranio e il naso come se l’avessi al centro del cervello.

Il capitano Venna si indica gli occhi e allunga l’indice verso l’angolo a novanta gradi del corridoio alla nostra destra. Gerrard alza lo scudo fin sotto il naso e fa roteare il grosso martello, le cui rune mandano un tiepido bagliore azzurrino. Saina gli va dietro, solleva la picca oltre la spalla del compagno, pronta ad infilzare qualunque cosa si muova.

Raccolgo una manciata di polvere sulfurea dalla borsa e una pietra lavica. Mi sputo sul palmo e pronuncio il mantra: la polvere si accende con un bagliore rossastro. La fiamma mi brilla nella mano. Il capitano annuisce. Ci avviamo al seguito della prima linea.

Ci lasciamo dietro una traccia di impronte fangose sul metallo lustro del pavimento. Non una traccia di polvere o di null’altro che possa venire dal nostro mondo.

Il capitano fa cenno di procedere nel corridoio, a passo lento. Affianchiamo una cornice di metallo nero estrusa dal muro. Dietro un vetro spesso, minuscole luci verdi e rosse si alternano, emesse da piccoli cristalli al di sotto dei quali campeggiano dei caratteri nella lingua incomprensibile degli abitanti di questo luogo.

Schiocchi elettrici nell’oscurità.

Venna chiude il pugno. Ci fermiamo.

Un raschiare come di unghie su una lavagna si fa largo nell’oscurità di fronte a noi. Gerrard fa calare la celata dell’elmo sul volto. Saina recita le sue preghiere. Decine di denti acuminati battono nel buio. Il capitano Venna solleva la spada, pronto all’ingaggio.

Arrivano.

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