[KAR] Il ritorno di Murgol, capostipite dei Felekdum.
Nelle profondità senza tempo di Ardania, un’eco sacra si levava: il tempo in cui i Figli di Korg, i Custodi della Montagna, onoravano Dera, Colui che Vigila. Il Signore dei Misteri, Guardiano delle Onde e del Grande Mare, Custode delle Arti Arcane, vegliava su di loro.
Era più di un rituale: era la celebrazione di una fede che intrecciava vivi e morti, tradizione e destino.
Nel 4253° Ciclo Solare, i discepoli di Dera erano aumentati come mai prima.
Gli Antenati, i pilastri del loro popolo, avevano fatto ritorno più volte, portando con sé saggezza e coraggio.
Il Popolo della Montagna sapeva: il passato non era mai davvero passato.
In una notte carica di presagi, Cuorenero si avviò verso il Tempio, il cuore pulsante della spiritualità djaredin.
Non cercava un semplice rito, ma un atto epocale: richiamare lo spirito di un Antenato dell’Era dei Padri Maestri.
Era un’epoca remota, la radice stessa della loro storia, e il nome che Cuorenero intendeva invocare portava con sé il peso della leggenda: Murgol, capostipite dei Felekdum.
La montagna stessa sembrava trattenere il respiro, mentre nani da ogni angolo di Kard Dorgast si riunivano.
Tra di loro serpeggiava un misto di curiosità e timore reverenziale.
Dakkar si eresse davanti alla moltitudine: la sua voce, potente come un martello sul metallo incandescente, risuonò tra le antiche pareti:
“Popolo della Montagna, Figli della Roccia e del Fuoco.
Oggi ci raduniamo nel silenzio e nella riflessione, poiché è giunto il tempo in cui onoriamo colui che Vigila: Dera, il Signore dei Misteri, Guardiano delle Onde e del Grande Mare, Custode delle Arti Arcane.
Da oggi, grandi e piccoli, giusti e ingiusti, volgeranno il pensiero al Grande Mare: quel luogo oltre la vita dove ogni nano, al termine del suo cammino, dovrà intraprendere l’ultimo viaggio.
Dera è colui che ci accompagna e ci osserva.
Egli non è vendetta, non è paura, ma il giudice paziente e imparziale che assegna ad ogni Nano il suo giusto posto.
Riflettete djaredin su ciò che significa il Grande Mare: esso non è punizione né ricompensa, ma il richiamo del nostro stesso cuore.
Come gli anziani ci hanno insegnato: camminare su un ponte è il momento in cui si prova la vera saggezza perché esso è sospeso sul vuoto e solo il coraggioso che guarda con rispetto e ragione può attraversarlo senza timore.
Ed infine ricordate: la notte calerà anche oggi e con essa la nostra preghiera giungerà a Dera.
Non come un lamento, ma come una promessa.
Noi siamo nani, un popolo fiero e saggio.”
Poi tutti assieme e all’unisono, i sacerdoti della Triade:
“Vigila su di noi, Signore dei Misteri, perché la nostra strada è lunga e il Grande Mare vasto.
Solo la nostra memoria e il nostro coraggio ci condurranno al ricongiungimento con la Triade.”
Il cimitero nanico di Kard Dorgast, scelto come teatro di un evento destinato a segnare la storia, fu avvolto da un silenzio carico di ricordi.
Per la prima volta, i più grandi mastri fabbri del regno avrebbero unito le loro abilità per forgiare il Thoran Kor, un’armatura sacra realizzata in mithryl infuso, un metallo che sembrava brillare con la luce degli Antenati stessi.
Il lavoro iniziò sotto gli occhi attenti dei sacerdoti della Triade.
Ogni pezzo dell’armatura era un’opera d’arte, frutto di sudore, fede e maestria.
Dalin, figlio di Tourno, figlio di Drogir, Tyn Barak dell’Armata Djaredin impugnò il martello per primo.
Le braccia del Thoran Kor presero forma sotto i suoi colpi possenti, mentre a turno un sacerdote per ciascun culto della Traide pronunciava antiche benedizioni.
A Kryser, figlio di Krhaull, figlio di Uhrral fu affidata la creazione del corpo.
Il suo lavoro richiese precisione e una dedizione incrollabile.
Thoradin, figlio di Farin, figlio di Thorin plasmò le gambe con maestria, infondendovi la resistenza di un’intera montagna.
Infine, fu il turno di Dakkar, figli di Balin, figlio di Belfur che forgiò la testa, l’elemento finale e più importante.
Intorno a lui, i sacerdoti si riunirono per recitare una formula potente che infranse il silenzio dell’antico cimitero nanico:
“Sotto la volta di roccia insondabile,
Il fabbro martella con forza implacabile.
Benedici quest’elmo con forza immortale,
Che nulla lo pieghi, né mano né male.”
Ogni colpo di martello sembrava risuonare nell’anima di chi osservava, come se i loro cuori battessero all’unisono con il metallo incandescente.
Quando l’armatura fu completa, la tensione nell’aria divenne palpabile.
Dakkar, con una voce colma di potere e speranza, si posizionò al centro del cerchio cerimoniale.
Al suo fianco, Ridork Sguardodighiaccio si unì per rafforzare l’antica preghiera.
“Con la benedizione di Dera il Signore dei Misteri
Io Dakkar Cuorenero richiamo l’antico spirito dall’Era dei Padri Maestri!
Murgol dei Feledkum da un antico e remoto passato, vieni a noi
Ravviva in noi la Fiamma che mai si spense
E aiutaci a combattere i nemici del Regno di Djare!”
La luce delle torce sembrò vacillare, e un silenzio carico di energia avvolse il cimitero.
Poi, come un tuono nella notte, una presenza si fece sentire.
L’armatura prese vita, e una voce profonda e antica risuonò:
“Cerca saggezza
Trova la forza
Oltre la morte
Dal regno nell’ombra
In mano la spada
Nel cuore la roccia
EGLI RITORNA!”
Completato il rituale, Dakkar si rivolse al popolo per l’ultima volta:
“Andate, visitate le catacombe, portate onore ai vostri antenati,
coloro che hanno sollevato i nostri martelli e plasmato il nostro destino.
Ascoltate il silenzio della Grotta dei Re,
dove i grandi sovrani riposano, e non dimenticate mai i torti subiti dal nostro popolo,
perché è nella memoria che risiede la speranza di giustizia.
Ora, recatevi ai vostri doveri. Ricordate e onorate.
Così, il nostro popolo vivrà per sempre, come è scritto nel nostro destino!”