Qui i giocatori di The Miracle lasciano imprese, poesie, narrare eventi e grandi avventure avvenute e in svolgimento su Ardania. Linguaggio strettamente ruolistico.
Non farti cullare dai simboli e dal loro significato,
tieni alta sempre la fiamma!
Che il volere di questa Terra ha per te designato!
Le parole non hanno peso e si perdono nel vento,
quello che rimane sono le orme e cicatrici
e il sangue come nutrimento.
Ma; non sei l'unico che questa Terra vuole calcare
con forza troll e orchi, e discendenti dei Sei padri, lottano!
Ma Essa non ha favoriti, ricorda! Sei tu, che il tuo posto tra essi,
ti devi guadagnare.
Questa è la Terra del Ghiaccio stridente: di neve e sangue si plasma!
Di una lotta antica e furente è la figlia! E tu...il suo discendente.
Il giovane cavallo sbuffava agitato, calpestando la neve sotto di lui.
A pochi metri di distanza una figura ingobbita sembrava non prestargli molta attenzione. Controllando attentamente il terreno.
Alzò appena il suo sguardo, scrutando la macchia di bassi arbusti e alberi coperti di neve.
Il suo respiro era calmo e il suo sguardo, attento e vigile, brillava di una luce famelica e primordiale.
Prese con forza le briglie, montando agilmente in sella. Poi, con un deciso colpo di tacco, spronò il suo cavallo ad avanzare.
Fece pochi metri prima di fermarsi nuovamente, allarmato da un lungo e basso sibilo e il muoversi sinuoso di scaglie color ghiaccio.
Cinque teste si agitavano nell'aria, come rami sospinti da un freddo e leggero vento. Il loro occhi da rettile scrutavano in ogni direzione, cercando avidamente una nuova preda.
Sorrise appena dietro la sua maschera in osso bianco, pregustando già un degno scontro.
Le frecce volavano rapide nell'aria fredda della sera, conficcandosi con forza nelle dure scaglie dell'idra.
La bestia lottava e scivolava veloce sul terreno nevoso; come ghiaccio animato pronto a intrappolare nelle sue spire chi osava sfidarla nella sua terra.
Lo scontro durò a lungo ma anche questa volta il giovane cacciatore riuscì a conquistarsi la sua preda.
Scese da cavallo, dopo essersi accertato che non vi fosse più vita in quell'ammasso immobile di scaglie e sangue.
Posò a terra un piccolo catino che riempì in parte, subito dopo.
La sera avanzava lentamente, allungando le grandi ombre delle montagne e dei picchi della Baronia.
Einar riprese il suo cammino verso est; la sua prossima preda lo attendeva, e a differenza delle Bestie che abitano la Baronia era furba e pericolosa.
Non solo Helcaraxe e i suoi guerrieri abitavano la baronia, cercando di imporre le loro leggi.
Anche il Clan Bergtatt poteva vantare tra le sue file ottimi combattenti, induriti e plasmati dalla durezza di quelle Terre.
Una preda più che degna per il giovane cacciatore, che a differenza di molti nell'isola, non aveva particolari rancori con quel Clan; rispettandone la forza e la tenacia. Forse perché come lui, anche loro cercavano di ritagliarsi un proprio posto nelle terre ghiacciate.
Si spostò poco fuori Hulborg sperando di interecettare un piccolo gruppo di ricognitori.
Odal gli fu propizia perché non dovette faticare molto nel cercare le loro tracce.
Lo scontro fu combattuto. La corazza spessa e la fiamma della Berserkergangr, che alimentava la foga combattiva del suo avversario, resero il combattimento lungo e studiato.
Ma alla fine le frecce del giovane cacciatore ferirono mortalmente il guerriero che si accasciò a terra sanguinando copiosamente.
Einar lo osservò per alcuni attimi, annuendo appena, e omaggiando a suo modo il coraggio e l'abilità dimostrata dal suo avversario.
Poi con fare quasi cerimonioso, prese il piccolo catino e lo riempì del nuovo sangue.
Rimaneva ancora una preda che voleva cacciare, per sancire un patto sentito e profondo con quella Terra.
Arrivò alle alte porte che separano il budello dell'orco con le terre bella Baronia. Imponenete baluardo costruito per impedire agli orchi di compiere razzie nelle fredde terre innevate.
Si guardò attorno per alcuni attimi, tornando con la mente a molti anni fa, quando nei pressi di quella stessa porta lui e suo padre si erano accampati in cerca di riparo dalla tormenta.
Sembrava un ricordo lontano, quasi un miraggio. Ripensare a quei momenti di foga e lotta; quel lungo ululato nella notte ancora lo facevano rabbrividire, ma molti passi aveva compiuto nel suo sentiero da quella tragica sera.
Scivolò come un ombra nel tortuoso e angusto passo chiamato "il budello dell'orco" che collegava le terre degli orchi con il Nord.
Si sbarazzò di alcuni ricognitori, prendendo un po' del loro sangue. Tuttavia vi era una preda con cui desiderava ardentemente confrontarsi.
Cavalieri orcheschi in groppa a grandi lupi neri; lance, zanne e artigli pronti a braccare a ad assalire chiunque osasse mettere piede nel loro territorio.
Uno di loro puntò il giovane cacciatore: iniziando cosi una lotta, molto simile ad un balletto, tra colpi di lancia e pugnali, finte ritirate e inseguimenti nella foresta.
Einar riuscì a disarcionare l'orco concentrando poi i suoi colpi verso il grande lupo nero, che infine cadde a terra privo di vita.
Il guerriero orchesco, vedendosi da solo e ferito, si ritirò verso i suoi compagni poco lontano.
Il giovane cacciatore lo lasciò andare, concentrando la sua attenzione sulla massa nera di sangue e pelliccia.
Raccolse anche il suo sangue, non nascondendo una certa soddisfazione nel conficcare le sue armi nelle carni di quelle creature.
Alzò il suo sguardo poi verso la foresta, ascoltando i grugniti e le voci roche degli orchi che si allarmavano e accendevano per la presenza di un estraneo nella loro terra.
Non fu facile aprirsi la strada tra gli orchi; alcuni di loro poi, sembravano particolarmente furbi cercando di non allontanarsi troppo dai propri compagni, il chè per una specie cosi fortemente legata all'istinto di battaglia suonava strana e nuova per Einar.
Alla fine però, riuscì a raggiungere la preda designata. La allontanò dai suoi compagni e con colpi precisi e letali lo ferì mortalmente.
il guerriero orco infine cadde privo di vita, mentre il suo sangue rosso e denso ricopriva la nuda terra.
Fece un lungo sospiro, rilassando i muscoli tesi per lo scontro.
Il suo percorso stava per terminare; mancava ancora una cosa però da compiere.
La sagoma del frassino bianco si stagliava nella sua mente, ondeggiando appena i suoi rami al vento.
La sua figura lo sovrastava facendolo sentire piccolo e insignificante.
La neve gli cadeva tutt'attorno mentre un freddo vento lo avvolgeva. Ai suoi piedi le radici del sacro albero erano protese come mani, avide di ricevere il dono che gli spettava.
Presto, avrebbe compiuto un'altro importante passo nel suo percorso: che lo avrebbe legato a quella Terra, più di qualsiasi mantello o giuramento.
"Halfdan, del Picco" "Vegurinn til Valhallar"
Michael604/Halfdan#3185
Egli fu: Einar Isvargr, "Neve e Sangue"
Valgard, "Il Figlio dell'Onda" (incompleto)
Daryos, "Un coltello nel buio"
Guardami Jurth!...Guardami Yggdrasil...Guardatemi Dei...
Fratelli e sorelle dei ghiacci!
Il ghiaccio ci ghermisce con la sua morsa, il vento scava la dura roccia,
ululando la sua furia nei fiordi.
La neve rallenta i nostri passi, mentre creature nella notte minacciano la nostra sopravvivenza...
ma noi siamo ancora qui, a lasciare le nostre orme.
Le possenti zampe del purosangue nordico calpestavano il sentiero di terra battuta e neve, che si districava sul fianco delle alte montagne grigie. Una figura appena ricurva sulla sua groppa era avvolta da un pesante mantello in pelliccia.
Con il suo sguardo osservava distrattamente il cielo, che andava sempre più ad oscurarsi.
Piccoli puntini di luce cominciavano a riempire quel mare nero, con la luce di Nùt che però brillava fiocamente.
Il sentiero portava ad alcune grotte. Scavate con tenacia nella dura roccia. Alla fine di quel percorso si trovava il traghetto per l’isola di Helcaraxe.
La nave scivolava sulle acque scure. Le vele erano gonfie per il vento, con le corde che scricchiolavano per la tensione.
Sul vicino parapetto era appoggiato Einar che osservava distrattamente i contorni scuri dell’isola davanti a lui.
Le forme spigolose le donavano una forma sgraziata, puntellata qua e là da piccole luci.
Avvolta da basse nebbie, il rumore delle onde che si infrangevano sugli scogli sembravano un basso ringhio di una creatura colossale e primordiale, che silente riposava sotto la fioca luce della luna.
Scese dal traghetto imboccando la strada che portava verso la piazza della città.
Poco più avanti trovò tre figure intorno ad un falò, che discutevano degli ultimi avvenimenti.
Erano i suoi nuovi fratelli, del sept Isvargr.
I loro copricapi di lupo erano inconfondibili; là dove regnava l'orso bianco cercavano con forza e onore di ritagliarsi il proprio posto.
Einar sorrise appena non nascondendo una certa agitazione interiore.
Il passo che voleva compiere quella sera era per lui importante e solenne.
Chiese ai tre di accompagnare i suoi passi fino ai piedi dell’Yggdrasil, promettendo loro di spiegargli il motivo di una tale richiesta.
Cavalcarono verso nord seguendo la costa, ormai brutalmente rovinata dal continuo scroscio delle onde sulla dura terra.
Si dovettero aprire la strada combattendo contro i troll della tribù dei teschi rossi, gli stessi teschi rossi che affrontarono i primi clan, quando sbarcarono per la prima volta su quell’isola.
L’Eidar era il giuramento, un percorso che ogni aspirante turas doveva affrontare, per ottenere il manto scarlatto: Ripercorrendo così quelle che furono le gesta e le battaglie che diedero forma e fondamenta alla comunità e città di Helcaraxe.
Arrivarono fino ai piedi di un promontorio, sulla cui sommità svettava alto e imponente il sacro Frassino.
I suoi rami erano scheletrici e si perdevano nel cielo ormai buio.
La luce della luna, illuminava debolmente il grande spiazzo ai piedi dell’Yggdrasil, ma i dettagli delle figure si perdevano nell’oscurità; come ombre o fantasmi che si aggirano ancora sulla terra, inquiete e dannate.
Salirono il piccolo sentiero che portava fino ai piedi del sacro Frassino. Le sue radici uscivano appena dal terreno come dita di una mano scheletrica.
Il tronco era spesso e rovinato dal continuo logorio degli elementi con grandi rami che si districavano verso il cielo come a volerlo sorreggere.
La sua figura incuteva timore e reverenza; vera e tangibile manifestazione di Jurth in quelle Terre.
Einar poggiò a terra una pesante sacca in cuoio, che conteneva i trofei e i resti delle prede a cui aveva dato la caccia giorni prima.
Osservò per alcuni istanti meditabondo il sacro Frassino, poi voltandosi verso i suoi fratelli cominciò a parlare. La sua voce era calma e decisa, e le sue parole venivano trasportate dal vento freddo che soffiava impetuoso nell’estremo nord dell’isola.
Vi ho portato qui perché è tempo, per me, di recitare un giuramento. Forse non solenne quanto quello pronunciato dagli aspiranti Turas davanti agli Jarl, ma per me altrettanto importante e solenne.
Kurdan e i primi clan dovettero sudarsi con fatica e sangue il loro posto qui.
Questa Terra non regala nulla e il proprio posto va preso e conquistato.
Ho passato gli scorsi giorni a cacciare per tutta l’isola e la baronia, braccando quelle che ritenevo fossero prede degne.
Ho preso i loro resti e il loro sangue, ma non come trofeo per vantarmi, ma per stringere un legame ben preciso con questa terra.
Poggiò a terra il catino pieno di liquido rosso scuro e il suo odore penetrante riempì l’aria.
Prese con calma un pugnale dalla sua sacca, sfilandosi uno dei suoi guanti d’arme.
Lasciò scivolare la lama sul palmo della mano e facendo cadere alcune gocce del suo sangue all’interno del catino.
Tuttavia... manca ancora un pezzo importante in questo rito.
Vi chiedo fratelli di concedermi un po’ del vostro sangue affinché il legame con questa terra sia ancora più forte.
I tre Isvargr annuirono con decisione alle sue parole. Presero il pugnale e, a turno guardando il giovane cacciatore negli occhi, emularono il suo gesto.
I suoi fratelli condividevano con lui quel passo. Supportandolo con qualcosa di molto prezioso:
Il loro sangue.
Lo sguardo di Einar si posò sul catino ricolmo di sangue. Prese con cura il suo copricapo di lupo e non senza una certa emozione lo intinse completamente.
Ancora grondante di sangue lo indossò, con alcune gocce che gli ricadevano sul viso.
Alzò il suo sguardo e pronunciò con forza il suo giuramento:
Guardami Jurth!...Guardami Yggdrasil...Guardatemi Dei...Fratelli e sorelle dei ghiacci!
Il ghiaccio ci ghermisce con la sua morsa, il vento scava la dura roccia, ululando la sua furia nei fiordi.
La neve rallenta i nostri passi, mentre creature nella notte minacciano la nostra sopravvivenza...ma noi siamo ancora qui, a lasciare le nostre orme.
Il sangue della preda e quello del cacciatore uniti nel Livmor.
L’equilibrio nasce dalla lotta, la lotta...dalla sopravvivenza.
Ho conquistato il mio diritto alla vita!
Con Sangue e sudore me lo sono guadagnato!
Questo è il mio giuramento…
Impegnarmi nella lotta, lasciarmi indurire dal violento tocco del ghiaccio e del freddo!
Cacciare prede e nemici degni.
Difendere l’equilibrio di questa Terra.
Essere ghiaccio che avvolge tutto il Nord.
Che il mio sangue:
Scorra copioso durante la battaglia insieme a quello dei nostri nemici!
Che sia il prezzo da pagare per la vita.
Che sia forza, con cicatrici a testimonianza
Che sia fuoco...alimentando il mio spirito.
Che esso possa dissetare questa fredda terra.
Che sia linfa per L’Yggdrasil.
Che ricopra ora! Insieme a quello dei nostri nemici, il mio copricapo!
A testimonianza di questo giuramento.
Le sue parole si persero nel vento, che soffiava impetuoso.
Lì in quel luogo, ai piedi dell’Yggdrasil, con testimoni i suoi nuovi fratelli, Einar pronunciò il suo legame e giuramento a tutto il Nord.
La stessa Jurth lo aveva udito.
Finalmente il suo percorso, il suo urval personale, era concluso.
Non aveva scelto di portare sulle sue spalle il mantello di Kurdan perché voleva un legame più profondo e completo con quella Terra. Non solo agli jarl o alle genti di Helcaraxe, ma a tutto il nord.
Tuttavia avrebbe da ora in avanti portato con lo stesso orgoglio e determinazione quel copricapo bagnato di sangue. A testimonianza e monito di quel giuramento.
Alla fine, dopo tanto tempo, era riuscito a diventare…
Duro ghiaccio.
"Halfdan, del Picco" "Vegurinn til Valhallar"
Michael604/Halfdan#3185
Egli fu: Einar Isvargr, "Neve e Sangue"
Valgard, "Il Figlio dell'Onda" (incompleto)
Daryos, "Un coltello nel buio"
I fiocchi di neve cadevano lentamente dal cielo grigio e nuvoloso.
Gli alti picchi innevati erano coperti dalle coltri di nuvole, con la nebbia che scendeva verso le valli sinuosa e terribile, celando e distorcendo forme e suoni.
L’aria fredda era opprimente e silenziosa, con il solo rumore del vento a sibilare minaccioso.
La neve fresca rallentava il passo, imponendo un leggero sforzo per essere superata; un mare bianco candido che nascondeva nella sua purezza una mortale morsa.
Einar imprecò appena, cercando di seguire le tracce fresche di un grande cervo, che a quanto pareva si muoveva più facilmente e agilmente di lui. Libero dal pesante fardello degli abiti in pelliccia e dalle armi per cacciare che rallentavano invece il passo del cacciatore.
Sospirò rumorosamente, guardandosi attorno per riprendendo fiato e cercando attentamente qualche segno della sua preda.
Era guardingo ma l’aria pesante e la nebbia rendevano difficile distinguere i suoni e i movimenti furtivi delle creature della Baronia.
Tutto sembrava immobile, quasi surreale.
Poi, un suono attirò la sua attenzione.
Il rauco gracchiare di un corvo, o così sembrava ad Einar che si irrigidì, mettendo tutti i suoi sensi in allerta.
Passarono pochi secondi e poi riudì quel verso.
Non era raro trovare quelle creature volteggiare nei cieli della Baronia. Avidi di banchettare con i resti di qualche creatura. Sapevano essere pazienti; attendendo il momento in cui affondare il loro nero becco nelle carni e ossa spezzate, per arrivare al prezioso midollo.
Il cacciatore cercò di dirigersi verso la fonte del verso. Sembrava provenire poco più avanti rispetto a dove si trovava, anche se era difficile dirlo con certezza, con i suoni così ovattati.
Avanzò cauto ascoltando attentamente ogni possibile rumore.
Forse ha trovato i resti di qualche creatura...forse il cervo che sto cacciando...
Anche se qualcos’altro mi ha preceduto, non è detto che me ne debba tornare a mani vuote al Picco.
Disse tra sé, stringendo la sua arma con decisione mentre un flebile sorriso malizioso gli solcava il volto.
Arrivò al limitare di un piccolo spiazzo aperto nella fitta boscaglia. La luce pallida si rifletteva debolmente nella neve bianca. L’unica stonatura era un grande masso di roccia grigia quasi al suo centro.
Si fermò alcuni istanti per controllare bene la zona, con ogni suo senso in allerta.
Dalla sua posizione riusciva a vedere bene l’enorme spiazzo, ma per quanto si sforzasse non percepiva la presenza di creature nei paraggi.
Avanzò cauto, uscendo allo scoperto e stringendo con forza l’arma in mano, pronto ad ogni evenienza.
Si fermò quasi al centro attirato dall’enorme masso che spiccava immobile.
Sulla sua sommità altrettanto immobile e quasi perfettamente mimetizzato vi era un grande corvo nero.
Le sue lunghe piume rilucevano debolmente e controluce ad ogni suo piccolo movimento, tingendosi di tonalità strane e ipnotiche: dal viola scuro al grigio intenso per poi tornare al nero simile alle notti più buie.
Il suo occhio osservava attentamente la figura del cacciatore, per nulla intimorito dalla sua presenza.
Einar lo osservò ammirato, quasi dimenticando il motivo per cui si trovava lì, in quelle fredde terre a cacciare.
Si scosse appena mentre il corvo spiccò un piccolo balzo per poi prendere il volo e planare dolcemente su un ramo al limitare della foresta.
SI voltò verso il cacciatore: con naturalezza emise ancora il suo verso e rimase quasi in attesa di una reazione da parte di Einar.
Un’espressione mista tra la confusione e la curiosità prese forma nel volto di Einar.
Si domandava perché dare così tanta attenzione ad un semplice corvo, ma la curiosità ebbe la meglio; conscio che spesso la curiosità in quelle terre, portava ad una fine prematura e violenta.
Arrivò ai piedi del grande albero, su cui ramo leggermente piegato per il peso, era appoggiato il grande corvo.
Si guardò attorno sempre mantenendo i suoi sensi in allerta, ma non notava nulla di insolito nei dintorni. Solo la foresta immobile e silenziosa. E quella macchia nera... appollaiata sopra di lui.
Bha speravo mi portassi verso qualche carcassa e qualche predatore da stanare...Ma vedo che qui non c’è molto...a parte te! Che te ne stai bellamente appollaiato lì sopra. Se speri di banchettare con i miei resti ti è andata male. Se mi vuoi, sarà meglio che ti fai sbucare qualche lama da quelle ali e che diventi dieci volte più grande!
Borbottò tra sé rassegnato ormai a tornare sui suoi passi e a mani vuote, verso il Picco.
Il corvo nero lo osservò con il suo occhio. Era bianco come la neve e al centro la pupilla risaltava di un nero intenso, indizio di intelligenza e mistero.
Gracchiò rumorosamente attirando nuovamente l’attenzione su di sé.
Einar si voltò appena, scrutando l’animale balzare dal ramo verso il terreno poco più avanti, e lì, becchettare curiosamente con il suo nero becco il terreno, voltandosi poi nuovamente verso il cacciatore.
Aspettò alcuni istanti, poi volò verso un vicino ramo come in attesa.
Non trattenendo la sua curiosità Einar avanzò, controllando il terreno poco più avanti.
Il suo sorriso bonario si spense quando, osservando con più attenzione notò delle tracce fresche sul terreno, che a giudicare dalla profondità e ampiezza appartenevano ad un grosso cervo. Lo stesso che pochi attimi prima stava cercando di seguire e che, a causa della neve e il terreno difficile, aveva perso.
Alzò il suo sguardo incredulo verso il corvo che, con un’altro dei suoi versi rauchi e striduli, planò sopra la sua testa per poi volare alto nel cielo e perdersi, infine, nella coltre di nebbia che ricopriva ancora la Baronia.
Lo sguardo del cacciatore seguì i suoi movimenti, mentre nella sua testa piena di tradizioni e superstizioni del popolo nord, prendevano forma pensieri e possibili spiegazioni.
Infine, le sue labbra si mossero piano, mormorando debolmente solo una parola:
Jurth...
"Halfdan, del Picco" "Vegurinn til Valhallar"
Michael604/Halfdan#3185
Egli fu: Einar Isvargr, "Neve e Sangue"
Valgard, "Il Figlio dell'Onda" (incompleto)
Daryos, "Un coltello nel buio"
La luce del giorno era fredda e grigia,donando alle valli della Baronia un’aria onirica e fuori dal tempo.
Suoni e ombre si muovevano furtivi tra le nere forme nodose degli alberi, piegati dal peso della neve e del freddo; lottando avidamente anche per quella poca e debole luce che Aguardar donava loro.
Il freddo ghermiva come sempre quella terra con la sua mortale morsa, rendendo gli spostamenti difficili e pericolosi. Ma poteva anche diventare un prezioso alleato, per chi sapeva come sfruttare quella terra a proprio vantaggio.
Einar camminava sotto un tetto di rami nodosi e spogli, così fitti tra loro da comporre quasi una maglia stretta, dove solo pochi raggi del sole filtravano nel sottobosco.
I rumori dei suoi passi nella neve e il suo respiro erano i soli suoni che rompevano il silenzio.
Si guardava attorno con occhi attenti cercando di percepire il minimo movimento e rumore.
Si muoveva come un’ombra cercando di lasciare meno tracce possibili perché sulle sue spalle portava un giovane cervo appena cacciato.
Sapeva che l’odore del sangue poteva attirare altre creature, pronte a sfruttare quel momento per banchettare non con una, ma con ben due prede fresche; un dono gradito e raro in quelle terre.
Mentre camminava si fermò di colpo, attirato da un suono gracchiante e sgraziato.
Si guardò attorno come una preda braccata. I muscoli tesi e il respiro pesante, il suo istinto lo teneva vigile e pronto ad un possibile scontro.
Il suono proveniva da un punto indefinito della foresta; un mare di luce pallida e ombre sgraziate che si fondevano tra di loro.
Il suo istinto lo spingeva ad andarsene, tuttavia qualcosa dentro di lui, molto più forte e pressante lo spinsero a camminare verso la direzione di quel suono.
Un misto di curiosità e di un “volere” più grande di lui muovevano i suoi passi verso quella che poteva essere la sua tomba.
Il gracchiare di quello che era ormai il verso di un corvo lo rapiva completamente, spingendolo a seguire la fonte di quel richiamo.
Si sentiva strano ed osservato, ma non percepiva un pericolo attorno a sé, e per quanto si sforzasse non notava nessun movimento nella foresta. Tutto sembrava immobile e silenzioso.
La sua attenzione fu attirata da una nera figura che si spostava sopra di lui, emettendo il suo ormai caratteristico verso.
Alzò la testa per osservare il corvo, che volteggiò sopra di lui per alcuni istanti, per poi dirigersi verso ovest.
Avanzò cauto e silenzioso, sistemando la preda alle sue spalle, in modo tale che non gli fosse d’ostacolo nell’avanzata.
Sbucò, poco dopo e quasi con sorpresa, in un piccolo sentiero. Non era molto battuto e si potevano notare vari ostacoli. Tuttavia, qui la luce pallida del sole poteva filtrare dai rami nodosi con più intensità.
Il gracchiare del corvo sembrava lontano, quasi irreale ma lo spinse ancora più a ovest, seguendo il nuovo sentiero.
L’aria si fece più fredda e immobile, e la sensazione di essere osservato si amplificò.
La foresta piombò nel silenzio quasi totale. Nessun suono sembrava capace di rompere quel silenzio, così minaccioso e irreale.
Poi, l’attenzione di Einar fu catturata da un suono poco lontano alle sue spalle. Questa volta non sembrava il verso di un animale o di un corvo, bensì il rumore di numerosi zoccoli che cavalcavano nella neve fresca.
Il suono sembrava avvicinarsi ma nell’oscurità della foresta nulla si muoveva.
Einar si irrigidì, lanciando la preda a terra oltre il sentiero. Poi si gettò quasi istintivamente verso un riparo per nascondersi, stringendo la sua arma.
Il riparo che aveva scelto, un grosso albero caduto, era ottimo permettendogli di controllare il sentiero davanti a sé senza essere visto.
Si acquattò come un predatore, pronto a lanciarsi sulla preda e attese con i muscoli tesi e pronti allo scontro.
Quello che successe poi, lo colpì più di una freccia o la punta di una lama, perché dal sentiero sbucarono alcuni cavalieri accompagnati da altre figure appiedate.
Le loro voci erano strane ed esotiche, e squillarono eccitate, rimbombando in tutta la foresta.
Portavano copricapi a forma di lupo e stringevano lance e archi.
Le loro forme erano esili ma scattanti, muovendosi con disinvoltura e maestria nonostante il sentiero impervio.
Quello che colpì Einar però, erano i loro lineamenti:
Erano Alvar!
Lo superarono come una valanga, procedendo verso est.
Cosa diamine ci fanno gli Alvar qui! Nella Baronia?
Sembrano a caccia...forse una razzia nelle nostre Terre?
Ora anche gli elfi si permettono di calcare le nostre freddi terre?!
Devo scoprirne di più…
Ruggì e imprecò sommessamente attendendo che il rumore del gruppo si allontanasse verso est, per poi mettersi sulle loro tracce.
Ora più che mai doveva stare in allerta e attento. Doveva scoprire perché un gruppo di Alvar si fosse spinto così tanto a Nord delle terre umane.
Non fu difficile seguire le tracce lasciate a terra dagli elfi: in più le loro grida di guerra riempivano l’aria fredda della Baronia, come a sfidare e a sbeffeggiare il dominio del nord.
Poi, di colpo il rumore cessò preceduto dal suono di numerosi ululati.
La foresta ripiombò nel silenzio e nell’immobilità; come dopo un temporale estivo che sfogata la propria furia, lascia poi il suo posto alla leggera brezza del vento, con lontani e ormai passati, borbottii.
Einar avanzò ancora più lentamente, sfruttando ogni possibile riparo per celare la sua presenza fino ad arrivare al limitare di un piccolo spiazzo privo di alberi.
Si sporse appena per vedere meglio e notò che il gruppo di elfi si era fermato, posizionandosi a semicerchio attorno ad una particolare figura.
Nella sua testa svettava un copricapo a forma di cervo e teneva in mano una rozza lancia da caccia.
Le sue mani, sporche di sangue, stringevano una rozza coppa di legno che sgocciolava il liquido rossastro a terra, dove ai suoi piedi vi era un’enorme carcassa di un cervo maschio.
Gli altri membri del gruppo, con i copricapi di lupo ad ornare le loro teste erano fermi ad osservare, con aria solenne e paziente.
Einar osservava rapito quella scena quasi senza fiato, mentre nella sua testa vorticavano mille pensieri e domande.
La strana figura con il copricapo di cervo, si voltò lentamente verso Einar bloccandolo con il suo sguardo.
Il giovane cacciatore poteva sentire su di lui i suoi occhi, che gli bloccavano ogni muscolo del corpo impedendogli di scappare.
Alle spalle della figura con il copricapo di cervo ne prese forma un’altra, più bassa e indefinita ma che avanzava lentamente verso il giovane cacciatore.
Il suo viso era famelico e la sua pelliccia era rossa come il fuoco, lo stesso fuoco che alimentava il suo sguardo così innaturale e insondabile.
Un violento brivido di terrore scosse Einar che, per quanto ogni fibra del suo corpo gli intimasse di scappare, non riusciva a muoversi.
Last edited by Michael604 on Sun Jan 12, 2020 9:58 am, edited 2 times in total.
"Halfdan, del Picco" "Vegurinn til Valhallar"
Michael604/Halfdan#3185
Egli fu: Einar Isvargr, "Neve e Sangue"
Valgard, "Il Figlio dell'Onda" (incompleto)
Daryos, "Un coltello nel buio"
Soffiava un vento gelido da nord, che ingrossava le onde del nero mare poco lontano.
Alte e luminose stelle facevano da corona ad una pallida Nùt alta nel cielo; solenne e solitaria regina della notte.
Le parole del Gael Cartis si perdevano nell’aria, mentre lo sguardo dei presenti lo osservavano. Curiosi e infreddoliti dal clima inclemente.
Sopra di lui, alto e maestoso troneggiava la scheletrica figura dell’Yggdrasil.
Con il suo tronco bianco, indurito e plasmato dagli elementi del nord, estendeva i suoi rami verso il cielo e le sue radici in profondità nella dura terra.
Einar ascoltava distrattamente le parole del Gael, immerso in cupi e incerti pensieri.
Nella sua mente suonavano ancora forti le parole dello Jarl nero, che molti mesi prima tramite la lettura delle rune, lo aveva aiutato a tracciare quello che sentiva fosse il cammino che lo attendeva:
Ansuz è la runa del gufo. Animale che vede di notte, che esplora e cerca ed è legata al tasso, il grande albero della rinascita.
Raido è la runa della trota. Legata all'edera
La runa del viaggio e dell'esplorazione senza meta.
L'ultima é Fehu, che le lega assieme. Essa indica ricchezza, ma non per forza materiale.
Ma la ricchezza dell'anima.
Quindi credo ci sia una correlazione che le lega tutte e tre. Ma ricorda; Il viaggio ha un inizio ed una fine.
Cosi come ha un luogo che si lascia, e un luogo dove si arriva.
Ricorda anche che quando cammini devi avere occhi solo per la tua meta; se continui a guardarti indietro non farai mai progressi.
Mentre la cerimonia dello Jol proseguiva, Einar si estraniava sempre di più, osservando con attenzione la nodosa figura del sacro frassino.
I suoi pensieri turbinavano con la stessa furia con cui le onde si infrangevano sulle grigie scogliere.
Quale poteva essere la sua meta?
Verso quale direzione le rune, e il volere di Jurth, lo stavano spingendo?
Che ci fosse una correlazione con la visione avuta nella Baronia e gli Alvar che aveva visto?
Domande che lo turbavano e lo sfiancavano, ma che in cuor suo sperava, alla fine, trovassero finalmente risposta.
Si scosse appena dai suoi pensieri, con le urla di giubilo dei nordici, che invocavano così la benedizione di Aengus per il Nord e la popolazione di Helcaraxe.
Lasciò che gli ospiti tornassero sui loro passi verso la città; poi con calma si incamminò lungo il tortuoso sentiero che portava fino ai piedi dell’Yggdrasil.
Ai suoi piedi, l’enorme figura del sacro albero lo sovrastava. Solenne e immobile avvolgendolo con la sua ombra, come manto di nera tenebra.
Ne poteva percepire l’essenza e la forza, e il suo “sguardo” che lo scrutava e soppesava nelle sue azioni.
Si sfilò lentamente il guanto in osso dell’armatura, prendo poi un pugnale dalla sacca.
Si incise con decisione le carni, lasciando che il sangue caldo fuoriuscisse dalla ferita. Poi, con solennità e rispetto toccò il bianco frassino, lasciando che il liquido rosso e intenso scorresse nelle venature della corteccia scavate dagli elementi del nord; e che cadendo poi sulle sue radici, potessero infine nutrirlo e rinnovare così il patto che lo legava per sempre a quella terra.
Tornò deciso verso Helcaraxe, aiutando alcuni ospiti non abituati a correre sulla neve fresca e oppressi dal violento freddo del nord.
Ignorò il gruppo di ospiti che si dirigeva verso Grandinverno e, sellato il suo purosangue, partì alla volta di Hulborg.
Cavalcò con decisione seguendo il sentiero scavato nella dura roccia verso sud. Poi, arrivato alle porte di Hulborg si fermò per alcuni istanti.
Fece un lungo respiro cercando di imprimersi nella mente tutti quegli elementi che lo avevano accompagnato nel suo sentiero; come spettatori e testimoni del suo lungo percorso fatto fino ad ora.
Le alte e nere figure delle montagne che lo sovrastavano, le fitte e misteriose foreste che lo avevano accolto nelle sue peregrinazioni e cacce, ed infine il vento, che come lamento e sussurro di una volontà che lega e unisce tutto il nord, ora lo spingeva verso terre a lui nuove e sconosciute, e verso chissà quali strani e contorti sentieri.
"Halfdan, del Picco" "Vegurinn til Valhallar"
Michael604/Halfdan#3185
Egli fu: Einar Isvargr, "Neve e Sangue"
Valgard, "Il Figlio dell'Onda" (incompleto)
Daryos, "Un coltello nel buio"
Einar seguiva la sinuosa figura che lo precedeva, guidandolo per le strade lastricate di pietra.
La sua chioma bionda si fondeva con il manto blu, che ondeggiava accompagnando i suoi movimenti; in una danza ipnotica e mistica, dove si palesava l’armonia di ogni singolo movimento e volontà di quella gente.
Nel cielo invece, la luce della luna si fondeva con le forme straniere ed eleganti degli edifici, esaltandone i contorni e la maestria con cui erano stati eretti.
La leggera brezza del mare, poco lontano, era come un dolce sussurro; surreale e lontano, quasi intangibile per i comuni mortali.
Erano passati mesi dall’ultima volta che aveva visitato la Perla, ma non poteva negare che quella città Alvar avesse un qualcosa di mistico e intangibile. Come celato agli occhi di coloro che ne erano indegni o inconsapevoli, ma sempre concreto e presente.
Il cacciatore osservava con attenzione la figura della Somma Sacerdotessa Fanie.
Il suo istinto, alimentato dai racconti e dalle superstizioni nordiche della sua gente, lo metteva in allerta, temendo che qualche strano sortilegio potesse uscire dalle sue labbra, ammaliandolo e rendendolo così incapace di difendersi.
Nulla di tutto questo però accadde.
Arrivarono sotto un arco di pietra, abilmente coperto da composizioni floreali, che aiutavano il fondersi armonioso del freddo e austero edificio.
Poco più avanti un piccolo spiazzo si apriva accogliendo gli ospiti con giardini e statue finemente lavorate. raffiguranti molto probabilmente gli Dei Alvar.
Si ritrovò nella stessa sala che lo aveva accolto mesi prima, con sedie intagliate abilmente e dove il colore del mare si fondeva al bianco candido e austero.
Cercherò di portarti via meno tempo possibile Alvar…Sono qui per cercare delle risposte ad una cosa che ho...visto o vissuto? È difficile dirlo con esattezza.
Le parole di Einar tradivano un certo turbamento interiore, tuttavia Fanie lo ascoltò con calma e attenzione, ma era difficile dire cosa nascondesse e pensasse realmente nella sua mente.
Mi fa piacere rivederti qui.... e se posso aiutarti lo farò volentieri.
Queste semplici parole colpirono il cacciatore come la brezza marina, capace di rinfrescare e tonificare lo spirito dei viaggiatori ma… sempre pronta a presagire venti di tempesta e furia a chi osava mancare di rispetto alla sua figura.
Einar cominciò a raccontarle quello che aveva vissuto nella Baronia, pochi giorni prima.
Raccontò del gruppo di Alvar che aveva visto e seguito e del loro strano comportamento.
Le raccontò anche della presenza di una strana creatura, dalle sembianze di lupo ma dal manto rosso come sangue che lo scrutava e si avvicinava a lui quasi in modo minaccioso.
La figura della Somma Sacerdotessa lo ascoltò attentamente, non mostrando, o controllando abilmente, ogni sua possibile reazione a quelle parole.
Si appoggiò lentamente allo schienale della sedie, soppesando attentamente le sue risposte.
Quando ci avventuriamo fuori i nostri territori, non è raro che indossiamo mantelli diversi. Tuttavia non ci spingiamo così lontani, nelle vostre terre in Baronia… Soprattutto durante una caccia sacra, che difficilmente viene fatta fuori dai territori del Doriath.
Caccia sacra hai detto?!
Einar si sporse verso di lei, quasi alzandosi dalla sedia, non trattenendo la curiosità.
Fanie gli sorrise dolcemente annuendo quasi impercettibilmente con il capo.
Ay, la caccia sacra. Fatta in onore a Suldanas...il Vala cacciatore, non lo sapevi?”
Tuttavia è lunga da spiegare e...non saprei nemmeno come paragonarlo a qualcosa che conosci.
Per noi la caccia non è sacra, è sopravvivenza. Ma perché spingersi fino in Baronia per compiere questa caccia?
Fanie portò delicatamente un dito sulle sue labbra riflettendo attentamente, poi tornò con lo sguardo sul cacciatore, che appariva confuso ma che non nascondeva il fuoco della curiosità dentro di lui.
Proverò a spiegarti...La caccia sacra è il rievocare la necessità del cacciare per sopravvivere. Andiamo nudi e solo con le armi. Nel corpo a corpo l’animale cacciato ha le stesse probabilità di diventare il cacciatore.
Il cacciatore e la preda sono così uniti…
Nel Livmor…
mormorò appena Einar, mentre pensieri e supposizioni di ogni genere gli turbinavano nella mente.
Non può essere il caso ad avermi condotto qui...non può essere la casualità ad avermi spinto in questa terra...Se Jurth ha qualcosa in serbo per me qui troverò le risposte.
Ma gli Alvar saranno disposti a condividere con me, uomo del nord, i loro segreti e credi più intimi?
Solo il tempo temo me lo dirà…
Fu questo pensiero, alla fine, che si impose con forza e determinazione nella sua mente.
Tornò con lo sguardo sulla Somma sacerdotessa, poi con decisione le disse:
Voglio saperne di più…
"Halfdan, del Picco" "Vegurinn til Valhallar"
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Daryos, "Un coltello nel buio"
Le armature elfiche brillavano gioiose sotto la luce calda di Aguardar. I raggi del sole stavano morendo all’orizzonte ma riuscivano ancora ad illuminare la maggior parte della città.
Il passo cadenzato delle guardie era quasi ipnotico e si mescolava al rumore dell’enorme fontana al centro della piazza.
Fontana che attirava l’attenzione di viandanti e stranieri, con le sue curiose statue raffiguranti animali marini, e il suo continuo scroscio dell’acqua che zampillava dalla sua sommità verso la base, in un ciclo infinito e continuo.
Gli Alvar della Perla erano intenti nei loro affari, forse la maggior parte dei quali legati al commercio. Navi di ogni dimensione attraccavano e partivano dai vicini porti, con voci straniere a dare ordini e indicazioni.
Einar osservava distaccato quel paesaggio e la quotidianità degli Elfi della Perla.
Anche se era in città da pochi giorni, cominciava già a sentire la mancanza della neve sotto i piedi, del freddo che ti prende le ossa, l’ombra delle enormi montagne della Baronia nascoste quasi sempre da nuvole grigie. E la luce pallida di Aguardar, una luce fredda e incolore che non scalda, ma che viene assorbita da ogni elemento della Baronia, nel vano tentativo di scaldarsi e sfuggire alla morsa del freddo.
Il suo sguardo era coperto dal pesante copricapo di lupo, che allungava la sua ombra sul viso severo e pensieroso del cacciatore.
Le labbra ruvide e segnate da piccoli tagli, si contorcevano appena sotto la pesante e poco curata barba nera, tradendo ad un occhio attento, i turbinosi pensieri che prendevano forma nella sua mente.
Dubbi e domande vorticavano ferocemente nella sua testa, rendendolo inquieto.
Sapeva che il sentiero che stava seguendo sarebbe stato difficile, mettendo alla prova la sua volontà e pazienza, oltre che la sua forza e determinazione. Tuttavia, sentiva di aver fatto pochi progressi nel suo cammino..
Dopo il suo incontro con la Somma Sacerdotessa Fanie, che gli aveva rivelato alcuni particolari poco chiari per un uomo del Nord, si sentiva ora quasi arenato in una secca, impedendogli così di proseguire nella sua ricerca.
Ricerca, che come preda era ancora lontana e intangibile; nebulosa e indefinita nella sua forma…
Preda...ma certo! È così ovvio!
Lo sguardo di Einar si illuminò sotto il pesante copricapo di lupo.
Una luce si riaccese dai tizzoni grigi e spenti dei suoi occhi, che ora ardevano debolmente come fuoco risvegliato dal suo torpore da un vento nuovo, carico di determinazione e impaziente di giungere infine alla sua "preda".
Se non riesco a trovare risposte, allora andrò a “cacciarle”!
Tutto parte dalla conoscenza della preda e del suo territorio. Se la mia visione è in qualche modo legata a quella strana divinità Alvar, allora devo apprende più su di lei!
Un buon punto di partenza è chiedere agli abitanti e leggere qualche tomo…
Dopo aver chiesto le dovute indicazioni ad una abitante della città, si diresse con passo spedito verso il tempio.
Nut, ormai, aveva spodestato dal suo trono celeste Aguardar e ora brillava intensa nel cielo nero, avvolgendo con la sua candida luce tutta la città.
Einar arrivò alle porte di un piccolo edificio vicino al tempio. Alle sue spalle svettavano alte e snelle figure marmoree, perfette nei loro lineamenti e prive di qualsiasi difetto o logorio del tempo; molto diverse dalle rozze e dure statue di roccia nera di Helcaraxe scavate e deturpate dal clima inclemente.
Entrando si ritrovò in un piccolo edificio. La luce, fioca e bassa, si irradiava da pesanti lampadari appesi al soffitto e da alcune torce appese ai muri, rendendo quel luogo accogliente e tranquillo.
I raggi bianchi della luna, filtravano da piccole finestre finemente ornate.
Alcuni Alvar, intenti a scrivere e a sistemare pesanti tomi, alzarono i loro sguardi curiosi e sorpresi sul cacciatore, seguendo brevemente i suoi movimenti prima di rimettersi al lavoro.
Einar si guardò attorno annusando l’aria piena di fumo, dove aleggiava lo strano e poco familiare odore di carta.
File interminabili di libri erano stipati in librerie dal legno robusto e scuro.
Si fermò a pensare a quanta conoscenza potesse contenere un luogo così relativamente
modesto nelle dimensioni.
Le “parole morte” come venivano chiamate dalla sua gente e come il nome suggeriva, non erano importanti. Chiunque poteva lasciare le proprie parole scritte senza metterci la faccia. Solo i racconti narrati e tramandati a voce, contavano e avevano peso al nord.
L’attenzione di Einar venne catturata da un grosso tomo, finemente rilegato e nella cui copertina vi erano due figure.
Una rassomigliante ad un elfo cacciatore, mentre l’altra un’elfa dai lineamenti delicati che sembrava piangere.
Lo rigirò curioso tra le sue mani, mentre un mezzo sorriso sarcastico si disegnò sul suo volto. Lo sfogliò lentamente, divorando famelico ogni parole e conoscenza in esso contenuta.
Tuttavia, a parte alcuni cenni generali sulle principali due divinità Alvar, non trovò quello che cercava.
Un lungo sospiro, simile al basso ringhio di una creatura stanca e impaziente, riempirono il silenzio della biblioteca attirando ancora gli sguardi curiosi e preoccupati degli Alvar presenti.
Einar uscì dall’edificio lasciandosi illuminare dalla candida luce lunare.
La sua figura, completata dal pesante mantello di pelliccia nero e il copricapo di lupo in testa, stonava con l’ambiente circostante.
Si guardò attorno riflettendo sulle sue prossime mosse.
È proprio vero che le parole morte non servono a nulla. Devo trovare qualcuno che veneri questo dio cacciatore e farmi spiegare il significato della mia visione nella Baronia...Aaahh…
e io che speravo di rimanere in queste terre pochi giorni...Mi aspetta una lunga caccia!
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Valgard, "Il Figlio dell'Onda" (incompleto)
Daryos, "Un coltello nel buio"
Il passo pesante del purosangue nordico cadenzava la marcia sul sentiero di terra battuto.
Il vento soffiava sulle fronde degli alberi, che muovevano le loro folte chiome in modo ipnotico.
Sembrava quasi che la foresta fosse viva, osservando silente quello strano viaggiatore. Coperto da pellicce e con un copricapo di lupo sulla testa curvato appena sul suo cavallo di stazza nordica.
Einar si fermò per alcuni istanti indeciso sul suo percorso.
Davanti a lui una piccola catena montuosa sembrava tagliare in due la foresta e la pianura poco fuori Rotiniel.
Era guardingo, come un ‘animale costretto a vivere in un ambiente lontano e diverso da quello a cui è abituato.
Alcune ombre gigantesche sembravano muoversi nel limitare della foresta.
Le voci che aveva udito parlavano di strane creature, alte e massicce, il cui corpo sembrava formato dagli elementi della foresta.
Accelerò il passo puntando verso Nord, verso un villaggio Alvar di nome Ilkorin, in cui aveva trovato rifugio durante le sue cacce nelle terre Elfiche.
Le ombre si allungavano sopra la sua testa, mentre il cielo poco nuvoloso si tingeva dei colori del tramonto; ultimo saluto di Aguardar alle razze mortali, prima di cedere il suo dominio alla notte e alla sua Regina.
Percorrendo il sentiero però, la sua attenzione fu attratta da un suono a lui familiare.
Poco più avanti volava in cerchio una piccola figura nera, emettendo di tanto in tanto il suo sgraziato verso.
Il cacciatore fu combattuto sul da farsi. Seguire il suo istinto e seguirlo nuovamente, come aveva fatto al Nord. Oppure ignorarlo e proseguire verso il villaggio, dove avrebbe trovato ristoro e protezione?
Dopo alcuni attimi di esitazione spinse il suo cavallo verso il corvo, che nel frattempo, vedendolo avanzare si spostò sopra la foresta vicina invitandolo quasi ad immergersi in essa.
Scese da cavallo, lasciando che l’animale si allontanasse per un pò verso la pianura, ma in caso, sempre a portata di richiamo.
Si addentrò nella foresta ormai buia, se non per alcuni deboli raggi che riuscivano ancora a superare la pesante schermatura delle fronde.
L’aria era pesante, carica di umidità e odore di muschio. Il silenzio era totale se non per qualche scricchiolio che metteva in allerta i sensi tesi del cacciatore.
Cercò di orientarsi e di seguire il più possibile il verso del corvo che aveva udito, ma il richiamo sembrava perdersi e amplificarsi in ogni direzione, come eco in una caverna.
Poi, una volta addentratosi più in profondità, fu colpito da un lungo brivido che lo scosse violentemente.
Un vento freddo e famigliare cominciò ad accarezzargli la pelle, risvegliando in lui immagini di neve bianca e mortale, che copriva tutto il terreno davanti a lui.
Ma quando si riprese dai suoi pensieri, l’immagine davanti a se non scomparve, e anzi, si fece reale e tangibile.
Neve, all’interno di una fitta foresta nel Doriath, dove il clima era quasi sempre temperato.
Cosa stava succedendo?
Il cacciatore avanzò ancora più cautamente, con ogni suo senso in allerta. Le ombre degli alberi erano mutate, e la timida luce della luna ne risaltava i contorni deformi e scheletrici; con il vento freddo a sibilare la sua presenza riempiendo il silenzio.
Aveva freddo, proprio come quando cacciava in Baronia.
Osservò dietro di lui le orme che lasciava sulla neve fresca mentre i suoi pensieri gli vorticavano frenetici nella mente.
Nonostante i molti dubbi e domande qualcosa dentro di lui lo spingeva ad avanzare, ma quale fosse la sua meta non riusciva a capirlo.
Ad ogni suo passo la curiosità e i suoi sensi crescevano.
Percepiva il freddo tocco del vento sulla sua pelle, i muscoli tesi pronti allo scatto e il cuore battergli come tamburo nel petto.
Tamburo.
Ecco cosa udì nel profondo della foresta.
Il suono di un debole ma ritmico tamburo, che avanzando sempre di più, cresceva di intensità.
Strane ombre si mescolavano nell’oscurità della foresta, mischiandosi con la debole luce della luna.
Si sentiva osservato, spiato e giudicato, come se la sua stessa anima fosse stata spogliata e valutata nella sua forma più intima e pura.
Difficile dire se era tutto un sogno o un’allucinazione, ma anche volendo la sua volontà lo spingevano ad avanzare, sempre più nella profondità di quella strana foresta.
Il suo passo si fece più lento, quasi timoroso seguendo ormai quello che per lui era un richiamo irresistibile; il suono ritmico e costante di un tamburo che scandiva la sua lenta e inesorabile marcia verso una meta ancora sconosciuta.
Le ombre intorno a lui mutarono ancora, accrescendo la sua sensazione di essere osservato.
Occhi rossi comparvero nel profondo della foresta, occhi famelici e attenti. Curiosi e indecisi forse, se mostrarsi alla debole luce della luna o attendere, ancora per il momento, di rivelarsi.
Einar arrivò alla fine in un grande spiazzo erboso, contornato dal limitare della foresta.
Sopra di lui, alta nel cielo, Nut brillava intensa e gioiosa.
Il suono del tamburo cessò di colpo, appena Einar mise piede nello spiazzo erboso, facendo cadere la foresta nel totale silenzio.
Poteva sentire solo il suo pesante respiro e il cuore battergli con intensità nel petto.
Poi, la sua attenzione fu attirata dallo strano movimento attorno a se.
Gli occhi rossi che lo avevano accompagnato brevemente nella sua marcia ora si avvicinavano, lenti ed inesorabili.
Per quanto si sforzasse la paura o una volontà a cui non poteva resistere gli intimarono di non muoversi e di attendere. Ma cosa di preciso, Einar non riusciva a capirlo.
Ombre contorte e strane presero forma, emergendo dal buio della foresta.
Dai contorni difficili da definire, eppure familiari nel loro profilo e sostanza.
Sembravano ombre di uomini armati con armi semplici, da caccia. Ma al posto della loro testa vi era quella di un lupo.
Gli unici colori ad adornare quelle forme fumose fatte di nera tenebra, erano gli occhi; che come rubini brillavano di una luce intensa e famelica.
Einar ricordò immediatamente quegli occhi, cosi a lungo visti e vissuti durante il suo lungo percorso. Ricordò quando lo braccarono nella Baronia, durante la sua caccia, alla ricerca del grande lupo nero: la sua preda.
Essi si fermarono poco lontano da lui, quasi timorosi di proseguire oltre.
Lo osservavano silenti e in attesa, consci di cosa stava per accadere.
La luce della luna che lo illuminava si tinse pian piano di un nuovo colore. Là, dove prima il bianco candido sembrava la sua unica salvezza in quel mare di oscura tenebra, ora si tingeva di rosso sangue. Famelica, come quegli occhi che lo circondavano.
Si girò lentamente e poco più avanti a lui, una figura familiare si staccò dalla foresta, dirigendosi con passi decisi verso il centro dello spiazzo erboso.
Sulle sue spalle un ammasso nero e indefinito veniva portato e poi adagiato sotto i suoi piedi. Poi, lentamente alzò il suo sguardo verso il cacciatore.
Einar, senza rendersene conto cominciò a percorrere quei pochi passi che lo separavano da quella strana figura, sulla cui testa svettava un copricapo di cervo ed una maschera d’osso a coprirgli il volto.
Jurth….
Furono le uniche parole che riuscì a sussurrare Einar, mentre avanzava a timidi passi verso il suo destino.
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Daryos, "Un coltello nel buio"
Si avvicinava con passi lenti e strascicati, lottando dentro di sé contro quella volontà, a lui estranea, che lo spingeva ad avanzare. Lento ed inesorabile.
La massiccia figura poco più avanti lo attendeva immobile, sovrastandolo con la sua presenza.
Einar si fermò a pochi passi, osservandolo nel dettaglio.
La maschera di cervo gli copriva il volto celando la sua vera identità, tuttavia l’aura di misticismo e ferinità lo avvolgeva.
Un pesante mantello di pelliccia gli copriva le spalle adornato con numerose teste di lupo dallo sguardo ormai spento.
In mano portava una lancia da caccia rozzamente lavorata, ma capace comunque di risultare una temibile arma.
Al collo, numerose collane formate da denti e artigli di bestia.
Non portava armatura, se non un semplice perizoma anch’esso fatto di pelliccia.
Sotto di lui giaceva una gigantesca carcassa nera, quasi informe, illuminata dalla rossa luce della luna che svettava davanti ad Einar e coperta in parte dalla strana figura con la maschera di cervo.
Per alcuni attimi tutto rimase immobile. Un silenzio quasi irreale soffocava la zona.
Einar poteva sentire solo i battiti del suo cuore che continuava a pulsare in modo ritmico e costante.
Poi, con movimenti lenti ma decisi, la strana figura si piegò sulla carcassa che giaceva ai suoi piedi e dopo aver preso un rozzo pugnale da caccia, usato spesso per scuoiare e macellare le carni della preda, cominciò il suo lento e meticoloso lavoro.
Einar osservava la scena come rapito, incapace però di controllare la sua volontà.
Chiunque fosse quella strana entità, voleva che il cacciatore attendesse e lo osservasse con attenzione.
Alcuni particolari della preda colpirono Einar, che riconobbe, anche se scarsamente illuminata, la figura del grande lupo nero che per anni aveva ossessionato i suoi incubi.
Una lunga caccia lo aveva spinto alla sua ricerca, fino a quella fatidica notte, di ormai molti mesi fa. In una radura nella Baronia, molto simile a quella in cui si trovava ora, lo aveva affrontato e infine sconfitto, decretando così il suo rinnovato legame con Jurth e la fine della sua Berserkergangr.
Immagini fumose presero vita nella sua mente riportando alla memoria particolari che fino a quel momento non gli sembravano importanti.
Ricordò che proprio quella figura, dalla maschera a forma di cervo, aveva preso con sé e senza apparente fatica le spoglie della sua preda, scomparendo poi con essa sulle spalle.
Perché dunque ora ritornava a lui proprio con quella preda?
Perché si sentiva costretto ad osservare la lenta e meticolosa macellazione e scuoiatura di quel lupo?
Aveva tutta l’aria di essere qualcosa di più che una semplice lavorazione della preda.
Gli occhi rossi che li osservavano dal limitare della foresta…
La luna che brillava alta nel cielo nero, con la sua luce sanguigna…
una entità, che in parte gli ricordava la figura dei gael al nord, ma che incarnava aspetti a lui molto più familiari e vicini…
Tutto ricordava al cacciatore una specie di rituale, in parte simile a quello che aveva visto compiere dagli Alvar alcune settimane prima, mentre era a caccia in Baronia e che lo aveva portato ad abbandonare il nord per terre a lui straniere e sconosciute.
Mentre pensieri e supposizioni prendevano forma nella testa di Einar, la figura con la maschera di cervo aveva finito si scuoiare l’animale.
La pelliccia nera era ancora grondante di sangue quando se la vide porgere da quell’entità.
Confuso, Einar la prese con sé, sentendo le gocce di sangue scorrergli nelle mani.
Rimase per alcuni attimi immobile, indeciso sul da farsi.
Dalle fessure della maschera, che aveva davanti a sé, poteva sentire uno sguardo profondo e insondabile. Che lo scrutava fin nel profondo della sua anima, ma che rimaneva ora in attesa, di quella che sembrava una decisione che il cacciatore doveva prendere.
Il vento gelido gli accarezzava dolcemente la pelle, gli alberi alti e scheletrici si piegavano dolcemente nello sfondo, e gli occhi rossi che lo avevano accompagnato fin lì, ora lo osservavano con ancora più intensità.
Sembrava che l’intero mondo fosse immobile, trattenendo il respiro per quella che doveva essere una decisione importante.
Di colpo, tutto quello che aveva vissuto e compiuto prese finalmente forma e consapevolezza nella testa del cacciatore. Ogni singolo passo che lo aveva spinto in quel lungo e tortuoso sentiero, ora prendeva finalmente una forma solida e concreta.
Con movimenti lenti, infine si portò la pesante pelliccia nera sulla testa, lasciando
che gli coprisse il volto e si fondesse con il suo corpo; temprato dalla fatica e dal freddo del Nord.
Einar,il cacciatore del Picco non esisteva più.
Al suo posto nasceva una nuova entità. Legata al delicato equilibrio del Livmor e che trovava la sua massima espressione nella costante lotta per la sopravvivenza.
Il sangue della preda e quella del cacciatore, uniti nel Livmor!
Non era più un rito da compiere, né una frase dettata da qualche superstizione antica e ormai superata.
Era la massima espressione di chi cercava di vivere la sua vita secondo una precisa consapevolezza. Maturata nel tempo, affrontando sfide e scelte che ne plasmavano l’animo profondo.
Ma affinché quel nuovo legame ancestrale fosse creato, Einar doveva accettare di condividere con sé lo spirito della sua preda. Che tramite la caccia lo aveva portato fino a qui.
La figura della maschera di cervo gli porse poi una rozza coppa di legno.
Un liquido viscoso e rosso si agitava al suo interno, emanando un forte odore pungente di sangue.
Per alcuni attimi Einar sembrò esitare, ma quando trangugiò il liquido, sentì l'aspro sapore riempirgli la bocca e scendere fin nelle viscere.
Il cuore cominciò a battergli con forza risvegliando in lui una sensazione lontana ma familiare.
I muscoli cominciarono a gonfiarsi e la sensazione di euforia mista alla foga battagliera presero nuovamente forma; come un tizzone a lungo sopito che viene alimentato nuovamente con nuova legna.
La Berserkergangr che aveva sempre cercato di combattere e limitare ora tornava in lui con rinnovata forza.
Non più fardello o conseguenza del suo non equilibrio con il Livmor, bensì la sua vera natura di uomo e bestia che finalmente si fondevano in un’unica entità.
Aveva trovato infine il suo vero posto nel Livmor e nel complesso equilibrio di Jurth.
Alcuni giorni dopo.
Hai sentito le voci che arrivano dall’isola? Pare che con la fine dell’inverno arrivi una stagione ricca di cambiamenti...Stai pensando infine di tornare lì e prendere il manto di Kurdan ragazzo? O te ne vai per un’altro viaggio chissà dove?
La voce del locandiere del Picco risuonava rauca e grezza, mentre le rughe e i segni del freddo si contraevano in una espressione indagatrice.
Einar alzò appena lo sguardo verso di lui, mentre con calma preparava le sue cose.
No vecchio...Helcaraxe ha scelto una strada diversa dalla mia. Ora finalmente ho capito che il mio posto non è nell’isola, ma qui. Vivendo come ho sempre fatto.
Dunque, quanto starai via questa volta? Qualche settimana? Qualche mese?
Einar sorrise appena sotto la pesante barba ispida.
Difficile dirlo...sai meglio di me che il fato traccia strani e contorti sentieri. Forse farò ritorno presto, forse non farò mai più ritorno.
Quel che è certo però, è che tempo fa ho legato il mio sangue e il mio spirito, ad un branco! Che ora sta cacciando, da qualche parte nelle valli della Baronia, la sua preda.
Ho intenzione di riunirmi a loro.
Cosa avverrà dopo...solo Jurth può dirlo.
Mhpf...Fa come vuoi! Terrò le tue cose ancora per un po’ di tempo, ma se non ti vedo più tornare, butto tutto! Poi non lamentarti!
Non ho bisogno di quelle cose vecchio, buttale già ora!
Mi prenderò quel che serve dalle mie prede, con sangue e fatica.
Disse il cacciatore con un flebile sorriso, mentre poggiava un leggero fagotto sulle spalle.
Uscito dalla locanda venne investito dalla luce bianca del sole, con alcuni fiocchi di neve che gli turbinavano attorno.
I primi segni del disgelo invernale cominciavano a intravedersi, segno che la primavera stava tentando di scacciare il freddo inverno da quella Terra.
Osservò con calma il piccolo villaggio del Picco, come a volersi imprimere nella mente ogni particolare.
Una nuova caccia sembra attendermi dunque...aspettatemi fratelli, presto cacceremo insieme e saremo nuovamente branco!
Poi, con decisione si incamminò verso il sentiero che portava fino alle valli, immergendosi e scomparendo poco dopo, nelle fitte foreste della Baronia.
"Halfdan, del Picco" "Vegurinn til Valhallar"
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