[FdE] La Caccia Selvaggia – La Maledizione dell’Invidioso
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Ventottesimo giorno dell’Adulain – Anno Imperiale 284 – Terre Selvagge – Edoras
Gli astri risplendevano di luce argentea, illuminando pallidamente le Terre Selvagge. Il gruppo di Mezz’elfi si avviava in contrade pericolose, attraversando la foresta consapevoli che ben presto il momento sarebbe arrivato. Era ormai tempo, il Rituale che avrebbe fatto chiarezza sulla maledizione che a lungo era stata scagliata contro la Confraternita dei Figli di Eldor. Un misterioso e maligno male che si era insinuato negli animi dei Mezz’elfi e che stava mettendo a dura prova la loro forza di volontà.
In molti sarebbero impazziti nell’udire le macabre parole di quella voce sibillina e strisciante che con tanta facilità penetrava nella loro testa. Parole, incubi e visioni che aveva messo a dura prova la sanità mentale di tutti loro.. Eppure neanche per un istante la loro caparbietà vacillò, e diressero i loro passi verso la casa abbandonata per recuperare il mostruoso prigioniero Terathan.
Qualcosa però li mise in guardia.
Arrivati alle rovine della cascina udirono un rapido rumore. Come se qualcosa si stesse allontanando nella boscaglia. Alla porta vi era legato uno stallone dal manto scuro come la notte. Qualcuno li aveva preceduti. Messi in allerta, i Mezz’elfi aprirono il passaggio segreto e scesero nell’oscurità della stanza sotterranea con le armi pronte. Arrivati alla prigione della creatura aberrante non trovarono il Terathan, ma bensì qualcosa che ai loro occhi era assai più ripugnante ed innaturale.
Un Quenya dall’armatura scura come l’abisso più profondo, avvolto in una cappa color sangue, si trovò nella prigione ormai vacante. Le catene furono spezzate e del Terathan non vi era traccia. Il Quenya sfilò l’elmo, rivelandosi come Khel’dar, YarenLoki dei Guerrieri del Sangue.
Era stato lui a liberare la creatura, in quanto progenie della Velenosa Kheltra. Il verso stridulo della bestia doveva averlo attirato fin li.. Il loro sacrificio era dunque scappato ed ormai lontano. Vi era però qualcosa di più prezioso da offrire al Padre Suldanas quella notte. Il Primo seguace di Luugh su questa terra. Un assassino che durante la sua lunga vita ha trucidato, torturato ed ucciso un innumerevole quantità di mezz’elfi: Khel’dar stesso.
Il Quenya si oppose alla cattura combattendo con ferocia, ma la superiorità numerica era troppa anche per un guerriero del suo calibro. Venne ferito, disarmato e legato, ed infine si avviarono con il Quenya ormai ridotto allo stremo delle forze verso Edoras, pronti a celebrare il Rituale. Quando arrivarono all’avamposto, iniziarono i preparativi. Il sambuco e l’altare vennero adornati con ginseng e fiori degli spiriti. Il prigioniero venne portato dinnanzi alla pira.
L’odio annebbiò la vista dei Mezz’elfi. Era loro intenzione offrire il YarenLoki stesso in sacrificio a Suldanas, vendicando così la morte di molti Confratelli caduti per mano dei seguaci della Velenosa e del Bugiardo fra atroci sofferenze.
La Caccia Selvaggia aveva portato via molte vite. Brav’uomini e donne che cercavano solamente di vivere una vita dignitosa assieme ai propri simili, insieme alla propria famiglia. Il desiderio di Vendetta fu placato da un presagio che divenne nitido nella mente di Merilwen, la Strega della Confraternita:” Se il sangue dello YarenLoki avrebbe macchiato l’erba di quel luogo, qualcosa di orribile sarebbe accaduto”.
Fu così che decisero, quando sarebbe giunto il momento, di consegnare a Suldanas l’empio simbolo dei Seguaci dell’Invidioso: il mantello color sangue.
Nùt raggiunse il suo Zenit.
Il fuoco venne acceso.
Henya ed Aerendir tenevano fermo il prigioniero. Imbavagliato e dal viso imperlato di sudore e sangue.
Merilwen iniziò a concnetrarsi, mentre Aegon iniziò a bruciare l’incenso sindarin attorno alla strega.
Targur restò di vedetta su uno degli alberi più alti della radura, tenendo il suo arco pronto, ma il suo sguardo attento al rituale.
Gerath, Earon ed Aldarion ed il resto dei Fratelli si radunò attorno al fuoco, alimentando le fiamme con dei rami di sambuco.
Il Rituale iniziò.
Un silenzio innaturale avvolse la radura. I grilli cessarono il loro eterno frinire. Gli uccelli notturni ed altre creature del sottobosco sembravano essere svaniti. Il solo rumore nell’aria era la voce del Sacerdote, il crepitio della legna, il lamento del prigioniero, le parole della strega, che divennero man mano sempre più marcate ed inquietanti. Il tuono della sua voce mutò in qualcosa di inquietante.
Quando Merilwen, ormai posseduta da una forza misteriosa poggiò la mano sulla fronte di Khel’dar, che cercò di ribellarsi ma tenuto saldamente da Aerendir ed Henya, un oscurità avvolse tutti.
Sussurri. Voci.. ed infine la Visione.
Le menti dei Mezz’elfi viaggiarono oltre il tempo e lo spazio. Quando i loro occhi erano in grado nuovamente di vedere, si trovarono lontani da Edoras.. al cospetto del Tulip Nero. l’Empio e Scuro albero era circondato da più che neri Quenya ed appesi fra i rami più bassi vi era qualcosa che fece impallidire i Mezz’elfi: Teste mozzate dei loro fratelli caduti pendevano da una corda insanguinata.
I Guerrieri del Sangue agitarono le loro mani e pronunciarono arcane parole in lingua elfica. Lampi e fulmini illuminavano il cielo. Alcuni di essi colpirono i rami più alti, senza però recar loro danno.
Una voce riecheggiò nell’aria, talmente scura e viscida che sembrava provenire dagli abissi più impenetrabili di questo mondo:
“I Sussurri dell’Unico Avveleneranno la tua Mente. L’Unico Rimedio è la Purificazione”
La visione cessò, catapultandoli un’ultima volta nell’oscurità prima di riportarli alle mura di Edoras.
Stanchi, spauriti e stremati, i Confratelli terminarono il rituale, gettando la Cappa di Sangue tra le Fiamme Sacre.
I Volti dei Mezz’elfi erano colmi di terrore e paura. Ma anche di rabbia ed ira. Si avvicinarono al prigioniero. Per lui non sarebbe giunta la fine, per quanto il desiderio di tutti era di vederlo appeso alla forca. Il destino dello Yaren Loki era di essere usato come merce di scambio: La sua liberazione per l’annullamento del Maleficio.
Un messaggero partì subito alla volta di Nolwe, accompagnato con il favore delle tenebre mentre Kel’dhar venne scortato nella sua prigione, non dopo aver strappato dalla sua chioma argentea diverse ciocche di capelli. Reagente che un giorno sarebbe tornato lo utile.
I Mezz’elfi erano scossi e stanchi. Ma il loro obiettivo era stato raggiunto.
Per Edoras era arrivata la prima prova, dalla sua costruzione. Incessanti turni di guardia, lavori alle difese ed alle mura dell’avamposto vennero rapidamente approntati. Ben presto alle porte dell’Avamposto di Edoras sarebbe giunta l’armata dei Machtar Yaren a reclamare la loro guida.
Dovevano essere pronti a tutto.
– Parte II : Lo Scambio –
I mezz’elfi attendevano vigili a Edoras l’arrivo dei Luughiti.
Il messaggio scagliato con una freccia a Nolwe doveva essere stato sicuramente recepito, e vista l’importanza, non avrebbero tardato ad arrivare.
Nut rischiarava con la sua pallida luce le Terre Selvagge, mentre percorreva nella Volta Superiore la sua strada verso l’apice.
Rumori nella boscaglia attirarono l’attenzione dei mezz’elfi a guardia dell’ingresso, che richiamarono gli altri Fratelli all’attenzione. Qualcuno si stava facendo strada nella boscaglia poco distante dalla radura che separava il Campo dalla foresta.
Dopo qualche istante il drappello di Machtar Yaren sbucò fuori dagli alberi, svelandosi all’argentea luce della luna.
Gli elfi erano numerosi e armati.
Non si perse tempo in falsi convenevoli.
L’odio che vicendevolmente provavano l’un l’altro non aveva bisogno di essere celato, nè di spiegazioni.
Quella notte, si trovavano lì per un motivo ben preciso.
I Luughiti avevano scagliato una maledizione contro i mezz’elfi che li tormentava giorno e notte, veglia e sonno.
I Mezz’Elfi avevano catturato la loro guida, lo YarenLoki, ed erano pronti a tutto per spezzarla.
Entrambi quella notte, chiedevano qualcosa l’uno dall’altro.
Le trattative partirono subito.
I Luughiti volevano una prova tangibile che Kel’dhar fosse ancora vivo e incolume.
I Mezz’Elfi chiedevano da parte loro che la maledizione venisse spezzata.
Non mancarono i momenti di tensione, attimi in cui lo scontro tra le due fazioni si fece più reale che mai. Ma entrambi avrebbero avuto qualcosa da perdere quella notte, a prescindere dall’esito della battaglia.
Dopo una lunga ed estenuante trattativa, i Mezz’Elfi acconsentirono a mostrare agli Elfi il prigioniero.
Fu così che tirarono fuori dalla buca che i carcerieri avevano scavato e ben nascosto nell’accampamento, il prigioniero che, sporco di fango e di terra, fu mostrato ai suoi compagni.
Rassicurati che quanto i mezz’elfi asserivano fosse vero, gli elfi seguaci dell’Invidioso svelarono il simulacro.
Una testa mozzata di mezz’elfo.
Uno dei loro sacerdoti la estrasse da una sacca tirandola via con i capelli.
Con aria trionfa, la avvicinò al suo volto e sussurrò delle parole oscure.
Quelle stesse parole risuonarono nella mente dei mezz’elfi.
Così la visione che i mezz’elfi avevano avuto la sera prima, fu ancora più chiara.
Attraverso l’oscuro rituale compiuto intorno all’Albero Nero, i Luughiti erano riusciti a maledire i Figli di Eldor, e attraverso il sacrificio delle teste mozzate, riuscivano a “torturare” le menti delle loro vittime sussurrando le loro minacce alla testa che in quel momento gli veniva mostrata.
Organizzarono così lo scambio.
La testa per lo YarenLoki.
Lo scambio avvenne nella radura poco distante, e solo due – uno per gruppo, vi parteciparono.
Kel’dhar, stanco e provato, camminava a piccoli passi, costretto così dalle catene che ancora portava ai polsi e alle caviglie, tenuto dal mezz’elfo, mentre il sacerdote teneva ancora per i capelli la testa mozzata.
Quest’ultima fu lanciata nel terreno, che sobbalzando e rotolando raggiunse i piedi del mezz’elfo, guardandolo con occhi sbarrati e bocca aperta.
Gerath guardò con disgusto il feticcio, poi diede uno strattone al prigioniero, spingendolo in avanti.
Kel’dhar, incespicando, si diresse verso il suo compagno.
I tre si guardarono un’ultima volta.
Minacce di rivalsa volarono da una parte all’altra.
Poi, gli Elfi ripiegarono sparendo nella foresta.
I mezz’elfi avevano quasi spezzato la maledizione, ma affinchè tutto venisse compiuto, avevano ancora una cosa da fare.
Accesero un fuoco al centro del campo.
Qui, Berthir, sacerdote di Suldanas, pronunciò alcune parole, per poi gettare tra le fiamme benedette dal Dio della Vendetta la testa.
Quando finalmente le fiamme finirono di divorare la carne putrescente, una sensazione di sollievo si alzò dal Campo.
I Mezz’Elfi dei Figli di Eldor avevano spezzato la maledizione, le loro menti e i loro spiriti erano ora leggeri, sgravati da quell’oscurità che li aveva ottenebrati per lungo tempo.
Nut aveva iniziato la sua parabola discendente.
I Mezz’Elfi sarebbero rimasti ad Edoras quella notte, e silenti, iniziarono i turni di guardia mentre alcuni andarono a riposare nelle tende.
Quella notte, la pace e la quiete avrebbero trovato casa ad Edoras e nei cuori dei Figli di Eldor.
Uno dei pochi momenti di tregua per un popolo inquieto e alla ricerca di un suo posto su Ardania.