Ankor Drek

Esiste un luogo, un vero e proprio continente, raggiungibile solo al prezzo di grandi sacrifici, scoperto recentemente da alcuni prodi esploratori che ne hanno anche scelto il nome. Si tratta di un luogo che ha le proprie regole, le proprie leggi naturali, dove le popolazioni non hanno gli usi di Ardania e mostri e abomini imperversano. I popoli ardani hanno tentato di colonizzarla, costruendo gli avamposti sui luoghi più ricchi di risorse. Ne sono nati innumerevoli scontri per il loro possesso, che ancora proseguono ai giorni d’oggi.

 

Gli impavidi djaredin ed il coraggioso amoniano alla scoperta della Nuova Terra

Evento dell’epoca, scritto dai giocatori

A distanza di dieci anni questa storia ha assunto la forma di una leggenda, di una storiella per bambini o di qualcosa che forse non è mai accaduto. I mercanti eracliani la raccontano mentre propongono merci esotiche e gli esploratori la riconoscono come la storia dell’anno 0 di Vessa. Di certo c’è che il popolo della Triade, gli djaredin, ne è orgoglioso e ne parla argomentando con le notizie delle cronache ufficiali, e ad Amon ancora oggi si sorride con soddisfazione ricordando quel famoso anno.

Era la fine del 272 A.I. o 4237 del Ciclo Solare del Naggrund, “Mese di Archon”, per le cronache djaredin, e su Ardania stranissimi fenomeni facevano pensare alla rabbia degli Dei, alla fine del mondo o a segni di un’evidente imminente catastrofe. I guerrieri si preparavano ad una possibile battaglia affilando le proprie armi, i marinai assicuravano, con riparazioni da mastro, le chiglie delle navi, le giovani cercavano marito e i sacerdoti innalzavano preghiere con fervore agli dei.

“Certo qualcosa sta per accadere”, si dicevano tra di loro i Re e le Regine, cercando di capire come rassicurare i propri popoli, perché le creature che piovevano dai cieli, i maremoti che spaccavano le montagne e le onde marine così violente da spazzare interi villaggi costieri, non erano certo una cosa sottovalutabile! Ed in tutto questo vociare e correre, o imprecare e ridere, tra discorsi paurosi o cinici o ancora malvagi, qualcuno con temeraria spavalderia si imbarcava per cercare risposte lì, dove enormi saette parevano cadere nel mare aperto. E chi tornò indietro, vivo, per raccontarlo agli altri è ricordato come “I Primi di Ardania su Ankor Drek”, perché così fu che alcuni Djaredin e un “lungo”, un guerriero amoniano, finirono in un misterioso gorgo e poi sulle coste di una città di mare mai vista prima. Erano approdati a Vessa, dove uno djaredin non era mai stato visto pria di allora e incuriosiva o spaventava. Erano a Vesssa, il confine marino di una terra dove non c’era mai la notte e le stelle parevano scomparse.

Videro tribù selvagge, animali e piante straordinari con colori incredibili, ma anche virtuosissimi minatori, misteriose veggenti, foreste e savane e infine… ripresero il largo, alcuni dicono ubriachi per la gioia, ma comunque abbastanza eroici ed in salute per poter approdare nelle terre di Ardania e raccontare ai propri popoli ciò che avevano visto.

Fu così che ebbe inizio l’esplorazione del “Nuovo Mondo”, perché da quel dì in molti poi partirono, certi di trovare qualcosa. E tra questi, i primi diari dei Capitani di vascello facevano poi il giro delle biblioteche ardane.

Tra questi l’estratto che qui vi riporto. Buona lettura.

Dai fervidi racconti della Cantastorie Ronilda, della Lontana Locanda del Mare dell’Est.

 

*Estratto dal diario di Malsur O’ Tiennen, comandante della “Stella del Mattino”, così come egli ha voluto consegnarlo agli studiosi di Hammerheim al fine di documentare i fatti prodigiosi a cui egli stesso ha assistito e di organizzare una nuova spedizione nelle nuove terre da lui incontrate durante il suo ultimo viaggio, quello più importante della sua vita.*

24 Macinale 273
Finalmente, dopo giorni di nulla, avvistiamo la terra. Il galeone ha subito molti danni ma sembra ancora tenere il mare, forse riusciremo ad approdare e a fare le necessarie riparazioni senza troppi problemi. La mancanza di viveri a sufficienza mi spaventa un po’ ma conto di trovare qualcosa di commestibile per rifocillare la ciurma. Più difficile magari sarà ritrovare casa, visto che non riesco a comprendere la posizione della nostra nave, in quale meandro di Ardania saremo mai finiti? Forse a nord est, non ho mai battuto bene quelle isole … Il sestante non mi è molto d’aiuto in questa ricerca. Non comprendo come ho fatto a perdermi con così tanta facilità, ma il gorgo ha disorientato me e i miei uomini, facendoci roteare all’impazzata. Non vedo alcun riferimento in cielo, a parte i volatili … le stelle paiono essersi occultate tutte, e mi sa tanto di pessimo auspicio. Che sia una diavoleria o un’illusione creata da qualcuno di più potente di noi? Che gli dei stiano cercando di dirci qualcosa? Sono nervoso. L’atmosfera qua è diversa. Vi è luce ad ogni ora, ,ma non vi è sole … che sia stato annebbiato da nuvole che non riesco a scorgere perché troppo lontane dal mio occhio? Penso a casa e a Milelin ogni giorno. I suoi occhi verdi mi ricordano di non perdere mai il coraggio.

24 Macinale 273, tarda nottata
Notte fonda, secondo le mie previsioni. Ma qua continua ad esserci luce. Sicuramente mi trovo a una latitudine tropicale, ma inizio a essere spaventato quanto la ciurma… non riesco a tenerla tranquilla. Il sole qui non tramonta mai! Anzi, forse è meglio dire che non c’è proprio. Com’è possibile? Siamo forse finiti negli inferi? Ho chiesto al monaco che ci segue di raccogliere in preghiera la ciurma, stasera. Vorrei poterli vedere sereni, ma non è possibile. Ora temono il peggio, e non so cosa raccontare loro, visto che sono disorientato anche io.

26 Macinale 273
La terra non è più solo un puntino all’orizzonte. Il verde della vegetazione si mischia all’orizzonte col blu sconfinato di questo mare, la marea si è calmata, sono fiducioso. A breve potrò far riposare i miei uomini, il malumore inizia a dargli un po’ alla testa. Non vorrei rischiare l’ammutinamento, anche se siamo sempre stati ben affiatati. Piuttosto devo farli stare calmi una volta scesi a terra. Se troviamo civiltà civilizzate o meno, dovrò comunque fare da intermediario. Hanno fame di donna, e questo potrebbe essere un problema. Questi giorni che non finiscono mai, da quando siamo usciti con questa nave un po’ malandata dal gorgo, mi disorientano. Il non poter scandire il ritmo delle giornate con luce e buio mi frustra… com’è possibile un mondo senza oscurità? La speranza di trovare a terra qualcuno che possa spiegarmi qualcosa di questo luogo senza pianeti e senza notte mi mette addosso una maledetta fretta. Fortunatamente il lembo di terra, che è il nostro principale punto di riferimento, pare avvicinarsi sempre più. Ce la faremo, lo sento.

29 Macinale 273
Finalmente il dovuto riposo. Nei tre giorni passati, dall’approdo a questa sera in cui scrivo, senza luna né stelle né buio, non ho fatto altro che riempirmi gli occhi dei colori accesi della lussureggiante foresta nei dintorni, e le orecchie delle storie dei pescatori più anziani di questo piccolo villaggio, che si sostiene con la pesca e il commercio di prodotti locali. Quando abbiamo messo piede giù dalla nave, siamo rimasti sbalorditi dalla prima impressione che ci ha dato questo popolo. La loro lingua, che comunque è riassociabile al comune, presenta una cadenza del tutto particolare, e una ritmicità completamente diversa. Inoltre, indossano vesti dai colori sgargianti, come se tutti i colori che Althea ha regalato alla terra attraverso la natura gli si fossero incollati addosso, come una pennellata intensa di un bravo pittore. Il turchese, il giallo, il porpora, il verde.. ogni colore, nella tonalità più brillante, si appoggia sui loro corpi rendendoli quasi “chiassosi” alla vista, e visto la vitalità di questo popolo, la cosa non stona, anzi, li arricchisce. Allo stesso modo pare che il nostro abbigliamento e il nostro accento, molto diversi dai loro, li abbia spaventati a morte. All’inizio abbiamo avuto qualche problema… quando la gente di questo villaggio ha visto arrivare la nostra nave, ha subito pensato a dei briganti. Per loro siamo sconosciuti, forestieri, gente mai vista in vita loro, e come ho avuto modo di carpire in poco tempo, l’ignoto li terrorizza. Risolto il fraintendimento, abbiamo iniziato a integrarci, anche se con lentezza, con il popolo di questo lembo di terra. La ciurma si sta comportando bene, stenta ad abituarsi alle stranezze di questo luogo, ma non crea problemi al villaggio, cercando di riposare e di fare il proprio dovere in nave. Non ho visto nè elfi nè Djaredin in giro, pare che questo luogo sia stato colonizzato solo da umani. Dopodomani incontrerò uno dei notabili di Vessa, sembra un pezzo grosso da queste parti, arricchitosi grazie al fervente commercio di questa cittadina di mare. Pare che tutti i cittadini arricchiti formino una sorta di consiglio, che decide come gestire i problemi del villaggio e coordina le questioni, come dire, “burocratiche”. Oggi un’anziana signora si è attardata, mentre puliva le sue reti, a raccontarmi qualche piccolo aneddoto. Il loro isolamento non è volontario come io credevo. Questa gente non sa molto delle nostre terre, anzi, tutto ciò che fa parte ormai della nostra quotidiana vita, i luoghi, la storia dell’Ardania che noi conosciamo , per loro sono antiche leggende raccontate ai bambini alle feste del paese per farli divertire, o deliri di qualche simpatico vecchio che ha bevuto un po’ troppo alla taverna della locanda. Riguardo al gorgo… pare che in passato ce ne siano stati di mastodontici, e che spesso chi si è avvicinato troppo non è mai tornato vivo, ma è da più di 10 generazioni che non ne vedono uno, sembra così lontano il loro ricordo che addirittura le considerano antiche leggende. La vecchia parlava di “cielo che si scioglie cadendo nel mare, diffondendosi come una goccia di inchiostro in un bicchiere d’acqua”. Ma nessuno di loro, neanche i più anziani, ne ha mai visto uno coi loro occhi. Sanno solo che se appaiono, devono tenersene alla larga. Il fatto che siano riapparsi improvvisamente, visto che noi siamo approdati qui attraverso di essi, li terrorizza, e pensano sia segno di sventura.

30 Macinale 273
La vecchia Gylaa, a cui mi rivolgo ormai da giorni per scoprire sempre più particolari di questo mondo, mi ha spiegato che qui le stagioni non esistono, non sanno cosa siano. Essendoci sempre luce non hanno grossi cambiamenti climatici, la foresta che circonda il villaggio però non ne risente, anzi, cresce rigogliosa, perché comunque la pioggia cade anche qui. Quando ho fatto notare alla vecchia che non vedo nessuno dei pianeti o delle stelle a noi conosciuti, e che la notte non è mai buia, mi ha guardato come se fossi pazzo. Per loro avere la luce tutto il giorno è normale, semplicemente dormono con le tende tirate,e per orientarsi non si affidano alla volta stellata ma ai loro sensi, alle maree. E’ sconvolgente per me che solco il mare da anni non avere un punto fisso nel cielo a cui affidarmi. Inizio a temere di non poter più tornare a casa, e il pensiero mi spaventa a morte. Ma c’è una cosa che mi ha lasciato ancora più sconvolto. Mentre passeggiavo con lei per questi luoghi, ho notato dei piccoli tumuli a terra, e quando ho saputo che erano tombe, mi sono soffermato a pregare Awen di avere compassione delle loro anime. La donna mi ha chiesto cosa stessi facendo… quando le ho detto che pregavo Awen, è rimasta perplessa. Loro non conoscono i nostri dei, non sanno assolutamente nulla della loro esistenza. Credono nel mare, che gli da che vivere, nella forza della natura che li circonda, nella pioggia, la dura roccia, nel fuoco e nel vento… ma nulla di più. Le uniche “enitità” che paiono avere una forma quantomeno “divina” sono le Pargole della vita e della morte, chi dice di averle “viste” le descrive come due bimbe splendide, una vestita di chiaro e una di scuro, le quali prendono per mano chi viene al mondo e chi lo lascia, come guidandoli. Non paiono crudeli, ma semplicemente impassibili in volto, come se fossero statue, e decidono le sorti di ogni nuovo nascituro e di ogni anziano prossimo al trapasso. Per questo la gente del villaggio si riunisce in preghiera in caso di bambini in arrivo, o di malattie particolarmente gravi, per chiedere alle Pargole di avere un occhio di riguardo per loro. Onestamente, credo che sia un culto affascinante… e non esistono monasteri o sacerdoti, semplicemente ogni tanto ci si riunisce in preghiera, nelle case in cui vi è bisogno di aiuto e sostegno. Sono sicuro che se Milelin sapesse tutto ciò, ne rimarrebbe ammaliata. Non vedo l’ora di raccontarle di questo luogo straordinario…

31 Macinale 273
Finalmente uno dei notabili del villaggio, Corhar, mi ha ricevuto. Non sto qua a dilungarmi sulle domande con cui sono stato bersagliato al mio arrivo, la loro curiosità alla fine è pari alla mia, ognuno vuol scoprire il più possibile del mondo altrui. Ho aggiunto un altro tassello a quello che potrei definire un “mosaico variopinto”… anche qui esistono persone che tentano di minare la tranquillità e l’equilibrio del villaggio. Il notabile mi ha parlato di un gruppo di briganti, chiamato “i Banditi del Servo Nero”, che continuano a saccheggiare chiunque si avventuri al di fuori del villaggio. Ma la storia di come essi si siano formati mi ha suscitato non poca amarezza e compassione… anche perché non mi è stata raccontata dal notabile, ma sono riuscito, leggendo qualche libro di cronache del luogo, a farmi una idea dell’accaduto, anche se la signora Gylaa mi ha ricostruito un quadro più preciso aggiungendo particolari succulenti, che non credo il notabile mi avrebbe mai raccontato. Pare che il capo di questa banda subì ai tempi una grave ingiustizia. Anni fa infatti, sembra ci fosse un servo di uno dei notabili, un ragazzetto di 13 anni di nome Sihoe, che era malvisto da colui che gli dava lavoro. Il padre del ragazzino era un pescatore al suo servizio ma perdette tutti i suoi averi un giorno sfortunato, quando il mare grosso portò la sua imbarcazione, unica fonte di guadagno per lui, a schiantarsi contro gli scogli senza possibilità di rimedio. Non avendo più modo di guadagnarsi da vivere, il padre del ragazzo chiese denaro al suo notabile, ma non fu mai in grado di restituirlo visto la sua prematura morte, a causa di una brutta malattia. Il notabile, per recuperare il denaro imprestato, esigette che il ragazzo lavorasse per lui come servo, fino a quando il debito non fosse stato risarcito. Ma per il notabile si rivelò una seccatura più che una fortuna, il ragazzo, spedito sui mercantili di proprietà del suo padrone, stentava ad imparare qualsiasi mestiere, troppo gracile e giovane, ed era comunque da sfamare. Inoltre veniva continuamente vessato dai membri dei vari pescherecci, considerato un “peso morto” bravo solo a portare via il pane dalla tavola. A coronamento di questa funesta giovinezza, il ragazzo fu coinvolto in un assalto dei pirati a danni del mercantile in cui lavorava, ma ne fu l’unico superstite. Così oltre ad essere considerato un incapace, fu ritenuto responsabile della strage per aver dato ai pirati la notizia della loro presa per mare quel giorno, visto che non ci si spiegava come mai fosse stato l’unico risparmiato sulla nave da quegli uomini senza pietà, per questo fu allontanato da tutti, additato come “traditore” e si ritrovò all’età di 16 anni, a chiedersi a che pro stava continuando quella vita, visto che tutti lo credevano un ladro e un impostore, lo sarebbe diventato, e si sarebbe vendicato di tutto quello che aveva subito. Iniziò quindi a frequentare le peggiori bettole vicino alle miniere del villaggio più lontano, di nome Krall, dove conobbe i suoi nuovi “amici”, gente massiccia, senza scrupoli, violenta e rozza, che non si faceva problemi a tagliare una gola se quella persona non gli fosse andata a genio. Gente che come lui si era allontanata, perché emarginata da quella piccola comunità, ritenuta troppo pericolosa per un villaggio ridente come Vessa. Con questi creò una banda ben organizzata, dedita solo allo sciacallaggio e all’arricchimento, alla voglia di sangue e violenza, e pare ci sia riuscito senza troppi sforzi, visto la gente da lui reclutata. Le miniere diventarono da quel momento le loro migliori alleate, del resto, erano i luoghi che meglio conoscevano e sapevano orientarvisi all’interno come se fosse da sempre stata la loro casa. Si rifugiano tuttora in enormi caverne sottoterra, dove da li architettano i loro piano di conquista e sabotaggio, attuati sia sulla terra ferma che per mare. Sono diventati lo spauracchio del continente, temuti da chiunque, tanto che se al villaggio nomini i briganti del Servo Nero, la gente inizia a insultarti, come se avessi pronunciato una parola maledetta, come se avessi lanciato un’anatema….

*Il diario si interrompe e ne susseguono numerose pagine bianche*

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Geografia di Ardania