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Una parola di troppo

Posted: Sun Oct 23, 2022 8:08 pm
by Thorgun
*Seduto al fuoco flebile dell’accampamento, Thorgun guarda riflessivo la testa mozzata del ragazzo. I pensieri diventano limpide immagini che, nelle fiamme, riflettono il racconto della storia che portò a quella evitabile sentenza.*

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Eravamo nella sala di coloro che i suver chiamano “Imperituri di Aengus”.
Il nostro compito era quello di frapporre asce e scudi in difesa di un gruppo di studiosi: essi erano alla ricerca di risposte o indizi che permettessero di risollevare la situazione in cui il continente umano riversava, ormai stretto in una morsa di caos e terrore.
A sovrastare tutti, dall’altura di un rudere, vi era l’Abate che ci osservava severo, pronto a dare il suo giudizio. Gli altri esseri che ci si palesavano davanti erano mastodontici, indossavano possenti armature di eccezionale fattura, ed erano pervasi dal potere del fuoco che dominavano senza alcuna difficoltà.
Pensai che fossero i diretti discendenti del gigante di fuoco che domina le lande di Aengin, e che l’Abate fosse così vicino nelle fattezze ad Aengus stesso.

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Mentre gli studiosi ponevano le loro domande, un turbinio di pensieri pervadeva la mia mente e quindi non potei esimermi dal professare i miei dubbi su quanto venisse detto e asserito in quelle sale. Ciò che gli imperituri ritenevano essere una maledizione, ai miei occhi sembrava un dono divino che gli consentiva di battersi in eterno per la dimora che a loro era stata assegnata; guardiani delle sacre forge a cui era stato dato il compito di plasmare il sacro elemento per l’eternità.

Chiesi: “Perchè parla di crudeltà?”

Il ragazzo che il gruppo di studiosi si era portato a seguito rispose: "Perché in fondo lo è stata. Erano solo degli artigiani devoti che hanno pagato per un solo momento di debolezza, nel modo più crudele.”

Elwing, aggiunse: “Dovete capire che i Monaci sono stati puniti per aver desiderato proteggere tutto questo.”

Ribattei: “e perchè non lo stanno facendo? Hanno il dono delle fiamme e non so quanti cicli di vita possano vivere. Combattere nella terra del grande padre di fuoco permeati dalla sua essenza non è una maledizione, ma il Valhalla!”

La tetrarca ammonì: “Thorgun. Di grazia.”

Ma il ragazzo volle aggiungere: “ Thorgun, ti pago anche per tenere chiusa quella bocca.”

*Stringe forte tra le mani la testa del ragazzo. I suoi occhi diventano accesi di rabbia e guardando le fiamme continua a ricordare*

Ripercorremmo la strada da dove eravamo venuti e ci facemmo spazio nuovamente tra fiamme e lava, combattendo nella magnificenza di quel luogo pervaso da sacralità e tormento.
Thorkin, mastro fabbro benedetto dal Dio della Guerra, Signore delle fiamme e del fuoco eterno, volle consacrare quel momento, entrando nella sala delle grandi forge per onorare il Grande Padre: forgiò lì un pugnale affinchè venisse utilizzato per officiare i rituali del clan.

Usciti da quel posto, tornammo tra le nevi, e lì la discussione si riaccese. Puntualizzai il mio disappunto con Albert e rimarcai che quell’atteggiamento non era stato gradito: la promessa di un pagamento non era un mezzo di scambio per calpestare l’onore di un capoclan.
Il ragazzo reagì con strana superficialità, mentre il resto degli studiosi, vedendo la situazione infiammarsi nuovamente, stemperarono i toni invitando tutti al rientro.

Giunti a Tremec venne elargito il pagamento pattuito, ma persino qualcuno di estraneo al clan si accorse che qualcosa si era incrinato, e condividendo il mio pensiero disse:

Raul Uth Virserk: “hey! Alcuni uomini credono che il denaro possa comprare tutto…ma non è così”

Aggiunsi io : “per noi il rispetto va oltre il denaro se manca quello ogni cosa passa in secondo piano”

Mentre mi trattenevo a concludere la conversazione con lo studioso, vidi Dulbur separare una parte del denaro ricavato e riporla in un sacco, poi porgerla indietro al giovane ragazzo.
Albert domandò al nordico perchè gli stava dando indietro quei soldi.
Dulbur spiegò: "Queste monete dalle alla tua balia o alla tua famiglia…Presto dovranno comprare una drakkar e addobbarla con monili e offerte per affidarla all maree."

Albert forse non capì, e sollevando le spalle concluse con “ Come volete”.

Strano è il valore che un suver dà alla propria vita: impassibile di fronte ad una minaccia e menefreghista verso il tempo che gli viene concesso per rimediare all’errore commesso. Sono così sicuri della benevolenza divina che in alcun modo temono la morte. Eppure il mondo che ci circonda ci dà chiari esempi ed avvisaglie che tutto potrebbe terminare nel buio eterno.

Sono passati giorni, settimane e poi sei giunto a me. A cavallo del tuo destriero mentre i sicari di un verme mi danno la caccia.
Tu, piccolo stolto, che tra le scelte poste hai deciso l’alternativa peggiore. Avresti potuto chiedere perdono o combattere per difendere la tua posizione…Hai scelto nuovamente di infangarmi pensando di uscirne impunito… e ora sei qui tra le mie mani, mentre con occhi freddi guardi il mondo che prosegue la sua strada.

Possa il tuo dio darti una nuova occasione, così che tu possa rimediare ai tuoi sbagli. A me…resterà questa parte di te che userò come monito per gli altri.

Re: Una parola di troppo

Posted: Sun Nov 27, 2022 11:53 pm
by Thorgun
Chi nasce verme difficilmente muore orso....
Lo conobbi già prima che mettessi il manto di Kurdan e già allora disseminava dissidi e discordia, o il mondo andava come voleva lui o chi gli si opponeva era un inetto, un incapace o non meritevole di rispetto.
Il tempo lo allontanò da ogni cosa a cui diceva di tenere...ma alla fine ciò a cui era piu legato era il suo interesse e il rancore covato.
Il suo sputare su tutto lo affiancavano ad una capra, divenuta anche sua fedele compagna di cavalcate o ad una serpe che dissemina veleno mentre ti ammalia con le sue scaglie composte da scintillanti colori.

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Tutto iniziò nella grande rocca. Egli si occupava delle casse del regno; al tempo la citta si stava riprendendo ma non riusciva a comprendere che prima dell'interesse dei Syskar, vi era quello dell'intera comunità di Helcaraxe. Su questi argomenti ci trovammo spesso a discutere perché difficile era per lui fidarsi di chi aveva al suo fianco. Nel turbinio di questi eventi rocamboleschi volarono offese ed egli lasciò il nord.
A seguito di quei fatti egli fece debiti con le casse di Kaek e a noi, un tempo Vikingr il compito di sollecitarlo a saldare. Ad ogni incontro egli ci ignorava e non poche volte mancava di offendere il mio nome e di coloro che mi seguivano. Proposi più volte chiarimenti, sia con toni rilassati che con meri moniti aggressivi lì dove il suo atteggiamento mi faceva perdere le staffe.
Dopo anni e vicende turbolente, ci ritrovammo a Tortuga. Cercai di ignorare la sua presenza, il suo destino ormai non mi apparteneva e non volevo recare disturbo con le mie faccende personali al Governatore, che mediante il capitano Kendra, ci ospitava sulla sua isola.
Poi venne il tempo della guerra e al termine della stessa i teschi abbandonarono il covo per trovare gloria tra le armate amoniane. Il clan si trasferì nella jungla ad est del porto di Tremec, dove con Bartas erigemmo un accampamento. Pensavamo di poter vivere tranquilli ma tra le fronde notavamo una figura nota fare capolino di tanto in tanto. Inizialmente la ignorammo, poi durante un incontro con gli Ulfhendar di Venicius, me lo ritrovai quasi nel capo.
Come osava dopo tante offese e rancore sputato venire senza invito alla soglia della mia casa?!
Gli intimai di fermarsi e di scendere da quella sua maledetta capra. Gli urlai di entrare dentro all'accampamento disarmato e chiarire una volta per tutte ogni discussione lasciata in sospeso. Scese dalla capra ma mi guardò con il suo atteggiamento da folle e menefreghista. Non aveva alcuna intenzione di chiarire. Così, cercai di spaventare la sua capra per costringerlo a restare e trovare una volta per tutte una soluzione definitiva.
Con strani urli e un atteggiamento che lasciò tutti attoniti e si diede alla fuga.
Passarono giorni e seppi da Najid che quel folle mi aveva denunciato. Spiegai al Feddayn che avevamo un conto in sospeso, ma che conoscendo le leggi del deserto le tenevo lontane dalle terre dell'oasi. Egli mi diede ascolto, ma avendo cura della tranquillità degli ospiti, volle trovare una soluzione che accomodasse entrambi. Io promisi che la faccenda non avrebbe trovato sfogo nelle sue terre, ma gli confermai che prima o poi quel conto andava saldato in un modo o nell'altro.
Lo trovai dopo giorni nelle valli verdi, gli dissi che ero stanco dei suoi atteggiamenti e che l'ora era giunta per chiarire, secondo le nostre usanze, quel diverbio. Nuovamente la sua reazione fu la fuga e successivamente, fece appello ai sicari. E in cambio di oro, richiese la mia testa.
Su tutte le bacheche lessi le sue promesse di pagamento in cambio della mia morte per chi avesse portato a termine quanto richiesto.
Avvertii le autorità di ogni regno che ero mira dei sicari e li dove sarebbero avvenuti disordini chiesi di comprendere i miei atti in quanto, costretto a difendermi, avrei potuto lasciare alle mie spalle una scia di morte.
Feci dei Thing con i miei syskar e successivamente con i miei alleati. La notizia infervorò gli animi e da quel momento fu data caccia ad ogni folle che avrebbe accettato quell'incarico, e ancor più al mandante della minaccia di morte.
Giunse così il giorno...
Il 20 Orifoglia 286 mi arrivo una missiva a Tremec

Cavalcai attraverso le terre selvagge, giunsi lì dove era stato sancito il ritrovo e mi feci riconoscere dai syskar presenti e dalle furie appostate. Presi posto tra le fronde e attesi il segnale per intervenire aspettando che la capra finisse nella rete.
Forte fu lo sgomento quando vide la mia sagoma uscire dalla foresta! Iniziò ad urlare come un infante spaventato. Forse aveva capito che il tanto osare lo avrebbe portato ad un inevitabile fine. Per evitagli la fuga fui costretto a scendere dal destriero.

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Ma nel mentre veniva spaventata la sua capra, egli decise con versi strani di darsi alla fuga repentinamente le furie e i syskar si agguantarono su di lui e come lupi divorarono le carni delle preda.
Giunsi sul suo corpo esamine e dopo avergli dedicato un ultimo sguardo feci calare la mia ascia sul suo capo...

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Il lupo aveva morso e l'orso aveva ricevuto tra le mani il suo agognato pasto. La vendetta era conclusa. A lui la possibilità di vagare nelle lande grigie per la pavida fine scelta. Con la speranza di ritrovare la strada per le verdi valli, affinché gli resti come monito nella suo tempo a venire che il fato, per quando lungo e tortuoso, giunge sempre al suo compimento.