Portati dal mare
Posted: Mon Jan 27, 2020 3:26 pm
Relitti e messaggi in codice
La pioggia cadeva senza sosta ormai da due giorni. Il livello della palude si era alzato visibilmente, tracciando nuovi cerchi verdastri attorno ai tronchi sommersi. Una nebbia fredda ammantava il Rifugio, donandogli un’atmosfera quasi spettrale.
Dentro alla piccola locanda l’acqua gocciolava dalle travi, precipitando nei secchi di fortuna e trasbordando in rigagnoli che sparivano tra le fessure del pavimento. Il fuoco crepitava con schiocchi secchi, divorando la legna umida mentre scompariva in sbuffi ovattati.
Non si vedevano così tante persone al Rifugio da molto tempo. Mentre tiravo lunghe boccate di fumo dalla mia pipa, mi immersi in quell'atmosfera di festa, e per un istante mi parve quasi che fuori non infuriasse più il temporale.
Osservai le persone attorno al grande tavolo, lasciando che lo sguardo schivasse i numerosi boccali e le pietanze che Artiglio aveva preparato con cura. Mi appoggiai allo schienale della panca e meditai su quei volti.
Alcuni erano diventati ormai famigliari ed i loro sorrisi mi trasmettevano quel senso di calore fraterno tipico dei Prahla, altri invece erano ancora sconosciuti. Mi soffermai su questi ultimi, osservando come Rubina e Lithe fossero felici di rivederli. Cercai nella mia memoria le avventure che mi erano state raccontate e cercai di assegnare a quelle gesta quei nuovi visi che si godevano il loro ritorno a casa.
Mi commosse osservare come nonostante il tempo trascorso, il rapporto di fratellanza era rimasto acceso, non come un tizzone che viene mantenuto dal vento, ma come una vera e propria fiamma ardente, che si auto alimenta nonostante la lontananza, nonostante tutto.
E così eravamo tutti riuniti sotto a quel tetto gocciolante, dai cui squarci piombava la luce abbagliante dei lampi. Quel temporale tremendo aveva avuto almeno il pregio di riunirci tutti, facce vecchie e facce nuove. Il desiderio di stare insieme, di scaldarci e di fare festa, condividendo le avventure ed i nostri viaggi, avevano avuto la meglio sul temporale. Ma quel temporale portava con sé una nuova avventura.
Venti gelidi, mareggiate e strane creature
Il tamburo di Brucko suonava senza sosta, sovrastato unicamente dalle sue urla. Il vento gelido si scagliava con furia contro le pareti della locanda, sbattendo la porta e riversando folate di pioggia all'interno.
Alcune occhiate tra i presenti bastarono a trovare la conferma che quella strana sensazione fosse condivisa dagli altri compagni. Qualcosa non andava. Il vento si era gonfiato e sferzava con ancora più furia. Nonostante le fiamme del camino tentarono di farci desistere, ci stringemmo nei cappucci ed uscimmo nella gelida sera che ci avvolse inzuppandoci da lì a poco.
Il mare attorno alla penisola era in bufera come non lo avevo mai visto. Folate tremende spazzavano da nord, abbattendosi contro gli alberi e piegandone le sommità fino a spezzare i più fragili.
Ci tenemmo vicini e proseguimmo lungo la costa. Nonostante la potenza del vento non accennasse a placarsi dovevamo verificare da dove provenivano quei rumori e sopratutto, a cosa fosse dovuta quella sensazione “sbagliata” che ci stringeva come una morsa gelida.
Giungemmo sul capo settentrionale della penisola, aggrappati agli alberi cercammo di bucare l’oscurità della pioggia con i nostri sguardi scrutatori. Accendere una torcia era impossibile. Il vento soffiava a folate, innalzando onde gigantesche che presto esondarono sulla costa. Onde sempre più alte si stagliavano da quell'oscuro orizzonte lontano. Un orizzonte tanto invisibile quanto ribollente di inquietanti rumori e strani odori.
Le onde presero ad infrangersi sempre più vicine, portandosi appresso i primi esseri che ci avrebbero tenuti impegnati per l’intera serata.
Creature appartenenti al mare, con teste sproporzionate rispetto ai corpi, esseri ricoperti di scaglie, dotate di branchie e dagli arti palmati. Esseri pericolosi a discapito delle dimensioni contenute. Creste di pinne palmate alle cui estremità si erigevano spine acuminate come lance danzavano come foglie mosse dal vento, tagliando ed amputando qualsiasi cosa toccavano.
Quegli uomini pesce combattevano in maniera disorganizzata, ma non per questo erano meno pericolosi.
Ogni onda ne riversava a dozzine sulle coste. Poi mano a mano che le onde si gonfiarono, crebbero anche nel numero e nelle dimensioni. Creature ora alte quasi quanto gli alberi spezzati si abbattevano con furia combattendo con tutte le loro forze.
Esseri più strutturati e dotati di poteri magici resero lo scontro pericolosamente difficoltoso.
Onda dopo onda… creatura dopo creatura. Il vento sferzava con rinnovata furia. Per quanto avremmo retto?
Poi venne l’onda finale. Alta come ne se n’erano mai viste. E con essa arrivano creature ancora più potenti ed agguerrite. Esseri che parevano un tutt’uno con il mare, eppure in grado di muoversi agilmente anche sulla terraferma. Creature dalla straordinaria forza fisica ma dotate anche di poteri magici e di una resistenza incredibile.
Lo scontro fu terribile, ma infine riuscimmo a rimanere uniti, sconfiggendo quelle creature poco prima di crollare esausti sulla terra zuppa.
Il mare si placò, il vento smise di imperversare e le onde si ritirarono, smorzando la loro rabbia contro le coste.
Relitti e messaggi in codice
Ansimante e prossimo allo sfinimento cercai di alzarmi sulle gambe tremolanti. L’acqua prese a ritirarsi, trascinando con sé quei corpi viscidi e facendoli sparire in fondo al mare.
Quando alzai lo sguardo vidi i miei compagni, per fortuna stavamo tutti bene. Chi era già in piedi stava aiutando gli altri ad alzarsi. Lithe si prendeva cura dei feriti mentre noi cercavamo di riprenderci dallo scontro, nella paura che ne venissero altri.
Ma i corpi non erano l’unico lascito di quelle onde, un relitto era affiorato dalla terra, erosa dalla mareggiata e trascinata in mare. Una vecchia imbarcazione apparve parzialmente dissotterrata, liberata dopo chissà quanto tempo.
Si trattava di una piccola imbarcazione, costruita con un legno esotico. Esaminando quanto rimaneva, apparve subito chiaro come fosse stata costruita con una tecnica particolare e sconosciuta.
Esaminammo il relitto e ci trovammo confrontati con alcuni oggetti tanto interessanti quanto misteriosi. Raccogliemmo gli indizi e ormai stremati provammo ad unire i pezzi.
Tutti gli indizi sembravano condurre ad un villaggio di pescatori di nome Vessa. Quell'imbarcazione, così come le creature mostruose, dovevano essere fuoriuscite dal gigantesco gorgo che collega i due mari.
E così il nostro viaggio ci avrebbe portati a Vessa. Avremo rivisto una vecchia conoscenza, così diceva chi aveva buona memoria.
E così eravamo destinati a riprendere il cammino, lanciandoci in questa nuova avventura, tra facce vecchie e facce nuove.
La pioggia cadeva senza sosta ormai da due giorni. Il livello della palude si era alzato visibilmente, tracciando nuovi cerchi verdastri attorno ai tronchi sommersi. Una nebbia fredda ammantava il Rifugio, donandogli un’atmosfera quasi spettrale.
Dentro alla piccola locanda l’acqua gocciolava dalle travi, precipitando nei secchi di fortuna e trasbordando in rigagnoli che sparivano tra le fessure del pavimento. Il fuoco crepitava con schiocchi secchi, divorando la legna umida mentre scompariva in sbuffi ovattati.
Non si vedevano così tante persone al Rifugio da molto tempo. Mentre tiravo lunghe boccate di fumo dalla mia pipa, mi immersi in quell'atmosfera di festa, e per un istante mi parve quasi che fuori non infuriasse più il temporale.
Osservai le persone attorno al grande tavolo, lasciando che lo sguardo schivasse i numerosi boccali e le pietanze che Artiglio aveva preparato con cura. Mi appoggiai allo schienale della panca e meditai su quei volti.
Alcuni erano diventati ormai famigliari ed i loro sorrisi mi trasmettevano quel senso di calore fraterno tipico dei Prahla, altri invece erano ancora sconosciuti. Mi soffermai su questi ultimi, osservando come Rubina e Lithe fossero felici di rivederli. Cercai nella mia memoria le avventure che mi erano state raccontate e cercai di assegnare a quelle gesta quei nuovi visi che si godevano il loro ritorno a casa.
Mi commosse osservare come nonostante il tempo trascorso, il rapporto di fratellanza era rimasto acceso, non come un tizzone che viene mantenuto dal vento, ma come una vera e propria fiamma ardente, che si auto alimenta nonostante la lontananza, nonostante tutto.
E così eravamo tutti riuniti sotto a quel tetto gocciolante, dai cui squarci piombava la luce abbagliante dei lampi. Quel temporale tremendo aveva avuto almeno il pregio di riunirci tutti, facce vecchie e facce nuove. Il desiderio di stare insieme, di scaldarci e di fare festa, condividendo le avventure ed i nostri viaggi, avevano avuto la meglio sul temporale. Ma quel temporale portava con sé una nuova avventura.
Venti gelidi, mareggiate e strane creature
Il tamburo di Brucko suonava senza sosta, sovrastato unicamente dalle sue urla. Il vento gelido si scagliava con furia contro le pareti della locanda, sbattendo la porta e riversando folate di pioggia all'interno.
Alcune occhiate tra i presenti bastarono a trovare la conferma che quella strana sensazione fosse condivisa dagli altri compagni. Qualcosa non andava. Il vento si era gonfiato e sferzava con ancora più furia. Nonostante le fiamme del camino tentarono di farci desistere, ci stringemmo nei cappucci ed uscimmo nella gelida sera che ci avvolse inzuppandoci da lì a poco.
Il mare attorno alla penisola era in bufera come non lo avevo mai visto. Folate tremende spazzavano da nord, abbattendosi contro gli alberi e piegandone le sommità fino a spezzare i più fragili.
Ci tenemmo vicini e proseguimmo lungo la costa. Nonostante la potenza del vento non accennasse a placarsi dovevamo verificare da dove provenivano quei rumori e sopratutto, a cosa fosse dovuta quella sensazione “sbagliata” che ci stringeva come una morsa gelida.
Giungemmo sul capo settentrionale della penisola, aggrappati agli alberi cercammo di bucare l’oscurità della pioggia con i nostri sguardi scrutatori. Accendere una torcia era impossibile. Il vento soffiava a folate, innalzando onde gigantesche che presto esondarono sulla costa. Onde sempre più alte si stagliavano da quell'oscuro orizzonte lontano. Un orizzonte tanto invisibile quanto ribollente di inquietanti rumori e strani odori.
Le onde presero ad infrangersi sempre più vicine, portandosi appresso i primi esseri che ci avrebbero tenuti impegnati per l’intera serata.
Creature appartenenti al mare, con teste sproporzionate rispetto ai corpi, esseri ricoperti di scaglie, dotate di branchie e dagli arti palmati. Esseri pericolosi a discapito delle dimensioni contenute. Creste di pinne palmate alle cui estremità si erigevano spine acuminate come lance danzavano come foglie mosse dal vento, tagliando ed amputando qualsiasi cosa toccavano.
Quegli uomini pesce combattevano in maniera disorganizzata, ma non per questo erano meno pericolosi.
Ogni onda ne riversava a dozzine sulle coste. Poi mano a mano che le onde si gonfiarono, crebbero anche nel numero e nelle dimensioni. Creature ora alte quasi quanto gli alberi spezzati si abbattevano con furia combattendo con tutte le loro forze.
Esseri più strutturati e dotati di poteri magici resero lo scontro pericolosamente difficoltoso.
Onda dopo onda… creatura dopo creatura. Il vento sferzava con rinnovata furia. Per quanto avremmo retto?
Poi venne l’onda finale. Alta come ne se n’erano mai viste. E con essa arrivano creature ancora più potenti ed agguerrite. Esseri che parevano un tutt’uno con il mare, eppure in grado di muoversi agilmente anche sulla terraferma. Creature dalla straordinaria forza fisica ma dotate anche di poteri magici e di una resistenza incredibile.
Lo scontro fu terribile, ma infine riuscimmo a rimanere uniti, sconfiggendo quelle creature poco prima di crollare esausti sulla terra zuppa.
Il mare si placò, il vento smise di imperversare e le onde si ritirarono, smorzando la loro rabbia contro le coste.
Relitti e messaggi in codice
Ansimante e prossimo allo sfinimento cercai di alzarmi sulle gambe tremolanti. L’acqua prese a ritirarsi, trascinando con sé quei corpi viscidi e facendoli sparire in fondo al mare.
Quando alzai lo sguardo vidi i miei compagni, per fortuna stavamo tutti bene. Chi era già in piedi stava aiutando gli altri ad alzarsi. Lithe si prendeva cura dei feriti mentre noi cercavamo di riprenderci dallo scontro, nella paura che ne venissero altri.
Ma i corpi non erano l’unico lascito di quelle onde, un relitto era affiorato dalla terra, erosa dalla mareggiata e trascinata in mare. Una vecchia imbarcazione apparve parzialmente dissotterrata, liberata dopo chissà quanto tempo.
Si trattava di una piccola imbarcazione, costruita con un legno esotico. Esaminando quanto rimaneva, apparve subito chiaro come fosse stata costruita con una tecnica particolare e sconosciuta.
Esaminammo il relitto e ci trovammo confrontati con alcuni oggetti tanto interessanti quanto misteriosi. Raccogliemmo gli indizi e ormai stremati provammo ad unire i pezzi.
Tutti gli indizi sembravano condurre ad un villaggio di pescatori di nome Vessa. Quell'imbarcazione, così come le creature mostruose, dovevano essere fuoriuscite dal gigantesco gorgo che collega i due mari.
E così il nostro viaggio ci avrebbe portati a Vessa. Avremo rivisto una vecchia conoscenza, così diceva chi aveva buona memoria.
E così eravamo destinati a riprendere il cammino, lanciandoci in questa nuova avventura, tra facce vecchie e facce nuove.