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Qui i giocatori di The Miracle lasciano imprese, poesie, narrare eventi e grandi avventure avvenute e in svolgimento su Ardania. Linguaggio strettamente ruolistico.

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By Zyyto
#8448
Relitti e messaggi in codice

La pioggia cadeva senza sosta ormai da due giorni. Il livello della palude si era alzato visibilmente, tracciando nuovi cerchi verdastri attorno ai tronchi sommersi. Una nebbia fredda ammantava il Rifugio, donandogli un’atmosfera quasi spettrale.
Dentro alla piccola locanda l’acqua gocciolava dalle travi, precipitando nei secchi di fortuna e trasbordando in rigagnoli che sparivano tra le fessure del pavimento. Il fuoco crepitava con schiocchi secchi, divorando la legna umida mentre scompariva in sbuffi ovattati.

Non si vedevano così tante persone al Rifugio da molto tempo. Mentre tiravo lunghe boccate di fumo dalla mia pipa, mi immersi in quell'atmosfera di festa, e per un istante mi parve quasi che fuori non infuriasse più il temporale.
Osservai le persone attorno al grande tavolo, lasciando che lo sguardo schivasse i numerosi boccali e le pietanze che Artiglio aveva preparato con cura. Mi appoggiai allo schienale della panca e meditai su quei volti.
Alcuni erano diventati ormai famigliari ed i loro sorrisi mi trasmettevano quel senso di calore fraterno tipico dei Prahla, altri invece erano ancora sconosciuti. Mi soffermai su questi ultimi, osservando come Rubina e Lithe fossero felici di rivederli. Cercai nella mia memoria le avventure che mi erano state raccontate e cercai di assegnare a quelle gesta quei nuovi visi che si godevano il loro ritorno a casa.
Mi commosse osservare come nonostante il tempo trascorso, il rapporto di fratellanza era rimasto acceso, non come un tizzone che viene mantenuto dal vento, ma come una vera e propria fiamma ardente, che si auto alimenta nonostante la lontananza, nonostante tutto.

E così eravamo tutti riuniti sotto a quel tetto gocciolante, dai cui squarci piombava la luce abbagliante dei lampi. Quel temporale tremendo aveva avuto almeno il pregio di riunirci tutti, facce vecchie e facce nuove. Il desiderio di stare insieme, di scaldarci e di fare festa, condividendo le avventure ed i nostri viaggi, avevano avuto la meglio sul temporale. Ma quel temporale portava con sé una nuova avventura.

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Venti gelidi, mareggiate e strane creature


Il tamburo di Brucko suonava senza sosta, sovrastato unicamente dalle sue urla. Il vento gelido si scagliava con furia contro le pareti della locanda, sbattendo la porta e riversando folate di pioggia all'interno.
Alcune occhiate tra i presenti bastarono a trovare la conferma che quella strana sensazione fosse condivisa dagli altri compagni. Qualcosa non andava. Il vento si era gonfiato e sferzava con ancora più furia. Nonostante le fiamme del camino tentarono di farci desistere, ci stringemmo nei cappucci ed uscimmo nella gelida sera che ci avvolse inzuppandoci da lì a poco.
Il mare attorno alla penisola era in bufera come non lo avevo mai visto. Folate tremende spazzavano da nord, abbattendosi contro gli alberi e piegandone le sommità fino a spezzare i più fragili.
Ci tenemmo vicini e proseguimmo lungo la costa. Nonostante la potenza del vento non accennasse a placarsi dovevamo verificare da dove provenivano quei rumori e sopratutto, a cosa fosse dovuta quella sensazione “sbagliata” che ci stringeva come una morsa gelida.

Giungemmo sul capo settentrionale della penisola, aggrappati agli alberi cercammo di bucare l’oscurità della pioggia con i nostri sguardi scrutatori. Accendere una torcia era impossibile. Il vento soffiava a folate, innalzando onde gigantesche che presto esondarono sulla costa. Onde sempre più alte si stagliavano da quell'oscuro orizzonte lontano. Un orizzonte tanto invisibile quanto ribollente di inquietanti rumori e strani odori.
Le onde presero ad infrangersi sempre più vicine, portandosi appresso i primi esseri che ci avrebbero tenuti impegnati per l’intera serata.

Creature appartenenti al mare, con teste sproporzionate rispetto ai corpi, esseri ricoperti di scaglie, dotate di branchie e dagli arti palmati. Esseri pericolosi a discapito delle dimensioni contenute. Creste di pinne palmate alle cui estremità si erigevano spine acuminate come lance danzavano come foglie mosse dal vento, tagliando ed amputando qualsiasi cosa toccavano.
Quegli uomini pesce combattevano in maniera disorganizzata, ma non per questo erano meno pericolosi.
Ogni onda ne riversava a dozzine sulle coste. Poi mano a mano che le onde si gonfiarono, crebbero anche nel numero e nelle dimensioni. Creature ora alte quasi quanto gli alberi spezzati si abbattevano con furia combattendo con tutte le loro forze.
Esseri più strutturati e dotati di poteri magici resero lo scontro pericolosamente difficoltoso.
Onda dopo onda… creatura dopo creatura. Il vento sferzava con rinnovata furia. Per quanto avremmo retto?
Poi venne l’onda finale. Alta come ne se n’erano mai viste. E con essa arrivano creature ancora più potenti ed agguerrite. Esseri che parevano un tutt’uno con il mare, eppure in grado di muoversi agilmente anche sulla terraferma. Creature dalla straordinaria forza fisica ma dotate anche di poteri magici e di una resistenza incredibile.
Lo scontro fu terribile, ma infine riuscimmo a rimanere uniti, sconfiggendo quelle creature poco prima di crollare esausti sulla terra zuppa.

Il mare si placò, il vento smise di imperversare e le onde si ritirarono, smorzando la loro rabbia contro le coste.

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Relitti e messaggi in codice


Ansimante e prossimo allo sfinimento cercai di alzarmi sulle gambe tremolanti. L’acqua prese a ritirarsi, trascinando con sé quei corpi viscidi e facendoli sparire in fondo al mare.
Quando alzai lo sguardo vidi i miei compagni, per fortuna stavamo tutti bene. Chi era già in piedi stava aiutando gli altri ad alzarsi. Lithe si prendeva cura dei feriti mentre noi cercavamo di riprenderci dallo scontro, nella paura che ne venissero altri.

Ma i corpi non erano l’unico lascito di quelle onde, un relitto era affiorato dalla terra, erosa dalla mareggiata e trascinata in mare. Una vecchia imbarcazione apparve parzialmente dissotterrata, liberata dopo chissà quanto tempo.
Si trattava di una piccola imbarcazione, costruita con un legno esotico. Esaminando quanto rimaneva, apparve subito chiaro come fosse stata costruita con una tecnica particolare e sconosciuta.
Esaminammo il relitto e ci trovammo confrontati con alcuni oggetti tanto interessanti quanto misteriosi. Raccogliemmo gli indizi e ormai stremati provammo ad unire i pezzi.

Tutti gli indizi sembravano condurre ad un villaggio di pescatori di nome Vessa. Quell'imbarcazione, così come le creature mostruose, dovevano essere fuoriuscite dal gigantesco gorgo che collega i due mari.

E così il nostro viaggio ci avrebbe portati a Vessa. Avremo rivisto una vecchia conoscenza, così diceva chi aveva buona memoria.

E così eravamo destinati a riprendere il cammino, lanciandoci in questa nuova avventura, tra facce vecchie e facce nuove.

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By Kami'la
#8579
Cronache di una ricerca


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I boati della mareggiata continuavano a risuonare nella mia mente accompagnati da un’angosciante sensazione di terrore. Rigiravo tra le mani il medaglione ritrovato in quell’antico baule affiorato tra le rocce mentre un brivido mi percorreva la schiena.
Udii un vociare provenire dalla locanda, riposto il medaglione nella borsa e ravvivato il fuoco, decisi di raggiungere i prahla.
Come me, anch’essi ripensavano a quanto accaduto qualche sera prima e Rubina cominciò a parlarci di un vecchio amico della fratellanza, Tiaormoth, un anziano dedito allo studio e all’avventura, la sua dimora è Vessa.



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La curiosità è raminga, come sostiene sempre Rubina, e infatti bastò poco per ritrovarci tutti imbarcati alla volta del gorgo che ci avrebbe catapultati nel nuovo mondo.
Gli abitanti di Vessa, diffidenti e impauriti dai rumori provenienti dalla foresta, richiudevano i loro usci al nostro passaggio, il nostro vecchio amico però, superata la sorpresa dell’incontro inaspettato, fu lieto di vederci e di conoscere i nuovi arrivati.



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Tiaormoth si presentava come un anziano mingherlino e con una lunga barba e il suo portamento, pur aiutandosi con un bastone, era però dritto e composto. Un cappellaccio consunto gli calcava la fronte mettendo in risalto un paio di occhietti vispi e curiosi, lo sguardo di chi ha visto tanto, ma sa ancora stupirsi.
Terminate le presentazioni, e parlottato degli assenti, estrassi un fagotto dalla sacca mostrandone il contenuto: un brandello di quello che un tempo poteva essere stata una vela, un medaglione con una scritta sbiadita recante le parole “La Furia dei Mari – Vessa” e una conchiglia con un’incisione sconosciuta. Tiaormoth riconobbe l’orditura della randa come familiare, ma alla vista della conchiglia sgranò gli occhi e non ebbe più dubbi, quegli oggetti riconducevano proprio al luogo in cui ci trovavamo!
L’anziano riconobbe nella conchiglia un Impegno di Caccia molto antico, una consuetudine in cui un accordo veniva sugellato tramite un oggetto simbolico che ricordasse ad entrambe le parti i patti l’impegno preso, una tradizione che ormai si è persa nel tempo e che conferma le origini storiche del nostro semplice artefatto.



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Avevamo decisamente incuriosito il nostro amico e quando gli confessammo che avevamo ritrovato anche delle ossa umane insieme ai reperti, divenne serio e pensoso, decise così di condurci al porto, nelle sale in cui il notabile di Vessa conservava gli archivi del villaggio.
Corhar, il notabile, ci raggiunse in pochi minuti portando con sé un tomo logoro e antico. La Furia dei Mari era un nome molto noto anche se datato, si trattava della nave comandata dal Capitano Paley. Corhar ci fece accomodare e iniziò a raccontare:


“Il comandante della Furia dei Mari scomparso con la nave e l'intero suo equipaggio moltissimi anni fa, sicuramente molto prima che si venisse a conoscenza dell’esistenza di un altro mondo…”


Tutti seguivamo il racconto del Capitano Paley e del suo coraggioso equipaggio in assoluto silenzio e rispetto… quasi tutti, qualcuno pareva sonnecchiare, ma forse era solo molto rapito dalla storia, qualcuno commentava a modo suo, probabilmente più accorto ai dettagli... ma l’emozione ci rapì davvero tutti quanti quando Corhar, (pur nella sua compostezza si poteva notare di tanto in tanto la voce rotta dalla commozione) lesse a voce alta alcune pagine del diario di bordo del Capitano.



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“Una notte stavo di vedetta alle sartie, il vento soffiava impetuoso. Un pallido chiarore rifulgeva e si oscurava e un luccichio di fosforo saliva dalla scia del gigante che solcava lento il mare. Incrociavamo la sua rotta da giorni, studiavamo il suo vagabondare, pronti a cogliere l'attimo. Davanti a noi, nuotavano sotto di lui nel libero elemento, guazzavano e si tuffavano per gioco, lotta o caccia, pesci di ogni colore, forma e genere. Lingua non può descriverli né tela dipingerli e nessun marinaio li ha mai visti, dalla paurosa creatura a quei milioni che popolano ogni onda. Raccolti in banchi immensi, come isole galleggianti, guidati da istinti misteriosi, ci attiravano per quelle regioni desolate e senza mappa ove attendono da ogni parte nemici voraci: mostri cui armano la mascella e la fronte spade, seghe, corni, tentacoli e zanne adunche. Noi stessi ci eravamo impegnati a vedere se fosse possibile catturare ed uccidere questo mostro, perché non avevamo mai sentito di nessuna di questa specie che venisse uccisa da uomo, tanta è la sua ferocia e sveltezza. Ma fummo stolti e presto capimmo che non eravamo noi a darle la caccia ma lei a guidarci nel suo regno incantato da dove non saremmo potuti fuggire. All'improvviso una massa immensa emerse dall'acqua e si scagliò verticalmente in aria... era lei, la creatura abominevole! Lanciammo gli arpioni affilati e calammo le scialuppe in mare per l'inseguimento. Le corde fumavano e dovevano esser bagnate dall'acqua affinché non si spezzassero. Con le vele spiegate la inseguimmo e colpimmo più volte. Ma improvvisamente, impazzito per il dolore inferto, il mostro infuriato si rivolta solleva la sua testa enorme e spalancando le mascelle attacca tutto ciò che gli sta intorno. Si scaglia di testa contro la fiancata, afferra la chiglia e la scuote, nel tentativo di spezzarla e con le possenti pinne distrugge le lance come fuscelli. Quelli di noi caduti in mare non ebbero scampo ed uno ad uno finirono nelle sue fauci. E la sola consapevolezza fu che la loro sorte amara permise a noi di sottrarci alla rovina e far nuovamente rotta con la Furia ferita verso casa.”


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Ammutolimmo per un po’, poi cercammo di ricostruire l’accaduto accettando infine la spiegazione più plausibile. Così, l’impavido Paley e il suo coraggioso equipaggio trovarono la morte sulle nostre sponde, scampati alle fauci della creatura, forse trovarono la morte nei terreni paludosi e inospitali, a loro sconosciuti delle Terre Selvagge.
Restava da sapere se l’abominevole creatura fosse sopravvissuta o costituisca tuttora un pericolo per i nostri navigatori, avremmo indagato, ma non prima di aver restituito a Vessa le spoglie dei loro eroi onorandone la loro memoria secondo le tradizioni del villaggio.
Riprendemmo la via del ritorno, quasi intimoriti dalle onde e pieni di interrogativi.
Fissavo il mare in silenzio, scrigno di ricchi tesori e temibili creature, esso prende e restituisce a suo piacimento, la sua dea, la mia Danu, saprà dirmi cosa fare anche questa volta.


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By l:.Akasha.:l
#10382
La serata era ancora giovane e tranquilla, mentre i Ramjalar erano seduti attorno al loro fuoco di bivacco preferito.
Tuttavia, benché stessero chiacchierando giovialmente tra loro, qualcosa preoccupava i loro animi.
Rubina stava riferendo agli altri di come una luna addietro il loro amico e ospite del rifugio, Bruck, cominciò a urlare e correre agitato, richiamando la sua attenzione.
A onor del vero, da quando conosceva quel nordico, la raminga sapeva che quel suo comportamento esagerato era la sua natura e quindi sulle prime non badò troppo al suo racconto.
Le aveva riferito che mentre pescava con la sua canna sul promontorio della penisola del rifugio, un’ombra gigantesca, a suo dire grande quanto il rifugio, si era palesata nelle acque vicino la costa, per poi sparire.
Non sapeva se fossero le sue solite esagerazioni, unite al fatto che si trattava comunque di un racconto di un pescatore… e i pescatori, si sa, tendono ad aumentare le dimensioni di quanto vedono!
Ovviamente Rubina non aveva dimenticato quanto avevano appreso presso il notabile di Vessa, ma si rifiutava di credere le due cose fossero collegate.

Neanche il tempo di aggiornare i suoi Prahla che al bivacco sopraggiunse il loro vecchio amico Tiaormoth… Uno che negli ultimi tempi non si schiodava mai da Ankor Drek se non ci fosse stata qualche rogna…
Le speranze per la raminga che anche tutto ciò continuasse ad essere una coincidenza cominciarono a sgretolarsi nel suo cuore.
“Di solito quando appare lui, succede qualcosa di grosso!” affermò Chioma mentre vuotava l’ennesima bottiglia di vino… e purtroppo aveva ragione
Il sorriso con cui il vecchio vessese li accolse infatti, tradiva una certa preoccupazione:
“Vecchi amici, temo che qualcosa di terribile sia accaduto…” esordì aggiungendo “La coincidenza è troppo grossa per considerarla davvero tale. Pare che in qualche modo le nostre azioni abbiano risvegliato la Bestia Marina”.

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Una cupa ombra rabbuiò il viso di tutti i presenti poiché a suo dire quel mostro non solo aveva ripreso a infestare i mari di Vessa, ma dai racconti di molte genti ardane, in qualche modo era riuscito ad approdare anche al di là del Grande Gorgo…
…o forse dovremmo dire “Al di qua” pensò amaramente Rubina
Tuttavia ancora non c’era la certezza che le cose corrispondessero… ”Cosa ci assicura che sia la stessa? Tutto sommato il mare è pieno di creature simili” ribatté anche Lithe.
In quella, giunse arrancando verso il gruppo un uomo, ferito e dai vestiti laceri, che ebbe appena le forze di attirare la loro attenzione ed invocare il loro aiuto, prima di crollare a terra esausto.
Dopo averlo soccorso, l’uomo ansimò a fatica e, con ancora il terrore negli occhi, di essere il capitano di una nave, appena stata distrutta e inghiottita assieme al suo sfortunato equipaggio da un enorme mostro degli abissi.

Oramai anche l’ultimo dubbio, nel quale tutti speravano, svanì… Si trattava proprio dello stesso flagello divenuto tristemente noto a Vessa.
Il racconto dettagliato di un esperto navigatore quale Bendill, così si chiamava il capitano sopravvissuto, non poteva lasciar spazio ad altre spiegazioni.
E ora i Ramjalar si trovarono di fronte ad una difficile decisione da prendere…
Avrebbero potuto affrontare un mostro così enorme e potente? Non sarebbe stato forse meglio chiamare ulteriore aiuto?
Ma non c’era tempo per tutto ciò…oramai non c’era nemmeno più il tempo per discuterne: se la bestia si trovava nella acque di questa regione, era loro dovere fare qualcosa affinché essa non mietesse altre vittime.
“Dobbiamo almeno accertarci sulla sua posizione” disse Rubina, sapendo che però una volta incrociata non avrebbero potuto tirarsi indietro.
Così i Prahla, ormai equipaggiatisi a dovere, si imbarcarono sul veliero di Tiaormoth, che li accompagnò nell’impresa.
Cercarono di controllare le maggiori rotte dei Mari del Sud che conoscevano, ritenendo che il mostro fosse in agguato proprio dove transitavano le navi più grandi.

Assestatasi sulla passerella della nave, Rubina stringeva forte la sua lancia per cercare di fermare il tremito di paura che la assaliva e non far tremare il suo scudo di fronte agli altri.
Aveva sempre combattuto i peggiori esseri di Ardania sulla terraferma, sicura di poter far affidamento sulla sua agilità e sui suoi riflessi, affinati da tanti anni di avventure, per sopravvivere a qualsiasi insidia. Ma ora…
…ora era bardata con una pesante armatura di metallo, appesantita da un grosso scudo e inchiodata su quella passerella... timorosa avanguardia dei suoi Prahla,
Portando il manto Ramjala da più anni degli altri e avendo insistito sull’agire, la raminga sentiva ora sulle sue spalle e in cuor suo anche la responsabilità delle loro vite.
Forse avevano preso troppo alla leggera la cosa? Interi equipaggi erano finiti divorati e avevano fallito quel che loro ora si apprestavano a tentare.
Eppure i Prahla, nonostante qualche commento pessimistico, non si erano persi d’animo e sulla nave non regnava quel mesto silenzio di chi oramai attende la propria fine. Questo rinfrancò la raminga portandole rinnovata determinazione.

Così, quando la temuta e mastodontica ombra si palesò minacciosamente sulle acque innanzi alla loro nave, tutti reagirono come meglio poterono, con Tiaormoth che gridava loro di mantenere la calma.

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Rubina si sporgeva affondando la sua lancia ad ogni passaggio della bestia, mentre gridava ordini assieme agli altri a chi era al timone, e lo stesso faceva Chioma col suo arpione.
Hisilome scoccava le sue frecce con la precisione e la fermezza d’animo che solo secoli di esperienza possono dare. Tempo e Artemius si adoperavano con i loro incanti arcani mentre Lithe, Artiglio e Bowen richiamavano ognuno i poteri della propria fede per infondere a tutti sicurezza e protezione.

Dopo alcuni passaggi radenti e subendo alcune ferite, probabilmente trascurabili così come tutti gli arpioni che aveva conficcati sui fianchi, la creatura cominciò a sviare gli attacchi dei raminghi, dimostrando una certa astuzia e intelligenza.
Di che razza di leviatano doveva trattarsi, se nemmeno palesandosi fuori dai flutti, la sua sagoma anneriva tutto il mare attorno a sé?! E dove si era cacciato ora? D’un tratto era come sparito…
I Prahla cominciavano a chiedersi se la loro tattica fosse adeguata alla situazione, quando la grande nave cominciò a tremare in maniera strana e inquietante.
All’improvviso delle…”pareti” si innalzarono tutt’intorno a loro…accompagnate da un ruggito incredibile…e dalle urla di terrore dei raminghi. Ebbero appena il tempo di constatare con orrore che si trattava delle fauci del mostro, che la sua bocca si richiuse inghiottendoli nell’oscurità.

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Era questa la loro fine?
Non occorrevano poteri telepatici per capire che ognuno, dal primo all’ultimo, si stava ponendo la medesima domanda.
Eppure erano ancora vivi e dopo pochi istanti riuscirono anche a ricominciare a respirare…
Grazie alla magia poterono squarciare l’oscurità del luogo dove si trovavano, solo per osservare con spavento l’interno del gigantesco stomaco del leviatano.
Il tempo di riprendersi e accettarsi di esser tutti vivi e cominciare ad affondare pesanti passi in quell’umido e fetido “antro”, che le interiora rigurgitarono parassiti e altre ripugnanti creature che si avventarono sui Ramjalar.
Mentre ne abbattevano diverse, altre continuavano a palesarsi, così i Prahla cercarono anche di guardarsi attorno pensando a un modo per salvarsi, intrappolati nell’umido e nel fetore, con un lento e rimbombante battito che scandiva quei momenti di panico.
“Dobbiamo farci largo tra le interiora…” disse Hisilome, mentre Chioma ribattè “Magari la facciamo vomitare?“
Subito dopo però, si accorsero che in un angolo, nell'ombra, c'era qualcosa di strano che...pulsava... una sorta di organo.
Avvicinandosi, i raminghi si resero conto che doveva proprio trattarsi del cuore della bestia e tentarono il tutto per tutto infilzandolo e colpendolo con le loro armi appuntite.

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A ogni colpo grosse schizzate di sangue fuoriuscivano da esso... e alla fine sì udì un altro ruggito seguito da un forte boato.
Non avendo altre idee, i Ramjalar presero a colpire anche le “pareti interne" del mostro, così da creare un varco nel quale si buttarono senza pensarci troppo.

Ancora oscurità...ma ora l'acqua li circondava e sommergeva completamente.
Però questa volta i Prahla riuscirono a scorgere una luce in lontananza sopra di loro: erano finiti sul fondo dell'oceano.
Una faticosa e non facile nuotata li riportò in superficie, poco prima che annegassero sul serio.
Ormai esausti, a stento guadagnarono le rive di una spiaggia, che riconobbero subito essere quella settentrionale della Tartaruga e si sincerarono sulle condizioni di tutti.
“e così...gli abbiamo davvero aperto un fianco?!” disse incredula Rubina rivolgendosi a Tiaormoth “Pensate che...l'abbiamo ferito a morte?”.
“Ha avuto quel che si meritava!” rispose il vecchio amico “il suo cuore non batteva più oramai”.

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Benchè Tiaormoth affermasse che si fossero meritati una grande bevuta avendo vissuto la più grandiosa delle avventure, i Prahla erano troppo stanchi per festeggiare. L'ora era tarda, così faticando non poco riuscirono a guadagnare di nuovo la penisola del rifugio.
Lì trovarono il capitano Bendill, fermatosi a rimettersi in forze e gli narrarono il loro incredibile racconto e il suo lieto epilogo
“Siamo troppo indigesti perfino per un leviatano!” sorrise Rubina assieme ai suoi Prahla, lieta che tutti fossero tornati sani e salvi al loro amato cantuccio e che li attendesse come premio un meritato riposo
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By Kami'la
#11548
L’olezzo fetido di quelle interiora pervadeva ancora le nostre narici così come il ricordo della terribile avventura. Ancora increduli che dove avesse fallito il capitano Paley potesse esserci riuscito un gruppo all’apparenza sgangherato come il nostro, cominciavamo a rilento a riprendere le faccende quotidiane, ma molte domande non avevano ancora risposta, fra tutte, quella che ciascuno si poneva era cosa potesse aver risvegliato, dopo forse un centinaio d’anni, quella creatura orribile.

In qualche modo questi avvenimenti avevano fatto nascere qualcosa di nuovo, un legame ormai incatenava profondamente noi ramjalar con gli amici di Vessa, amicizia, rispetto e gratitudine emergevano da entrambe le parti, così un giorno ci dirigemmo ancora alla volta di Vessa.

Il viaggio fu tranquillo e sereno, i mari ormai molto più sicuri infondevano forza e determinazione, riuscivo a sentire la presenza benevola della dea che ci accompagnava lungo la rotta.

Giunti al molo di Vessa notammo subito una moltitudine di gente lungo le banchine, dovevamo esser capitati in un momento particolare. In effetti trovammo Corhar ad accoglierci, per niente stupito della nostra venuta. Stava per celebrarsi un semplice rito che avrebbe restituito i corpi di Paley e i suoi marinai al mare, elemento in cui tutto prende vita e tutto vi ritorna.


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Corhar ci condusse lungo il porticciolo mostrandoci il luogo dove la Furia dei Mari venne costruita, poi lentamente si chinò a raccogliere una conchiglia:

“Simbolicamente questa conchiglia rappresenta la chiusura di un cerchio, con una conchiglia raccolta in questa spiaggia fu sugellato il patto con l’equipaggio della Furia e don il suo Comandante, ed è oggi il giorno in cui i suoi resti ritorneranno al nostro mare grazie al vostro prezioso aiuto”.

Giungemmo infine sul molo, prima dell’inizio del semplice rito Corhar volle dirci ancora qualcosa:

“Il mare da un lato è la nostra casa e dall’altro la foresta che ci separa da terre aspre e dense di pericoli, Vessa ha sempre vissuto questo equilibrio ed oggi posso permettermi di dire che forse voi, fra tutti i visitatori potete ben comprendere questa delicata posizione. E per questo che abbiamo ritemuto giusto onorare con riconoscenza le vostre azioni contribuendo a lasciare un segno della nostra cultura sulla vostra tormentata costa, un luogo di ospitalità per chi ne ha bisogno, per chi parte per mare o intraprende il cammino a terra.”

Commossi e onorati da quelle parole, prendemmo dunque posto ai lati dei moli insieme agli altri vessani che in ossequioso silenzio attendevano la celebrazione.
Corhar stesso celebrò il semplice rito, non esistono sacerdoti a Vessa, né una religione simile alla nostra, imparammo qualcosa ascoltando le semplici parole del notabile:


“Oggi le Pargole riportano a casa l’equipaggio della Furia dei Mari, accolgono il loro ritorno con grida festanti di bambini come i figli che questi hanno avuto, come tutte le volte che questi bambini li hanno accolti, figli che son cresciuti nel ricordo di quei volti, figli oggi non ci sono più e di cui noi possiamo finalmente dirci eredi e testimoni”

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Corhar srotolò un involto da cui estrasse un sacchetto di cenere che versò con molta cura nel cavo della conchiglia, si chinò poi sul pelo dell’acqua e poggiando la conchiglia tra i flutti. IL suo sguardo si perse in avanti verso l’orizzonte e socchiuse gli occhi restando immobile, quindi con voce calma e decisa recitò:

“Ho visto barche che restano nel porto per paura che le correnti le trascinino via con troppa violenza.
Ho visto barche che arrugginiscono in porto per non aver mai rischiato una vela fuori.
Ho visto barche che si dimenticano di partire, hanno paura del mare a furia di invecchiare.
E le onde non le hanno mai portate altrove, il loro viaggio è finito ancora prima di iniziare.
Ho visto barche che restano ad ondeggiare per essere veramente sicure di non capovolgersi,
ma ho anche visto barche che si consumano sulle rotte dell’oceano ove le porta il loro gioco.
Ed ho visto barche che non hanno mai smesso di uscire una volta ancora, ogni giorno della loro vita
E che non hanno paura a volte di lanciarsi fianco a fianco in avanti a rischio di affondare.
Infine, ho visto barche straboccanti di sole perché hanno condiviso anni meravigliosi.
Fra tutte queste, ho visto una barca che è tornata sempre quando ha navigato, fino al loro ultimo giorno.
Ed è pronta a spiegare nuovamente le sue vele perché ha un cuore a misura di oceano.”
*

Mentre queste parole venivano recitate, lasciando pensosi e ammutoliti tutti i presenti, Corhar calava la conchiglia con le ceneri sull’acqua, l’acqua del mare lambiva l’apertura della conchiglia prima e la riempì poi lasciandone fluire la cenere nel mare, infine Corhar lasciò andare la conchiglia che ondeggiando scomparve sprofondando.
Il cerchio dunque era chiuso. Corhar ci fece dono di una conchiglia identica a quella usata nel rito e tutti insieme ci spostammo per fare il punto della situazione.


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Raccontammo al notabile come si era svolta la nostra caccia al leviatano e ragionammo insieme sul perché esso si fosse risvegliato in coincidenza col ritrovamento del Capitano.
Di sicuro esisteva un legame tra la creatura e Paley, un legame che andava oltre il semplice intuito del capitano a fiutare la sua preda. Chissà, forse una volta liberato il suo spirito grazie alla mareggiata, egli stesso aveva richiamato la creatura…

Superstizioni? Magie? Prodigi? Forse non conosceremo mai la risposta, ma la storia aveva avuto una fine e certamente ora noi raminghi avevamo a Vessa nuovi amici e un porto sicuro a cui far ricorso nel momento del bisogno.





*”Conosco delle barche” di Jacques Brel
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