- Sat Dec 21, 2019 1:52 pm
#6225
Tamburi. Tamburi in lontananza.
Gli anziani e gli adulti della tribù si erano accostati nei pressi del grande fuoco, lì dove il letto di foglie era stato approntato per il rito. Riempivano l’aria con canti e gesti propiziatori, bruciando il grasso degli animali, triturando bacche ed erbe odorose, decorando la pelle con segni e simboli.
All’arrivo del mezz’elfo, i bambini presero a correre cantando:
Oma, oma, oma, ka haere te tangata ma
(corri, corri, arriva l’uomo bianco)
raraku, raraku, ka tae mai te waka!
(gratta, gratta, arriva il mezzo!)
Spire Nere gli concesse di varcare la soglia del villaggio, ma non prima di un’adeguata preparazione.
Ashgan fu fatto spogliare delle sue vesti e ricoperto di una fanghiglia limacciosa raccolta da Makena e da Inuwa, poi venne condotto e fatto distendere lì dove tutto era pronto perché la guarigione del mezzosangue potesse avere luogo.
Quel punto dell’isola rappresentava ora il centro di Yarda, una porzione di terra consacrata alla purificazione con l’intervento sovrannaturale degli Spiriti.
Prima salì il fumo, denso e pregno di odori acri di erbe e di funghi allucinogeni, fatto spandere dalla Pochteca Najwa e da Spire Nere per purificare se stesse e Ashgan, assistite da Makena. Poi, insieme con il fumo, salirono le prime invocazioni ai Kigi e a Mami Tata per ottenere protezione, poi a Tonatiuh per avere una visione chiara, infine a Xangò per estirpare il seme corrotto con le sue lingue di fiamma.
Jibal’ba e Inuwa danzavano accanto ad Ashgan agitando i sonagli, inebriati dai fumi e guidati da Khewe che percuoteva lo djembe segnando il ritmo di ogni gesto e movenza. Al centro, Ashgan dissimulava una tranquillità immotivata, senza però smettere di seguire con accortezza ogni gesto e ogni parola.
Accanto al fuoco, osservatori più o meno silenziosi, altri occhi scrutavano attenti ciò che si stava svolgendo davanti a loro. Lucian non pareva preoccupato per la sorte del suo concittadino e, anzi, sembrava compiaciuto dei lievi tormenti che gli venivano inflitti. I membri della ciurma del Teschio, invece, colorivano il momento contribuendo a modo loro all’evento: Kendra non era nuova ai riti della Tribù, sebbene verso la fine ne avrebbe subito comunque gli effetti; Sam indagava i movimenti della Pochteca con l’occhio esperto del cerusico, mentre Golkarg si lasciava coinvolgere dalla cerimonia con viva curiosità, tamburellando sul pancione a ritmo della musica.
La leggerezza degli ospiti venne interrotta bruscamente quando una bambola con le fattezze di Ashgan venne posta sul fuoco, in modo che questo ne lambisse solo le estremità.
Grida di invocazione a Xangò si alzarono più forti, coperte solo da quelle del mezz’elfo che, incrostato di fango e affumicato dai vapori, veniva ora roso delle fiamme.
Quando il fuoco fu spento, Jibal’ba evocò un velo di oscurità sugli occhi di Najwa per permetterle di concentrarsi e di dirigere la sua anima sul ciglio del mondo degli Spiriti. Il qwaylar invocò quindi Mami Wata, perché agli occhi della Pochteca il corpo di Ashgan apparisse trasparente come acqua e le fosse così possibile trovare l’Intruso che vi si annidava.
Najwa chiese la protezione del suo spirito guida Wairua Wuruhi e lasciò che il tintinnio dei sonagli guidasse la sua mano al di sopra del corpo del mezz’elfo fino a trovare il punto desiderato, quindi vi praticò un’incisione e ne succhiò il sangue infetto, sputandolo poi in una ciotola che sarebbe stata svuotata fuori dal villaggio per evitare contaminazioni.
Adesso Ashgan sarebbe stato libero di accedere a Timata Ora senza che la sua presenza fosse portatrice di influssi funesti. Per celebrarne la liberazione, la Tribù e i suoi ospiti si riunirono attorno al fuoco dove Jibal’ba deliziò i presenti con piatti quale lingua di alligatore, zampa di rana toro, cuordipalude arrostito ma soprattutto cervello di scimmia, una specialità particolarmente gradita da Golkarg.
E mentre le ultime pietanze venivano consumate, Spire Nere prese le erbe di Wanjala e le fece bruciare nel grande fuoco del villaggio, e tutti udirono la storia del Serpente Arcobaleno narrata da Khewe mentre figure trasparenti presero a danzare nel fumo e accompagnarono gli astanti nel prosiego della serata.
Tamburi. Tamburi in lontananza.
Gli anziani e gli adulti della tribù si erano accostati nei pressi del grande fuoco, lì dove il letto di foglie era stato approntato per il rito. Riempivano l’aria con canti e gesti propiziatori, bruciando il grasso degli animali, triturando bacche ed erbe odorose, decorando la pelle con segni e simboli.
All’arrivo del mezz’elfo, i bambini presero a correre cantando:
Oma, oma, oma, ka haere te tangata ma
(corri, corri, arriva l’uomo bianco)
raraku, raraku, ka tae mai te waka!
(gratta, gratta, arriva il mezzo!)
Spire Nere gli concesse di varcare la soglia del villaggio, ma non prima di un’adeguata preparazione.
Ashgan fu fatto spogliare delle sue vesti e ricoperto di una fanghiglia limacciosa raccolta da Makena e da Inuwa, poi venne condotto e fatto distendere lì dove tutto era pronto perché la guarigione del mezzosangue potesse avere luogo.
Quel punto dell’isola rappresentava ora il centro di Yarda, una porzione di terra consacrata alla purificazione con l’intervento sovrannaturale degli Spiriti.
Prima salì il fumo, denso e pregno di odori acri di erbe e di funghi allucinogeni, fatto spandere dalla Pochteca Najwa e da Spire Nere per purificare se stesse e Ashgan, assistite da Makena. Poi, insieme con il fumo, salirono le prime invocazioni ai Kigi e a Mami Tata per ottenere protezione, poi a Tonatiuh per avere una visione chiara, infine a Xangò per estirpare il seme corrotto con le sue lingue di fiamma.
Jibal’ba e Inuwa danzavano accanto ad Ashgan agitando i sonagli, inebriati dai fumi e guidati da Khewe che percuoteva lo djembe segnando il ritmo di ogni gesto e movenza. Al centro, Ashgan dissimulava una tranquillità immotivata, senza però smettere di seguire con accortezza ogni gesto e ogni parola.
Accanto al fuoco, osservatori più o meno silenziosi, altri occhi scrutavano attenti ciò che si stava svolgendo davanti a loro. Lucian non pareva preoccupato per la sorte del suo concittadino e, anzi, sembrava compiaciuto dei lievi tormenti che gli venivano inflitti. I membri della ciurma del Teschio, invece, colorivano il momento contribuendo a modo loro all’evento: Kendra non era nuova ai riti della Tribù, sebbene verso la fine ne avrebbe subito comunque gli effetti; Sam indagava i movimenti della Pochteca con l’occhio esperto del cerusico, mentre Golkarg si lasciava coinvolgere dalla cerimonia con viva curiosità, tamburellando sul pancione a ritmo della musica.
La leggerezza degli ospiti venne interrotta bruscamente quando una bambola con le fattezze di Ashgan venne posta sul fuoco, in modo che questo ne lambisse solo le estremità.
Grida di invocazione a Xangò si alzarono più forti, coperte solo da quelle del mezz’elfo che, incrostato di fango e affumicato dai vapori, veniva ora roso delle fiamme.
Quando il fuoco fu spento, Jibal’ba evocò un velo di oscurità sugli occhi di Najwa per permetterle di concentrarsi e di dirigere la sua anima sul ciglio del mondo degli Spiriti. Il qwaylar invocò quindi Mami Wata, perché agli occhi della Pochteca il corpo di Ashgan apparisse trasparente come acqua e le fosse così possibile trovare l’Intruso che vi si annidava.
Najwa chiese la protezione del suo spirito guida Wairua Wuruhi e lasciò che il tintinnio dei sonagli guidasse la sua mano al di sopra del corpo del mezz’elfo fino a trovare il punto desiderato, quindi vi praticò un’incisione e ne succhiò il sangue infetto, sputandolo poi in una ciotola che sarebbe stata svuotata fuori dal villaggio per evitare contaminazioni.
Adesso Ashgan sarebbe stato libero di accedere a Timata Ora senza che la sua presenza fosse portatrice di influssi funesti. Per celebrarne la liberazione, la Tribù e i suoi ospiti si riunirono attorno al fuoco dove Jibal’ba deliziò i presenti con piatti quale lingua di alligatore, zampa di rana toro, cuordipalude arrostito ma soprattutto cervello di scimmia, una specialità particolarmente gradita da Golkarg.
E mentre le ultime pietanze venivano consumate, Spire Nere prese le erbe di Wanjala e le fece bruciare nel grande fuoco del villaggio, e tutti udirono la storia del Serpente Arcobaleno narrata da Khewe mentre figure trasparenti presero a danzare nel fumo e accompagnarono gli astanti nel prosiego della serata.