- Thu Sep 15, 2022 3:34 pm
#53639
Uno sbadiglio. Un altro sbadiglio. Si girò di lato, coprendosi pigramente il volto con la mano, adagiato sul tetto di una delle case del porto di Tremec, all'ombra di un tetto che aveva bisogno di qualche sistemazione. Profumi di spezie, pesce fresco appena pescato, rumori di carretti e animali da traino, trattative e monete sonanti. L'aria del mattino era calda ma la gente del deserto non conosce sosta, già dalle prime ore di luce il brusio notturno si trasforma in vociare scomposto ma in qualche maniera piacevole. Decise di alzarsi e di osservare il mare, scese lentamente le scale dal tetto fino alla strada, fu travolto dall'operosità di quelle genti. Si mosse tra la massa semovente, ignorò venditori di ninnoli, allibratori, commercianti, si appoggiò ad un pontile rimirando il mare.
Ma non era il blu ad attirarlo, almeno non oggi, avrebbe attraversato un altro mare, giallo, bollente, sabbioso. Tutti i recenti avvenimenti accaduti nel continente umano lo avevano spinto ad esplorare quel luogo di perdizione che era Surtur, epicentro della dannazione ardana. Si preparò rapidamente, facendo un lieve cenno ad Umbra e caricando nelle sacche quei pochi beni che solitamente amava portare con lui.
Valdir mosse rapidamente nel deserto, lasciando alle spalle il porto di Tremec; l'animale sbuffava, si muoveva veloce, salendo dune, superando trappole ed evitando le letali ali delle viverne. Le gole di Surtur erano davanti a lui, l'antico male che aleggiava pareva ancora presente come se la roccia stessa fosse intrisa del male nella sua natura più pura. Prese deviazioni e scorciatoie senza manco curarsi di rallentare, facendo galoppare il lama a pieni polmoni. Metri e metri venivano bruciati rapidamente, erodendo gli zoccoli dell'animale, sassolini e sabbia e polvere lasciavano un segno del passaggio dei due. Intorno, solamente silenzio, qualche flebile alito di vento caldo, morte ovunque, scheletri.
All'improvviso, un'ombra si frappose fra la destinazione ed il cavaliere. Strattonò le briglie, l'animale strinse il morso alzando bruscamente il capo, tentò una frenata. Fermo, ciondolante, di fronte a loro un essere che non doveva essere lì: un senza-testa. Quale stranezza in quella calda giornata, forse era colpa del troppo calore? La creatura, incurante dei dubbi dell'uomo, si mosse lentamente, aumentando pian piano il suo passo fino a tramutarlo in carica e puntando proprio verso i due. Essendo senza testa, chiaramente, non emetteva alcun suono o lamento e tutto era reso ancora più surreale dallo stesso ambiente silenzioso.
Si ritirò per prepararsi alla battaglia, pensando che in pochi colpi lo avrebbe abbattuto. No, non questa volta, la creatura era possente, rapida, colpiva precisa e con una foga mai vista per una cretura di quel tipo. Sembrava un grimlock rimpicciolito, e senza testa, chiaramente. Combatterono fino allo strenuo delle forze, il nemico cadde. Valdir tirò un sospiro di sollievo, diede la colpa alla calura e tornò al suo lama. Il lama, però, scappò. La creatura si era alzata, faticosamente, ed era tornata alla carica.
Si scontrarono nuovamente, la creatura cadde una seconda volta. Valdir decise di scappare, non era saggio continuare la lotta, era necessario studiare a fondo quel che accadeva intorno a lui e a quella creatura in particolare, vi erano troppe stranezze. Decise di uscire dalle Gole, tornando a Tremec e inviando missive ad amici e druidi fidati, tornando giorno dopo giorno dalla creatura per approfondire gli studi. Provò a scavare intorno al senza-testa, per trovare la sua testa, a ricercare tracce di qualche evocatore pazzo che aveva creato quella aberrazione, a scoprire la presenza di aure magiche, maledizioni. Nulla funzionò finchè un giorno, in preda alla furia, lo uccise-non-uccise per l'ennesima volta, avvicinandosi al corpo abbattuto (per poco tempo) per sfogare la sua rabbia.
Un luccichio dai resti del collo lo attirò, si chinò e vide che la creatura indossava un collare con inciso un nome. Pareva chiamarsi Shawulu quando era in vita, e a vedere da vicino quel corpo martoriato capì che non era propriamente una creatura ardana, e che forse non doveva cercare intorno alle sabbie ma molto, molto più lontano. Il nome ricordava vagamente quello dei nomi dei Qwaylar che abitano la Giungla e alcune zone di Ankor, le braccia possenti e la precisione dei colpi erano un indizio che in vita (prima di quella maledizione perenne) potesse essere un valido guerriero. Non potè dilungarsi in altre elucubrazioni su quel corpo steso perchè, come sempre, stava rialzandosi. Valdir si scostò, non più intenzionato a combatterlo ma ad aiutarlo e a scoprire il suo passato. TOrnò rapidamente a Tremec e pianificò altre ricerche.
I giorni successivi trascorsero veloci fra viaggi in mare, esplorazioni fra gole e montagne di Ardania, in giungla ed intorno alla giungla, nella vallata di Jahr Sauri e, infine, a macinare terreno su Ankor Drek. Decise di sistemarsi nella baita druidica perchè sapeva che quel continente nascondeva molti segreti e sapeva celarli molto bene agli occhi dei più disattenti. Si mosse ovunque, parlò con gli eremiti, con le tribù che vivevano lì, si mosse a Vessa, a Krall, quel fantomatico Shawulu era come se fosse un fantasma, forse la sua storia era molto più vecchia di quanto pensasse.
All'improvviso, una illuminazione nottura gli portò consiglio. Forte, un guerriero, colpi precisi, mai domo, resistente. Un guerriero che sapeva fare solo quello, vincere, uccidere e continuava a farlo per tutta la sua non-vita. Forse un gladiatore. Valdir aveva qualche reminescenza di un luogo simile proprio su Ankor, non distante in effetti dalle tribù che abitavano la Savana e razziavano i boschi intorno ai fortini dei regni ardani. Incurante di viaggiare nella penombra, si mosse verso la montagna, attraversandola da Nord e facendo molta attenzione ai perenni fulmini che battevano costanti la gola della Signora delle Tempeste.
Costeggiò il fianco, guardando ogni passo e osservando ogni spaccatura nella montagna perchè nulla andava lasciato al caso poichè quel luogo era molto antico e molto ben nascosto agli occhi dei più. Avanzò e avanzò finchè un flebile alito di aria fresca emerse dal ventre della montagna, lambendo delle piante che proteggevano l'ingresso del luogo che stava cercando. Era arrivato, forse, laddove pensava che avrebbe scoperto qualche informazione in più. Scese da Umbra e si preparò. Entrò e discese nelle viscere, seguito dal suo fedele compagno Tyche.
L'arena dei gladiatori era proprio dove ricordava che fosse. Ad accogliere i visitatori, un tetro museo di salme con lapidi al loro fianco, recanti forse il nome dei gladiatori che in passato si erano particolarmente distinti in combattimento. Teschi, ossa e bianca pietra ornavano il luogo, rendendo il tutto ancora più lugubre. Dal corridoio, Valdir e Tyche si ritrovarono proprio all'interno dell'arena: una profonda fossa, illuminata da sempiterne fiaccole, era circondata da scranni che permettavano agli spettatori di godersi lo scontro mortale tra quelli che erano un tempo guerrieri indomiti. Ora, il loro sangue rappreso dei colpi inferti permetteva di capire dove i corpi cascavano inerti. Ai lati, le armerie, da un lato le armature a disposizione dei guerrieri, dall'altro le armi. Valdir si sentì attirato da quel metallo finemente lavorato e ancora tagliente come i primi giorni dopo la forgiatura e lucente come se mai fosse passato un sngolo giorno.
Tra i vari tavoli dove erano riposte le armi, notò una sfera bianca e luccicante. Decise di avvicinarsi e con stupore vide che era un teschio, lontano da quelli ammassati all'ingresso e ai lati di quella grande struttura sotterranea. "Strano, che sia rotolato via? O che sia quello che davvero sto cercando?"
Si avvicinò, non senza remore in quella camera oscura e tetra, e lo sfiorò. Era freddo come un teschio rimasto in una grotta buia per chissà quanti anni. Chissà cosa si aspettava che un teschio sfiorato potesse fare. Ridere? Ballare?
Ripensò al nome del guerriero senza vita e senza testa, e provò a pronunciare il suo nome, ad alta voce, dopo averlo ripetuto in testa per cercare di ricordare come esattamente si chiamasse.
"SHAWULU"
Il teschio parve reagire a quella parola, muovendosi appena. Qualcosa, come un'essenza, parve abbandonare la sua dimora ossea e all'improvviso svanì nel nulla, come rapita da qualcosa di più potente. Un'ombra si materializzò nella camera, nera, enorme, a quattro o sei braccia. Osservò Valdir con disprezzo dicendo:
"Il gladiatore mi tormenta anche da morto... Voi. Troppo vivi per le mie legioni. Provvediamo."
Come d'incanto, l'arena dei gladiatori tornò a nuova vita, riecheggiando le voci di un tempo, si sentiva grida di dolore e urla di incitamento, clangore di spade e sbattere di scudi, un pubblico in delirio e persone atterrite. Le luci stesse parvero variare di colore, mutando dal giallo acceso al rosso sangue al nero corvino al blu al verde, prendendo di volta di volta ogni colore dell'iride. La stanza si illuminò a giorno ed apparve la Legione dell'Ombra.
Fantasmi e spettri, alabarde e scuri animate calarono come un'orda su Valdir e Tyche ed iniziò lo scontro. L'arena non era mai stata doma, mai addormentata, il velo dell'inganno era stato strappato e l'Ombra aveva recitato bene la sua aprte. Il gladiatore aveva scoperto un arcano mistero che forse nessun uomo avrebbe mai dovuto toccare.
Ma non era il tempo dei ragionamenti ma quello del combattimento. Durissimi furono i colpi inferti, colpi d'ala e d'ascia, il potere della natura corse in soccorso al druido che con non poca fatica riportò al loro piano quelle figure eteree.
Il silenziò calò all'improvviso dopo l'ultimo colpo inferto. Il velo era stato ricucito. Il teschio, rimasto nella sua posizione, si sbriciolò davanti agli occhi di Valdir. L'essenza che ne uscì non fu nuovamente rapita dalla forza dell'Ombra ma circondò la tunica di Valdir e gli si appose addosso, come un vago odore di fumo.
Malconcio e dolorante, Valdir si mosse fuori dall'arena che era tornata nella sua apparenza spettrale e fece lentamente ritorno alla baita. Il senzatesta aveva forse trovato pace e se ne andò dalle Gole di Surtur.
Era chiaro, però, che non fosse conclusa la battaglia con quell'Ombra ma che fosse solo il capitolo iniziale, le Legioni di ombre erano state allertate ed i Vivi erano nuovamente un problema.
Ma non era il blu ad attirarlo, almeno non oggi, avrebbe attraversato un altro mare, giallo, bollente, sabbioso. Tutti i recenti avvenimenti accaduti nel continente umano lo avevano spinto ad esplorare quel luogo di perdizione che era Surtur, epicentro della dannazione ardana. Si preparò rapidamente, facendo un lieve cenno ad Umbra e caricando nelle sacche quei pochi beni che solitamente amava portare con lui.
Valdir mosse rapidamente nel deserto, lasciando alle spalle il porto di Tremec; l'animale sbuffava, si muoveva veloce, salendo dune, superando trappole ed evitando le letali ali delle viverne. Le gole di Surtur erano davanti a lui, l'antico male che aleggiava pareva ancora presente come se la roccia stessa fosse intrisa del male nella sua natura più pura. Prese deviazioni e scorciatoie senza manco curarsi di rallentare, facendo galoppare il lama a pieni polmoni. Metri e metri venivano bruciati rapidamente, erodendo gli zoccoli dell'animale, sassolini e sabbia e polvere lasciavano un segno del passaggio dei due. Intorno, solamente silenzio, qualche flebile alito di vento caldo, morte ovunque, scheletri.
All'improvviso, un'ombra si frappose fra la destinazione ed il cavaliere. Strattonò le briglie, l'animale strinse il morso alzando bruscamente il capo, tentò una frenata. Fermo, ciondolante, di fronte a loro un essere che non doveva essere lì: un senza-testa. Quale stranezza in quella calda giornata, forse era colpa del troppo calore? La creatura, incurante dei dubbi dell'uomo, si mosse lentamente, aumentando pian piano il suo passo fino a tramutarlo in carica e puntando proprio verso i due. Essendo senza testa, chiaramente, non emetteva alcun suono o lamento e tutto era reso ancora più surreale dallo stesso ambiente silenzioso.
Si ritirò per prepararsi alla battaglia, pensando che in pochi colpi lo avrebbe abbattuto. No, non questa volta, la creatura era possente, rapida, colpiva precisa e con una foga mai vista per una cretura di quel tipo. Sembrava un grimlock rimpicciolito, e senza testa, chiaramente. Combatterono fino allo strenuo delle forze, il nemico cadde. Valdir tirò un sospiro di sollievo, diede la colpa alla calura e tornò al suo lama. Il lama, però, scappò. La creatura si era alzata, faticosamente, ed era tornata alla carica.
Si scontrarono nuovamente, la creatura cadde una seconda volta. Valdir decise di scappare, non era saggio continuare la lotta, era necessario studiare a fondo quel che accadeva intorno a lui e a quella creatura in particolare, vi erano troppe stranezze. Decise di uscire dalle Gole, tornando a Tremec e inviando missive ad amici e druidi fidati, tornando giorno dopo giorno dalla creatura per approfondire gli studi. Provò a scavare intorno al senza-testa, per trovare la sua testa, a ricercare tracce di qualche evocatore pazzo che aveva creato quella aberrazione, a scoprire la presenza di aure magiche, maledizioni. Nulla funzionò finchè un giorno, in preda alla furia, lo uccise-non-uccise per l'ennesima volta, avvicinandosi al corpo abbattuto (per poco tempo) per sfogare la sua rabbia.
Un luccichio dai resti del collo lo attirò, si chinò e vide che la creatura indossava un collare con inciso un nome. Pareva chiamarsi Shawulu quando era in vita, e a vedere da vicino quel corpo martoriato capì che non era propriamente una creatura ardana, e che forse non doveva cercare intorno alle sabbie ma molto, molto più lontano. Il nome ricordava vagamente quello dei nomi dei Qwaylar che abitano la Giungla e alcune zone di Ankor, le braccia possenti e la precisione dei colpi erano un indizio che in vita (prima di quella maledizione perenne) potesse essere un valido guerriero. Non potè dilungarsi in altre elucubrazioni su quel corpo steso perchè, come sempre, stava rialzandosi. Valdir si scostò, non più intenzionato a combatterlo ma ad aiutarlo e a scoprire il suo passato. TOrnò rapidamente a Tremec e pianificò altre ricerche.
I giorni successivi trascorsero veloci fra viaggi in mare, esplorazioni fra gole e montagne di Ardania, in giungla ed intorno alla giungla, nella vallata di Jahr Sauri e, infine, a macinare terreno su Ankor Drek. Decise di sistemarsi nella baita druidica perchè sapeva che quel continente nascondeva molti segreti e sapeva celarli molto bene agli occhi dei più disattenti. Si mosse ovunque, parlò con gli eremiti, con le tribù che vivevano lì, si mosse a Vessa, a Krall, quel fantomatico Shawulu era come se fosse un fantasma, forse la sua storia era molto più vecchia di quanto pensasse.
All'improvviso, una illuminazione nottura gli portò consiglio. Forte, un guerriero, colpi precisi, mai domo, resistente. Un guerriero che sapeva fare solo quello, vincere, uccidere e continuava a farlo per tutta la sua non-vita. Forse un gladiatore. Valdir aveva qualche reminescenza di un luogo simile proprio su Ankor, non distante in effetti dalle tribù che abitavano la Savana e razziavano i boschi intorno ai fortini dei regni ardani. Incurante di viaggiare nella penombra, si mosse verso la montagna, attraversandola da Nord e facendo molta attenzione ai perenni fulmini che battevano costanti la gola della Signora delle Tempeste.
Costeggiò il fianco, guardando ogni passo e osservando ogni spaccatura nella montagna perchè nulla andava lasciato al caso poichè quel luogo era molto antico e molto ben nascosto agli occhi dei più. Avanzò e avanzò finchè un flebile alito di aria fresca emerse dal ventre della montagna, lambendo delle piante che proteggevano l'ingresso del luogo che stava cercando. Era arrivato, forse, laddove pensava che avrebbe scoperto qualche informazione in più. Scese da Umbra e si preparò. Entrò e discese nelle viscere, seguito dal suo fedele compagno Tyche.
L'arena dei gladiatori era proprio dove ricordava che fosse. Ad accogliere i visitatori, un tetro museo di salme con lapidi al loro fianco, recanti forse il nome dei gladiatori che in passato si erano particolarmente distinti in combattimento. Teschi, ossa e bianca pietra ornavano il luogo, rendendo il tutto ancora più lugubre. Dal corridoio, Valdir e Tyche si ritrovarono proprio all'interno dell'arena: una profonda fossa, illuminata da sempiterne fiaccole, era circondata da scranni che permettavano agli spettatori di godersi lo scontro mortale tra quelli che erano un tempo guerrieri indomiti. Ora, il loro sangue rappreso dei colpi inferti permetteva di capire dove i corpi cascavano inerti. Ai lati, le armerie, da un lato le armature a disposizione dei guerrieri, dall'altro le armi. Valdir si sentì attirato da quel metallo finemente lavorato e ancora tagliente come i primi giorni dopo la forgiatura e lucente come se mai fosse passato un sngolo giorno.
Tra i vari tavoli dove erano riposte le armi, notò una sfera bianca e luccicante. Decise di avvicinarsi e con stupore vide che era un teschio, lontano da quelli ammassati all'ingresso e ai lati di quella grande struttura sotterranea. "Strano, che sia rotolato via? O che sia quello che davvero sto cercando?"
Si avvicinò, non senza remore in quella camera oscura e tetra, e lo sfiorò. Era freddo come un teschio rimasto in una grotta buia per chissà quanti anni. Chissà cosa si aspettava che un teschio sfiorato potesse fare. Ridere? Ballare?
Ripensò al nome del guerriero senza vita e senza testa, e provò a pronunciare il suo nome, ad alta voce, dopo averlo ripetuto in testa per cercare di ricordare come esattamente si chiamasse.
"SHAWULU"
Il teschio parve reagire a quella parola, muovendosi appena. Qualcosa, come un'essenza, parve abbandonare la sua dimora ossea e all'improvviso svanì nel nulla, come rapita da qualcosa di più potente. Un'ombra si materializzò nella camera, nera, enorme, a quattro o sei braccia. Osservò Valdir con disprezzo dicendo:
"Il gladiatore mi tormenta anche da morto... Voi. Troppo vivi per le mie legioni. Provvediamo."
Come d'incanto, l'arena dei gladiatori tornò a nuova vita, riecheggiando le voci di un tempo, si sentiva grida di dolore e urla di incitamento, clangore di spade e sbattere di scudi, un pubblico in delirio e persone atterrite. Le luci stesse parvero variare di colore, mutando dal giallo acceso al rosso sangue al nero corvino al blu al verde, prendendo di volta di volta ogni colore dell'iride. La stanza si illuminò a giorno ed apparve la Legione dell'Ombra.
Fantasmi e spettri, alabarde e scuri animate calarono come un'orda su Valdir e Tyche ed iniziò lo scontro. L'arena non era mai stata doma, mai addormentata, il velo dell'inganno era stato strappato e l'Ombra aveva recitato bene la sua aprte. Il gladiatore aveva scoperto un arcano mistero che forse nessun uomo avrebbe mai dovuto toccare.
Ma non era il tempo dei ragionamenti ma quello del combattimento. Durissimi furono i colpi inferti, colpi d'ala e d'ascia, il potere della natura corse in soccorso al druido che con non poca fatica riportò al loro piano quelle figure eteree.
Il silenziò calò all'improvviso dopo l'ultimo colpo inferto. Il velo era stato ricucito. Il teschio, rimasto nella sua posizione, si sbriciolò davanti agli occhi di Valdir. L'essenza che ne uscì non fu nuovamente rapita dalla forza dell'Ombra ma circondò la tunica di Valdir e gli si appose addosso, come un vago odore di fumo.
Malconcio e dolorante, Valdir si mosse fuori dall'arena che era tornata nella sua apparenza spettrale e fece lentamente ritorno alla baita. Il senzatesta aveva forse trovato pace e se ne andò dalle Gole di Surtur.
Era chiaro, però, che non fosse conclusa la battaglia con quell'Ombra ma che fosse solo il capitolo iniziale, le Legioni di ombre erano state allertate ed i Vivi erano nuovamente un problema.
Valdir Kentor - OdQ