Radici al vento
Posted: Wed May 10, 2023 3:46 pm
La baita
Muoversi in quegli ambienti boschivi era un’avventura ed una scoperta costante. Non serviva una meta precisa quando gli occhi danzavano al ritmo della curiosità.
Giorno dopo giorno egli compiva quello straordinario rito di scoperta vagabondando per gli sconfinati boschi in cui viveva da sempre.
Il mattino si beava nella frescura della rugiada che, come a voler battezzare il nuovo giorno, gli lavava via il senso di torpore del risveglio.
Poi, sempre camminando perso nei suoi pensieri, entrava in quel magico mondo di transizione, quando i primi raggi di luce bucavano come lame la fitta boscaglia scandendo definitivamente il passaggio dalla notte al giorno.
Quel giorno era iniziato così e, come tanti prima di allora, era proseguito in quel continuo e dolce andar per boschi fino al pomeriggio inoltrato.
E più precisamente, fino al momento in cui si trovò strappato dai suoi pensieri ed infilato con prepotenza nell’attimo di presente in cui, forse suo malgrado, si trovava a vivere.
A guidare quel brusco strattone era stato il rumore dei suoi passi. Pesanti tonfi che si erano sostituiti al suono attutito che faceva da sfondo alle sue camminate boschive. Ora i suoi stivali schioccavano rumorosamente battendo il tacco consunto sull’acciottolato e riportando di prepotenza la sua mente nel suo corpo.
Si fermò di colpo e si guardò attorno. Nonostante fosse in un luogo completamente diverso da dove si immaginava di essere, non si scompose. Il suo viso rimase placido e mentre i suoi occhi guizzavano lenti attorno, le sue labbra si distesero in una smorfia a metà tra un sorriso ed uno sbuffo compiaciuto.
Attorno a lui diverse figure si affaccendavano; contadini, braccianti, allevatori, chiunque gli scivolava accanto, come trote in un torrente.
Si sedette, poco più avanti, quasi lasciandosi cadere su quei vecchi assi mal piallati, e lì rimase, facendo quello che gli riusciva meglio, osservare.
Ogni tanto sollevava uno sopracciglio o contorceva appena la bocca in fugaci ed impenetrabili espressioni.
Aveva imparato a non giudicare, ad osservare senza lasciarsi trascinare dagli eventi. La sua mente fantasticava e preferiva collocare quanto vedeva in storie ed avventure fantasiose piuttosto che in giudizi o preconcetti. Aveva imparato che gli alberi non si giudicano tra di loro, lì erano nati e lì sarebbero morti. I propri rami si sarebbero contesi lo spazio con quelli degli altri alberi vicini per tutta la loro vita, le chiome avrebbero lottato giorno dopo giorno per quel tanto agognato sole, e le radici presto si sarebbero ghermite in quegli abbracci sghembi alla ricerca di acqua. Così era e così doveva essere, lamentarsi o giudicare non serviva a niente. E così, anche in questo aveva tratto insegnamento dalla natura ed anziché spendersi in giudizi osservava quella gente andare e venire cercando spunti e tracce per le proprie storie.
Quando lasciò il villaggio di Nosper la sera faceva capolino. I pensieri presero a vorticare agglomerandosi in idee che da lì a poco avrebbe trasformato in storie. Percorse qualche passo sulla strada maestra ed appena la boscaglia lo consentì vi si tuffò, lasciandosi alle spalle gli ultimi rumori del villaggio. Non conosceva quei boschi, tuttavia li attraversò senza curarsi troppo della notte che incombeva. Viveva da sempre in quei luoghi e quando avrebbe trovato un posto adatto a bivaccare lo avrebbe riconosciuto e lì avrebbe trascorso la notte.
Si spinse ancora più addentro alla boscaglia, cercando ristoro dalla frescura che si alzava ormai con sempre più convinzione.
E mentre aumentò il passo per guadagnare terreno, quasi istintivamente qualcosa catturò la sua attenzione. Un dettaglio alla periferia del suo campo visivo. Volse lo sguardo in quella direzione ed osservò con più attenzione. Sullo sfondo, tranciata di netto dai tronchi che si stagliavano austeri verso il cielo ormai plumbeo, distinse con chiarezza la sagoma di una baita. Non si trattava di un capanno di fortuna o di qualche riparo usato dai cacciatori, bensì di una struttura più grande e ben tenuta. Rimase immerso negli ultimi canti degli uccelli ed osservò a lungo la scena girando attorno alla baita. Nessuno.
Quella costruzione torreggiava nella radura, fondendosi alla perfezione con essa. C’era un legame assoluto tra la baita ed il luogo in cui era sorta, nonostante apparisse quasi monumentale in quella radura era come se vi si accomodasse timidamente occupando il giusto spazio lasciato libero apposta per lei. Gli sovvennero alcuni grigi faraglioni che vide una volta nel profondo nord, torreggianti nel mezzo del mare gelido, eppure in perfetta armonia con esso.
La notte ammantò la baita ed inghiottì tutto quanto. Ancora nessuno.
Si mosse verso quella costruzione e spinse la pesante porta che si aprì, stridendo sui cardini.
Una pace ed un abbraccio tiepido lo accolsero come se quel luogo fosse da sempre stata casa sua. L’arredamento spartano offriva qualsiasi comodità di cui avrebbe avuto bisogno. Si guardò attorno, quasi incredulo. Si richiuse la porta alle spalle e si lasciò cadere su uno sgabello lavorato a mano. Lì rimase fino a quando il sonno non ebbe la meglio.
Immobile, totalmente immerso in quel luogo, ascoltando il gracidare delle rane in lontananza, il richiamo profondo del gufo ed il vento che carezzava le betulle ribelli lì attorno.
Il mattino si risvegliò come rinato. Poggiò un pesante libro sul tavolo e come se fosse la cosa più naturale si lasciò andare in una scrittura fluida e rilassata. Fantasticò e diede vita a nuove storie, coccolato da quel luogo che sentiva scorrergli dentro. Aveva trovato un luogo di incredibile meraviglia ed era sicuro avrebbe fatto da cornice per le sue storie a venire.
Muoversi in quegli ambienti boschivi era un’avventura ed una scoperta costante. Non serviva una meta precisa quando gli occhi danzavano al ritmo della curiosità.
Giorno dopo giorno egli compiva quello straordinario rito di scoperta vagabondando per gli sconfinati boschi in cui viveva da sempre.
Il mattino si beava nella frescura della rugiada che, come a voler battezzare il nuovo giorno, gli lavava via il senso di torpore del risveglio.
Poi, sempre camminando perso nei suoi pensieri, entrava in quel magico mondo di transizione, quando i primi raggi di luce bucavano come lame la fitta boscaglia scandendo definitivamente il passaggio dalla notte al giorno.
Quel giorno era iniziato così e, come tanti prima di allora, era proseguito in quel continuo e dolce andar per boschi fino al pomeriggio inoltrato.
E più precisamente, fino al momento in cui si trovò strappato dai suoi pensieri ed infilato con prepotenza nell’attimo di presente in cui, forse suo malgrado, si trovava a vivere.
A guidare quel brusco strattone era stato il rumore dei suoi passi. Pesanti tonfi che si erano sostituiti al suono attutito che faceva da sfondo alle sue camminate boschive. Ora i suoi stivali schioccavano rumorosamente battendo il tacco consunto sull’acciottolato e riportando di prepotenza la sua mente nel suo corpo.
Si fermò di colpo e si guardò attorno. Nonostante fosse in un luogo completamente diverso da dove si immaginava di essere, non si scompose. Il suo viso rimase placido e mentre i suoi occhi guizzavano lenti attorno, le sue labbra si distesero in una smorfia a metà tra un sorriso ed uno sbuffo compiaciuto.
Attorno a lui diverse figure si affaccendavano; contadini, braccianti, allevatori, chiunque gli scivolava accanto, come trote in un torrente.
Si sedette, poco più avanti, quasi lasciandosi cadere su quei vecchi assi mal piallati, e lì rimase, facendo quello che gli riusciva meglio, osservare.
Ogni tanto sollevava uno sopracciglio o contorceva appena la bocca in fugaci ed impenetrabili espressioni.
Aveva imparato a non giudicare, ad osservare senza lasciarsi trascinare dagli eventi. La sua mente fantasticava e preferiva collocare quanto vedeva in storie ed avventure fantasiose piuttosto che in giudizi o preconcetti. Aveva imparato che gli alberi non si giudicano tra di loro, lì erano nati e lì sarebbero morti. I propri rami si sarebbero contesi lo spazio con quelli degli altri alberi vicini per tutta la loro vita, le chiome avrebbero lottato giorno dopo giorno per quel tanto agognato sole, e le radici presto si sarebbero ghermite in quegli abbracci sghembi alla ricerca di acqua. Così era e così doveva essere, lamentarsi o giudicare non serviva a niente. E così, anche in questo aveva tratto insegnamento dalla natura ed anziché spendersi in giudizi osservava quella gente andare e venire cercando spunti e tracce per le proprie storie.
Quando lasciò il villaggio di Nosper la sera faceva capolino. I pensieri presero a vorticare agglomerandosi in idee che da lì a poco avrebbe trasformato in storie. Percorse qualche passo sulla strada maestra ed appena la boscaglia lo consentì vi si tuffò, lasciandosi alle spalle gli ultimi rumori del villaggio. Non conosceva quei boschi, tuttavia li attraversò senza curarsi troppo della notte che incombeva. Viveva da sempre in quei luoghi e quando avrebbe trovato un posto adatto a bivaccare lo avrebbe riconosciuto e lì avrebbe trascorso la notte.
Si spinse ancora più addentro alla boscaglia, cercando ristoro dalla frescura che si alzava ormai con sempre più convinzione.
E mentre aumentò il passo per guadagnare terreno, quasi istintivamente qualcosa catturò la sua attenzione. Un dettaglio alla periferia del suo campo visivo. Volse lo sguardo in quella direzione ed osservò con più attenzione. Sullo sfondo, tranciata di netto dai tronchi che si stagliavano austeri verso il cielo ormai plumbeo, distinse con chiarezza la sagoma di una baita. Non si trattava di un capanno di fortuna o di qualche riparo usato dai cacciatori, bensì di una struttura più grande e ben tenuta. Rimase immerso negli ultimi canti degli uccelli ed osservò a lungo la scena girando attorno alla baita. Nessuno.
Quella costruzione torreggiava nella radura, fondendosi alla perfezione con essa. C’era un legame assoluto tra la baita ed il luogo in cui era sorta, nonostante apparisse quasi monumentale in quella radura era come se vi si accomodasse timidamente occupando il giusto spazio lasciato libero apposta per lei. Gli sovvennero alcuni grigi faraglioni che vide una volta nel profondo nord, torreggianti nel mezzo del mare gelido, eppure in perfetta armonia con esso.
La notte ammantò la baita ed inghiottì tutto quanto. Ancora nessuno.
Si mosse verso quella costruzione e spinse la pesante porta che si aprì, stridendo sui cardini.
Una pace ed un abbraccio tiepido lo accolsero come se quel luogo fosse da sempre stata casa sua. L’arredamento spartano offriva qualsiasi comodità di cui avrebbe avuto bisogno. Si guardò attorno, quasi incredulo. Si richiuse la porta alle spalle e si lasciò cadere su uno sgabello lavorato a mano. Lì rimase fino a quando il sonno non ebbe la meglio.
Immobile, totalmente immerso in quel luogo, ascoltando il gracidare delle rane in lontananza, il richiamo profondo del gufo ed il vento che carezzava le betulle ribelli lì attorno.
Il mattino si risvegliò come rinato. Poggiò un pesante libro sul tavolo e come se fosse la cosa più naturale si lasciò andare in una scrittura fluida e rilassata. Fantasticò e diede vita a nuove storie, coccolato da quel luogo che sentiva scorrergli dentro. Aveva trovato un luogo di incredibile meraviglia ed era sicuro avrebbe fatto da cornice per le sue storie a venire.