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Il cammino di Vensel Grest

Posted: Fri Feb 24, 2023 11:22 am
by VasherFenn
Sottofondo musicale

“Iniziò tutto con una casa in fiamme e tuo padre agonizzante. Lo appiccasti tu quel fuoco. Te lo ricordi, Vensel…?”

Tenendo stretti il kryss intriso di sangue e il brocchiere, il Pretore amoniano si rialzò a fatica dopo un brutto colpo di martello al fianco, a causa di un nano che correva a gran velocità con i suoi stivali infernali. Era riuscito a salvarsi per un pelo, ma il dolore gli provocava spasmi che a malapena riusciva a controllare. Si era rifugiato dietro un piccolo gruppo di alberi per riprendere fiato e lo spirito perduto, doveva farsi forza per guidare i suoi uomini alla vittoria, perché era questo il suo unico obiettivo: garantire la sopravvivenza di Amon a qualunque costo.

Il suo sguardo, confuso e in parte offuscato dal sangue sul volto (suo o di altri, poco importava), vagava su quella distesa di morte e devastazione, dove i suoi uomini stavano ancora combattendo contro l’esercito invasore. Il sangue era copioso, i corpi di amici e nemici accatastati tra loro e anneriti dalle fiamme, come se la morte li stesse in qualche modo accomunando e mettendo in pace tra loro. Era forse la più magra delle consolazioni per qualcuno che stava lì a rischiare la vita, a pensare che magari di lì a poco le sofferenze mortali si sarebbero concluse con un fil di spada e una risata strozzata.
Le urla, il clamore provocato dalle esplosioni e le armature che sferragliano, gli risuonarono in testa come una cacofonia da ricordare solo nelle notti più amare. Poteva sentire i suoi urlare di mantenere la linea, i nordici che gridavano nel loro astruso linguaggio mentre caricavano. Tutta questa foga, tutta questa ira, aveva raggiunto il culmine che sfociò nel corno della ritirata, sofferta quanto necessaria affinché la legione potesse resistere un altro giorno.


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Vensel sentì in cuor suo che era la cosa giusta da fare, ma l’idea di mollare lo spezzava ancor di più della morte stessa. A che scopo sopravvivere se i miei compagni sono caduti? Si chiese. Quanto ancora il suo valore sarebbe stato messo in discussione? Fu allora che, ignorando il dolore al fianco e la paura di fallire, si lanciò di nuovo alla carica per sostenere la ritirata dei suoi, anche rischiando di perdere ogni cosa. Si trovò poco più avanti la figura pietrificata di Thorkin O’Brien e lanciò una pozione per liberarlo dal maleficio, urlò ai suoi che l’Orso e il Leone vivono ancora, per poi scattare in una direzione ben precisa per attirare un piccolo gruppo di nordici, che se non altro persero l’interesse dal contingente in arretramento. Neanche lui seppe spiegarsi come schivò così tanti colpi, come riuscì a evitare un fendente che per poco non gli staccò la testa di netto. Furono pochi istanti, ma la mano libera era già sulla boccetta fumogena che cadde di violenza per terra, generando un fumo che gli garantì la possibilità di defilarsi. I suoi avversari tossirono e i cavalli nitrirono confusi, questo gli aveva concesso del tempo per allontanarsi.

E fu forse quel tempo prezioso a fargli rendere conto che aveva fallito nei suoi propositi iniziali, che molti erano morti perché li aveva spinti a combattere, a tenere fede al giuramento all’Imperatore e alla salvaguardia di un passo che, carta alla mano, era poca cosa.

La legione aveva concesso il passo alla coalizione del nord. Amon aveva perso.


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Tornato a casa, Vensel camminò tra i suoi compagni sporchi di sangue e di polvere nera. Vedeva nei loro sguardi l’amarezza di non essere riusciti a salvare i loro compagni. Ma, nonostante ciò, poteva scorgere anche la postura che la legione gli aveva insegnato a tenere, i segni di una disciplina che non li aveva letteralmente spezzati e che li avevano ricondotti a casa, in qualche maniera. Era la dimostrazione che Amon era ben più di armi d’assedio, guerra e leggi severe: era uno stile di vita che in molti avevano sposato e che dava modo all’Impero di resistere a ogni cosa, anche alla minaccia stessa dei non morti o di tantissimi nemici pronti ad assaltare alle mura. Era un vero e proprio culto, un concetto che sarebbe sopravvissuto in qualsiasi caso, che sarebbe stato portato avanti fino alle future generazioni. Perché Amon tiene fede ai giuramenti, tiene fede ai suoi valori nonostante le difficoltà. Era fiero dei suoi uomini, era fiero di ciò che erano diventati e cosa significassero per il popolo in attesa nelle loro case, sebbene spaventati e incerti sul futuro. Era la dimostrazione lampante che non tutto era perduto e che il Leone sarebbe stato ancora lì, pronto a dare la sua letale zampata anche nel momento più disperato.

Conscio di questo, il Pretore si diresse in direzione del palazzo imperiale per dare la notizia all’Imperatore, volendosi assicurare la piena responsabilità delle scelte fatte. In cuor suo sapeva che avrebbe continuato a lottare per Amon fino al giorno della sua morte, che la strada che aveva perseguito non era stata vana e che, cosa ben più importante, sapeva che gli amoniani non si sarebbero arresi nel perseguire le virtù e i valori che li avevano sempre contraddistinti.

Erano passati anni da quando un giovane delinquente si era trasferito ad Amon in cerca di una vita migliore. Tanti erano stati i sacrifici compiuti, non si sarebbe concesso un giorno di riposo per perseguire l’obiettivo di rendere la sua casa un posto sicuro, stabile e ultima roccaforte della giustizia di questo folle mondo.

“Usque ad Finem Urbi Fidelis”



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