Ombre del passato
Posted: Fri Oct 28, 2022 8:19 pm
by una.acies
28 Orifoglia 286 - Fortezza del Sacro Verbo
Erano trascorsi ormai alcuni mesi da quando, il vecchio Padre Theodor, aveva deciso di stabilirsi al Monastero. Trascorsi ormai i settant'anni di età era stanco. Aveva dedicato la propria vita a predicare in lungo e in largo, portando parole di pace, libertà e concordia tra le genti di Ardania, ma mai le sue giornate erano state così fruttuose come da quando aveva messo piede alla Fortezza del Sacro Verbo.
Forse quelle preghiere di cui tutti parlavano, a proteggere con un'aura benedetta dai Giusti, quelle sacre terre. O forse il suo cuore e le sue membra che finalmente, dopo tanto vagare, avevano trovato un piatto caldo, un giaciglio sul quale riposare e dei confratelli che, sebbene molto più giovani di lui, sembravano comprenderlo.
Aveva speso buone parole per tutti, quell'anziano prete, e ne avrebbe avute ancora. La vecchiaia e i segni del tempo avevano domato il suo animo, un tempo indomito e libero, ed ogni furore dentro di lui appariva come placato. Un mare senza increspature e un sorriso candido e serafico, come il sole quando sorge all'orizzonte.
Aveva passato la mattina a caccia, ed aveva accompagnato un confratello a domare scarafaggi giganti alle porte del deserto di Tremec. Ne aveva approfittato per portare i saluti e qualche parola di conforto a un amico tortughese prima di rientrare, vento in poppa, non prima di aver pregato la Dea Danu di propiziarlo nelle sue migliori intenzioni. Si era concesso un pasto sostanzioso presso la locanda del Borgo, e prima di rientrare ai suoi servizi, era passato a ritirare la posta.
Ultimamente ne riceveva parecchia: devoti da ogni dove che ringraziavano e chiedevano benedizioni e preghiere. Desideri che si avveravano e attestazioni di stima e lode. Il serafico sacerdote era davvero felice e soddisfatto perché iniziava a raccogliere i frutti di quanto seminato.
Raggiunse la banca, salì le scale sopra al mercato e si diresse diretto sulla torretta per leggere la posta, respirando a polmoni pieni quel vento autunnale, che un po' sa di inverno per la catena montuosa sulla quale il monastero poggia, e un po' ricorda i tepori dell'estate per il mare che si vede in lontananza dopo Nosper.
Ma più che i ricordi della bella stagione, scorse parole ed un tono, che gli raggelarono il sangue nelle vene
So chi siete, è inutile che continuate a nascondervi. Le vostre origini non sono negabili, forse è il caso che dopo tutto questo tempo confessi i tuoi peccati
La missiva proveniva da Amon e si scorgeva una firma frettolosa e poco chiara. Non poteva comprenderla.
Il sorriso si spense improvvisamente sul suo volto. Era stato giovane anche lui e forse qualcuno aveva scoperto qualcosa, o ricordava...
Rimise in borsa la missiva deciso a parlarne con il Lord Cancelliere e si avviò verso il chiostro.
Re: Ombre del passato
Posted: Wed Nov 02, 2022 8:38 pm
by una.acies
Erano passati giorni ormai da quando aveva ricevuto quella missiva che gli aveva guastato il riposo, e iniziava a non pensarci. La memoria non era più il suo forte e il tempo di certo non era dalla sua parte. Scordava le cose facilmente il buon padre Theodor, forse anche perché ad una certa età, alcune cose si impara a farsele scivolare addosso. Era il primo pomeriggio, e dopo aver recitato come di consueto le sue orazioni nella Cattedrale dei Giusti, era salito, ormai trascinandosi, in sella al suo cavallo, e poi via, verso Cheshire, dove era solito ormeggiare la barca. Avrebbe raggiunto le acque del Sud per poi virare dopo le paludi, verso Tremec: il sole cocente e il calore della sabbia, erano un toccasana per le sue vecchie ossa. Ne avrebbe tratto giovamento.
Spiegate le vele e giunto in mezzo al mare, si rese conto che qualcosa non andava. In qualunque direzione virasse, la piccola nave non sembrava voler proseguire. E nemmeno il giovane timoniere della “Vetusta” sapeva spiegarsi quale fosse il motivo.
Era poco lontano dall'Isola Rocca Tempestosa quando si alzò un vento, che le vele, più che sospinte, sembravano trattenerlo a fatica. Le onde aumentarono, l'imbarcazione sembrava perdere equilibrio e rovesciarsi, ma Theodor, non perse nemmeno questa volta il sorriso e la speranza. Si toccò appena le labbra e accarezzò le acque rivolgendo uno sguardo serafico verso il cielo e dicendo: "Mia Signora, ci sei tu con me".
Non era per nulla preoccupato. Scorgeva le terre allontanarsi e non riusciva a comprendere quale fosse la rotta che stava seguendo. Alla fine il mare divenne improvvisamente piatto, poi la chiglia a strisciare sul fondo, ed ecco, erano approdati. Ma dove? Una piccola isola, piena di rose, che non aveva mai visto prima. Era molto strano: aveva girato in lungo e in largo per tutti i mari di Ardania, e conosceva altrettanto bene quelli del Nuovo Mondo, quasi come le sue tasche. Ma che posto era quella piccola zolla di terra? Diede ordine al timoniere di calare l'ancora, abbassò il ponticello e sbarcò.
Si accorse che da lì, poco lontano, vi era un ragazzo, dall'età di non più di vent'anni. Vestiva una tunica dorata. I suoi lineamenti erano gentili, mentre capelli biondi scendevano sulle sue spalle. Copriva gli occhi con il cappuccio, e gli faceva segno di avvicinarsi. “Salute Padre Theodor”, gli disse con tono cordiale. “Salute a voi figliolo, che ci fate qui?” rispose il vecchio. “Aspettavo te, vieni, siediti vicino a me, oggi è il tuo giorno fortunato perché voglio essere tuo amico”.
Non riusciva a capire come un giovane, poco più che adolescente, si trovasse in quel luogo, seduto su una panca di marmo lucente, solo, senza nemmeno una tenda. Un giovane che non aveva mai visto e che conosceva il suo nome. Che voleva essere amico di un vecchio poi... Il prete fece per sedersi, preso dalla curiosità e con tante domande da fare, ma sentì una mano appoggiarsi sulla sua spalla e una voce dirgli “Aspetta Theodor, guarda!”.
Il profumo delle rose si fece di colpo più intenso, mentre gli si parava davanti un altro giovane uomo. Era identico al ragazzo seduto sulla panchina, stesso abito ma il suo cappuccio era abbassato. Ne vedeva gli occhi azzurri cristallini. Era così vicino che poteva sentirne il profumo dell'alito: il profumo delle rose non veniva dai fiori, ma dalla sua bocca. Rimase immobile a guardare la scena. Il ragazzo che aveva appena arrestato Theodor si accostò alla panchina e sorrise all'altro. Poi gli disse: “Lascialo stare, lui è nostro, non l'avrai mai” Gli abbassò dolcemente il cappuccio e fu allora che Theodor comprese la differenza tra i due che fino a pochi istanti prima gli erano sembrati due gemelli.
Il ragazzo sulla panchina, quello che inizialmente lo aveva accolto sull'isola, aveva gli occhi rossi come il fuoco e sebbene sfoderasse un sorriso bianchissimo, il suo sguardo non lasciava presagire certo benevolenza. “Lo voglio” disse, mentre il secondo scosse il capo. “Vattene, fintanto che ho pena anche di te”, disse in modo più deciso. Detto questo, abbassandosi sull'altro, gli accarezzò appena il viso con la mano destra e l'altro si trasformò in un demone nero, il più grande che avesse mai visto. Il cielo si fece oscuro alle sue spalle, mentre fulmini si scagliavano in ogni direzione. Theodor istintivamente fece un passo indietro, ma perse l'equilibrio e cadde in un profondo dirupo.
Chiuse gli occhi, e quando li riaprì si trovava sulla stessa isola, ma le rose avevano lasciato posto a un'infinità di conchiglie che riflettevano la luce del sole. Al posto dei due c'era una donna.
Stava comodamente seduta sul guscio di un animale marino. In una mano teneva una luna, mentre nell'altra un vaso di cristallo trasparente, ricolmo d'acqua. Il suo corpo era snello, e i pochi veli azzurri che la coprivano, lasciavano intravedere un seno formoso e ben proporzionato con il resto del corpo. Era stupenda, mai aveva visto donna più bella.
Ancora incredulo e guardandosi attorno, rimase in silenzio a guardarla. E pure lei lo fissava. Poi, gli disse:”Hai sete Theodor?”. Si – rispose il sacerdote. La donna gli accostò alla bocca il vaso di cristallo, talmente appena che gli bagnò soltanto le labbra.
Un dolore fortissimo al petto lo colse di sorpresa e stramazzò al suolo. Poi lo prese uno strano torpore, chiuse gli occhi e una serie di immagini e consapevolezze si presentarono nella sua mente.
Dapprima era in una grotta oscura ma calda e confortevole. In fondo vi era una luce. Una forza primordiale gli ordinava di uscire, ma gli faceva tremendamente male fare ogni singolo passo. Capiva di trovarsi all'interno del ventre di sua madre, e ricordò che quando ne era uscito, aveva provato dolore. Provò allo stesso tempo il dolore di sua madre e di ogni altra donna durante il parto.
Poi rivide sua madre piangere per la morte del fratello, e lo sguardo torvo di suo padre, quando aveva scelto di scappare di casa senza farsi più ritrovare.
Vide la sua stessa mano brandire un grosso sasso e spaccare la testa di uomo, e la sua stessa angoscia mentre lo seppelliva nelle paludi. E poi di nuovo l'orrore della fuga, del senso di colpa e della paura.
E ancora, una giovane elfa di Darkhold senza cibo per i propri figli, mentre ad Hammerheim, una giovane sacerdotessa dei Giusti, veniva torturata dal rimorso per essersi avvicinata troppo al maligno: serpenti continuavano ad uscire dalla sua bocca e le sue membra si contorcevano per le convulsioni.
Vide legionari amoniani raccogliere quello che rimaneva dei loro compagni sul campo di battaglia dopo la sconfitta, mentre orfani continuavano a chiedere dove fossero finiti i loro padri. Un suo confratello intanto stava nella propria cella al Monastero, bagnando il cuscino per la solitudine e la mancanza di una donna.
Vi erano poi degli uomini incatenati in fondo al mare. I loro corpi venivano straziati forza di morsi da uno squalo enorme ed erano costretti ad assistere, per loro stessa causa, alla stessa fine della loro progenie e dei loro antenati. E nemmeno a loro veniva concesso il privilegio di far sentire le loro urla poiché l'abisso le ricopriva e l'acqua ne soffocava le bocche.
Poi di nuovo nella caverna dove era iniziato tutto. Si fece forza, ed uscì. Stava male, come mai era stato in vita sua.
Si destò di scatto, e guardando la donna le disse – Tu chi sei? Chi sei tu? Perché mi fai questo?
La donna gli sorride e iniziò a parlare.
“Io sono Danu, la Dea Danu. Quando mio fratello Awen pianse per me, le sue erano lacrime piene d'amore. Non potevo permettere che andassero perdute, e quando raggiunsero il mare, le raccolsi. Io sono Danu, la Dea dei Mari. Io sono Danu, Patrona e Regina di tutte le Lacrime, perché io le ho raccolte e le porto con me. Così come non vi è goccia d'acqua che non porti al mare, non c'è dolore che non giunga a me. Io sono Danu, Patrona e Regina delle Lacrime”.
Poi tacque.
Riprese – Tu sei buono, Theodor. Molte volte hai chiesto ai Giusti la grazia di rimanere fino all'ultimo momento al capezzale di chi soffre. Quello che hai visto e sentito oggi, non è che una minima parte di tutto quello che significa la tua richiesta. Io sono la Patrona e la Regina delle Lacrime. Vuoi davvero quello che domandi da tempo?
Il vecchio chierico la guardò negli occhi. Non riusciva né a dire nulla né a muoversi, fece appena cenno di si con il capo. Aggiunse la donna: “Sia”. Poi gli diede le spalle e si inabissò.
Un profumo di rose molto intenso lo avvolse di nuovo e sentì ancora la voce del ragazzo di prima che gli diceva di appoggiare il capo sulle sue ginocchia e riposare. Preso dalla stanchezza, così fece, e si lasciò andare.
Era l'alba del giorno dopo, e Padre Theodor giaceva sulla spiaggia di Amon, vicino al porto, dove sessantanni prima era stato trovato il corpo senza vita di suo fratello. Il suo destriero gli leccava la mano, forse attratto dal sapore salmastro della sua pelle. Aprì gli occhi e si guardò attorno. Disse tra sé: "Credo di aver fatto uno strano sogno", ma non ne era convinto davvero.
La sua barca non c'era più.