Memorie di un pellegrino
Posted: Thu Sep 30, 2021 5:40 pm
29 Solfeggiante 285
Scrivo queste parole animato da una cocente rabbia che mi graffia il petto, come una tosse grassa che mi gorgoglia in gola ad ogni respiro, bruciando e lacerandomi; colpo dopo colpo.
Rabbrividisco sentendomi sporco ed ammantato da una sensazione vischiosa, un velo viscido e bagnaticcio che mi si appiccica addosso, penetrando nella pelle ed insozzandomi l’animo.
Questi giorni sono stati forieri di scenari nefasti, di un presente malato che si è rivelato in tutta la sua bruttezza, facendomi sentire sporco e sbagliato.
Colpevole.
Reo di non aver prevenuto, a costo della vita stessa, il perpetrarsi di questo scempio.
Mia Signora, perdonami, ho fallito.
Ti prego, aiutami, assistimi.
Guida la mano del tuo suddito che regge la fiamma purificatrice.
Veglia sulla fiamma della mia fede.
Veglia, affinché possa illuminare senza accecare.
Veglia, affinché possa cauterizzare senza bruciare.
Veglia, affinché possa danzare senza avvampare.
Veglia, affinché possa propagarsi senza incendiare.
Da molti, forse troppi, anni sono lontano da questi luoghi che mi hanno dato i natali.
Tornare qui ora e trovarli vittima di questa turpe decadenza mi dilania. Ovunque poso lo sguardo scorgo campi brulli, aridi ed abbandonati come tombe senza nome, su cui si inerpicano ericacee lasciate ai capricci del vento.
Frutti abbandonati a marcire sugli alberi venuti su sghembi, che a vederli di notte, riflessi da Nut, metton paura parendo artigli contorti di zampe demoniache.
Filari di vite che di sghimbescio spuntano da distese ormai sassose, come mani di morti sepolti che paiono destarsi e sbucare dalla nuda terra per afferrare manate d’aria di cui nutrirsi.
Nemmeno più gli spaventapasseri han di che gioire, abbandonati al vento che ne dilania quelli che un tempo erano abiti buoni e gli ricorda ad ogni folata quanto ormai siano inutili. Ormai nessuno più, a parte egli stesso, s’addentra per quei miserabili appezzamenti di sterile terra, rendendoli pura desolazione ed eco eterno del suo soffiare.
Osservo con miseria e patimento sincero d’animo i figli tuoi, che dal tuo grembo hai partorito con sacrificio, rifuggire questi luoghi, non riuscendo a cavarci altro che fame, miseria e dolore. Poveri fratelli animali, povere inermi bestie!
Inorridisco di fronte ai miscredenti, chiamati a benedir messi ed officiare riti in tuo nome ed in tua vece. Non solo chi dovrebbe fare non fa, ma si nasconde dietro ai miscredenti.
Preti di false fedi che ti appendono all’albero di quella che loro professan essere Madre, relegandoti ad umile frutto e ponendo tutto il creato ad escrescenza floreale di quel loro disegno sbiadito che mal interpreta la bellezza e le origini del creato, figlio tuo legittimo.
Questi ultimi non hanno certo il pesante fardello delle colpe al pari di chi, si sottrae dai suoi doveri, chiamandoli a supplire con i loro falsi dogmi alle proprie responsabilità.
Ma di certo non sono essi esenti dal peccato, facendosi corteggiare e cedendo alla mondanità, anteponendo l’apparire all’essere, ed insinuandosi tre le ombre celate della fede a portare quei loro falsi insegnamenti.
Camminare a piedi nudi nella terra per sentirsela vicina, questo è quanto si costringono a fare per poter sentire ancora il legame con essa. Ma mentre i sassi dolgono sotto la pianta del piede, l’animo erra e si perde, dietro i falsi dogmi di una fede ormai sgretolata.
Ma se fin qui ho provato soltanto tanto dolore e tristezza, alzando lo sguardo verso chi cammina incurante ed ormai assuefatto in questo orrore, non mi riesce di provar pietà, ma soltanto rabbia.
Rabbia per costoro che biecamente hanno commesso matricidio, lasciando che il seme del tuo nobile insegnamento inaridisse. Lasciandoti appassire, abbandonandoti al passato e trattandoti peggio di un ospite indesiderato presso la tua stessa dimora.
Ma costoro saranno chiamati a rispondere delle loro azioni, costoro periranno quando verrà la carestia e guardandosi le mani le scopriranno vuote ed ormai incapaci di lavorare la terra.
Chi non morirà di fame sarà inghiottito dal freddo e dal vento pungente, lo coglieranno sprovvisto di riparo, non riuscendogli di crearne uno solido.
Quando verrà il tempo della miseria e del magro, quando i valori si capovolgeranno, allora costoro rimpiangeranno di aver dimenticato e di aver voltato la schiena al loro passato. Cercheranno di corrompere chissà chi con gioielli, monili, monete e ricchezze che allora varranno meno della terra, ma della terra soltanto potranno riempirsi la bocca, fino a sentirne il freddo ed acre sapore, spirando tra mille pentimenti.
Possa la tua misericordia scamparmi dalla carestia, mi sproni a trovare sempre la forza di predicare il tuo verbo, gioendo di questo periodo di esuberi e ricchezze.
Andrò per queste terre ferite, predicando l’insegnamento e riportando verso le vere origini questi uomini e donne, che come anime vuote vagano ormai senza più interrogarsi sulle loro ragioni di vita, mossi come gazze dal rifulgere di qualche moneta.
Ma nei loro occhi scorgo una flebile luce che nutre la mia speranza e mi da la forza di continuare.
Guida la mia mano con la forza della tua, sorreggimi con l’amore di un figlio verso il proprio vecchio padre, tienimi lontano dall’ombra dei falsi culti e permettimi di poter beneficiare sempre del calore del tuo amore. Per te io parlerò, diffondendo il verbo e coltivando il seme della tua fede.
Spegni con la tua rugiada la fiamma della mia ira.
Accendi con il calore del fuoco la fiaccola del mio cammino.
Sorreggimi con la tenacia del tronco.
Ancorami con la forza delle radici.
Rincuorami con l’abbraccio della stanchezza che incombe al termine del giorno.
Scrivo queste parole animato da una cocente rabbia che mi graffia il petto, come una tosse grassa che mi gorgoglia in gola ad ogni respiro, bruciando e lacerandomi; colpo dopo colpo.
Rabbrividisco sentendomi sporco ed ammantato da una sensazione vischiosa, un velo viscido e bagnaticcio che mi si appiccica addosso, penetrando nella pelle ed insozzandomi l’animo.
Questi giorni sono stati forieri di scenari nefasti, di un presente malato che si è rivelato in tutta la sua bruttezza, facendomi sentire sporco e sbagliato.
Colpevole.
Reo di non aver prevenuto, a costo della vita stessa, il perpetrarsi di questo scempio.
Mia Signora, perdonami, ho fallito.
Ti prego, aiutami, assistimi.
Guida la mano del tuo suddito che regge la fiamma purificatrice.
Veglia sulla fiamma della mia fede.
Veglia, affinché possa illuminare senza accecare.
Veglia, affinché possa cauterizzare senza bruciare.
Veglia, affinché possa danzare senza avvampare.
Veglia, affinché possa propagarsi senza incendiare.
Da molti, forse troppi, anni sono lontano da questi luoghi che mi hanno dato i natali.
Tornare qui ora e trovarli vittima di questa turpe decadenza mi dilania. Ovunque poso lo sguardo scorgo campi brulli, aridi ed abbandonati come tombe senza nome, su cui si inerpicano ericacee lasciate ai capricci del vento.
Frutti abbandonati a marcire sugli alberi venuti su sghembi, che a vederli di notte, riflessi da Nut, metton paura parendo artigli contorti di zampe demoniache.
Filari di vite che di sghimbescio spuntano da distese ormai sassose, come mani di morti sepolti che paiono destarsi e sbucare dalla nuda terra per afferrare manate d’aria di cui nutrirsi.
Nemmeno più gli spaventapasseri han di che gioire, abbandonati al vento che ne dilania quelli che un tempo erano abiti buoni e gli ricorda ad ogni folata quanto ormai siano inutili. Ormai nessuno più, a parte egli stesso, s’addentra per quei miserabili appezzamenti di sterile terra, rendendoli pura desolazione ed eco eterno del suo soffiare.
Osservo con miseria e patimento sincero d’animo i figli tuoi, che dal tuo grembo hai partorito con sacrificio, rifuggire questi luoghi, non riuscendo a cavarci altro che fame, miseria e dolore. Poveri fratelli animali, povere inermi bestie!
Inorridisco di fronte ai miscredenti, chiamati a benedir messi ed officiare riti in tuo nome ed in tua vece. Non solo chi dovrebbe fare non fa, ma si nasconde dietro ai miscredenti.
Preti di false fedi che ti appendono all’albero di quella che loro professan essere Madre, relegandoti ad umile frutto e ponendo tutto il creato ad escrescenza floreale di quel loro disegno sbiadito che mal interpreta la bellezza e le origini del creato, figlio tuo legittimo.
Questi ultimi non hanno certo il pesante fardello delle colpe al pari di chi, si sottrae dai suoi doveri, chiamandoli a supplire con i loro falsi dogmi alle proprie responsabilità.
Ma di certo non sono essi esenti dal peccato, facendosi corteggiare e cedendo alla mondanità, anteponendo l’apparire all’essere, ed insinuandosi tre le ombre celate della fede a portare quei loro falsi insegnamenti.
Camminare a piedi nudi nella terra per sentirsela vicina, questo è quanto si costringono a fare per poter sentire ancora il legame con essa. Ma mentre i sassi dolgono sotto la pianta del piede, l’animo erra e si perde, dietro i falsi dogmi di una fede ormai sgretolata.
Ma se fin qui ho provato soltanto tanto dolore e tristezza, alzando lo sguardo verso chi cammina incurante ed ormai assuefatto in questo orrore, non mi riesce di provar pietà, ma soltanto rabbia.
Rabbia per costoro che biecamente hanno commesso matricidio, lasciando che il seme del tuo nobile insegnamento inaridisse. Lasciandoti appassire, abbandonandoti al passato e trattandoti peggio di un ospite indesiderato presso la tua stessa dimora.
Ma costoro saranno chiamati a rispondere delle loro azioni, costoro periranno quando verrà la carestia e guardandosi le mani le scopriranno vuote ed ormai incapaci di lavorare la terra.
Chi non morirà di fame sarà inghiottito dal freddo e dal vento pungente, lo coglieranno sprovvisto di riparo, non riuscendogli di crearne uno solido.
Quando verrà il tempo della miseria e del magro, quando i valori si capovolgeranno, allora costoro rimpiangeranno di aver dimenticato e di aver voltato la schiena al loro passato. Cercheranno di corrompere chissà chi con gioielli, monili, monete e ricchezze che allora varranno meno della terra, ma della terra soltanto potranno riempirsi la bocca, fino a sentirne il freddo ed acre sapore, spirando tra mille pentimenti.
Possa la tua misericordia scamparmi dalla carestia, mi sproni a trovare sempre la forza di predicare il tuo verbo, gioendo di questo periodo di esuberi e ricchezze.
Andrò per queste terre ferite, predicando l’insegnamento e riportando verso le vere origini questi uomini e donne, che come anime vuote vagano ormai senza più interrogarsi sulle loro ragioni di vita, mossi come gazze dal rifulgere di qualche moneta.
Ma nei loro occhi scorgo una flebile luce che nutre la mia speranza e mi da la forza di continuare.
Guida la mia mano con la forza della tua, sorreggimi con l’amore di un figlio verso il proprio vecchio padre, tienimi lontano dall’ombra dei falsi culti e permettimi di poter beneficiare sempre del calore del tuo amore. Per te io parlerò, diffondendo il verbo e coltivando il seme della tua fede.
Spegni con la tua rugiada la fiamma della mia ira.
Accendi con il calore del fuoco la fiaccola del mio cammino.
Sorreggimi con la tenacia del tronco.
Ancorami con la forza delle radici.
Rincuorami con l’abbraccio della stanchezza che incombe al termine del giorno.