- Thu Mar 11, 2021 8:49 pm
#37317
La prateria è una vasto mare di fili d’argento, dipinti dalla delicata luce di un cielo trapunto.
Il nostro vecchio alda, svetta solitario ad una sponda, e ad ogni mio passo verso di esso, navigo sempre più a fondo nella memoria, inabissando la mente nell’anima.
La riposi, mia dolce Tinwe, dove la malinconia ti ha adagiata.
Di te non restano che candide ossa, ma ti osservo e non vedo che te, non la morte, non il tormento, ma i fiori che ora crescono sul tuo viso, gli stessi che amavi intrecciare fra i capelli.
- Se mi vedi allora rispondi: Mi hai abbandonata per salvare la stessa terra ove ora giaccio, ma cosa hai ottenuto sino ad ora, se non altri corpi coi quali nutrirla? -
Mormorano e sibilano i loro spettri nella mia mente, graffiano sulla mia anima, come prigionieri sulla porta della propria cella.
Attorno a me giacciono esanimi, macchiando di sangue gli steli argentati.
Li osservo esitante e con orrore riconosco ogni ferita inflitta dalla mia lama, sento i loro vitrei sguardi su di me, decine su decine di occhi, pesanti come macigni, mi schiacciano a terra.
Sèlerin, Tòronin… Moriquendi, dovevate morire, eppure se è giusto, perché non riesco più a guardar le mie mani, senza vedere ancora il vostro sangue su di esse?
- Mi hai sottratta al dolore, per poi fartene tu stesso un tale carico? Che senso ha soffrire di questa pena tanto amara? -
Attorno a me li vedo passare: Decine di Eldar ammantati d’azzurro e di bianco, indifferenti calpestano i corpi di coloro che sono morti, i loro occhi non indugiano sulla loro miseria, ciechi osservano un orizzonte distante, troppo perché le tenebre lo rivelino.
Si allontanano silenziosi nella foresta, lasciando cadere spade e scudi, prima di svanire nell’oscurità.
Con un rombo la terra si spezza, sprofonda un abisso invalicabile, oltre il quale so di non poterli raggiungere.
Perché ora taci, mia dolce Tinwe, le tue ossa silenti sono forse un rimprovero?
- Tace perché i morti non hanno nulla da dire ai vivi. -
Mia Tàri, mia Bianca Madre, mia Valie!
Mi inchino al tuo cospetto, la mia anima si prostra alle tue parole.
- Non è la voce del tuo passato, quella che espira dai suoi amabili resti, ma il Livore che ora ti consuma. Non esserne preda, ma dominalo, poiché Io ti ho chiamato Atalante, Rovina, e di questa devi esser padrone.-
Nei tuoi occhi, Madre, come in specchi d’ametista, scorgo riflesso un futuro, ove altrove ogni orizzonte mi è negato.
Il vecchio albero è secco, il nostro alda è morto, così come il passato, così come te, mia dolce Tinwe.
- Lascia che sia ciò che è sempre stata, la scintilla che appicca il tuo incendio. -
Fiamme bianche esplodono tra le fronde, crepitando e divorando quel che resta del passato, gettando una luce adamantina sul futuro.
Ora so cosa devo fare, so che mi consumerà e che mi cambierà.
Tendo le mie mani e…
La prateria è una vasto mare di fili d’argento, dipinti dalla delicata luce di un cielo trapunto.
Il nostro vecchio alda, svetta solitario ad una sponda, e ad ogni mio passo verso di esso, navigo sempre più a fondo nella memoria, inabissando la mente nell’anima.
La riposi, mia dolce Tinwe, dove la malinconia ti ha adagiata.
Di te non restano che candide ossa, ma ti osservo e non vedo che te, non la morte, non il tormento, ma i fiori che ora crescono sul tuo viso, gli stessi che amavi intrecciare fra i capelli.
- Se mi vedi allora rispondi: Mi hai abbandonata per salvare la stessa terra ove ora giaccio, ma cosa hai ottenuto sino ad ora, se non altri corpi coi quali nutrirla? -
Mormorano e sibilano i loro spettri nella mia mente, graffiano sulla mia anima, come prigionieri sulla porta della propria cella.
Attorno a me giacciono esanimi, macchiando di sangue gli steli argentati.
Li osservo esitante e con orrore riconosco ogni ferita inflitta dalla mia lama, sento i loro vitrei sguardi su di me, decine su decine di occhi, pesanti come macigni, mi schiacciano a terra.
Sèlerin, Tòronin… Moriquendi, dovevate morire, eppure se è giusto, perché non riesco più a guardar le mie mani, senza vedere ancora il vostro sangue su di esse?
- Mi hai sottratta al dolore, per poi fartene tu stesso un tale carico? Che senso ha soffrire di questa pena tanto amara? -
Attorno a me li vedo passare: Decine di Eldar ammantati d’azzurro e di bianco, indifferenti calpestano i corpi di coloro che sono morti, i loro occhi non indugiano sulla loro miseria, ciechi osservano un orizzonte distante, troppo perché le tenebre lo rivelino.
Si allontanano silenziosi nella foresta, lasciando cadere spade e scudi, prima di svanire nell’oscurità.
Con un rombo la terra si spezza, sprofonda un abisso invalicabile, oltre il quale so di non poterli raggiungere.
Perché ora taci, mia dolce Tinwe, le tue ossa silenti sono forse un rimprovero?
- Tace perché i morti non hanno nulla da dire ai vivi. -
Mia Tàri, mia Bianca Madre, mia Valie!
Mi inchino al tuo cospetto, la mia anima si prostra alle tue parole.
- Non è la voce del tuo passato, quella che espira dai suoi amabili resti, ma il Livore che ora ti consuma. Non esserne preda, ma dominalo, poiché Io ti ho chiamato Atalante, Rovina, e di questa devi esser padrone.-
Nei tuoi occhi, Madre, come in specchi d’ametista, scorgo riflesso un futuro, ove altrove ogni orizzonte mi è negato.
Il vecchio albero è secco, il nostro alda è morto, così come il passato, così come te, mia dolce Tinwe.
- Lascia che sia ciò che è sempre stata, la scintilla che appicca il tuo incendio. -
Fiamme bianche esplodono tra le fronde, crepitando e divorando quel che resta del passato, gettando una luce adamantina sul futuro.
Ora so cosa devo fare, so che mi consumerà e che mi cambierà.
Tendo le mie mani e…