Prologo [Lame SIlenti]
Posted: Tue Apr 21, 2020 5:56 pm
“Proclamarono il Bosco dei Banditi terra libera”.
La donna scosse il capo in segno di chiaro disappunto. Erano passati molti anni da quella drammatica notte, ma le fiamme che avevano arso la Foresta sembravano ancora consumarla. Il ragazzo teneva fisso lo sguardo su di lei e, senza fiatare, restava in attesa che riprendesse a parlare. Osservava ogni sua espressione, cercando di individuarne il nesso con ciò che gli stava raccontando, pur consapevole di non avere davanti il suo vero aspetto.
La mezz’elfa prese il calice sul tavolo e lo svuotò d’un fiato.
“Libertà… arrivarono con violenza e bruciarono ogni cosa. Il covo venne distrutto, i miei fratelli dispersi. Tutto in nome della libertà. Ma quale? Quella di regnare di nuovo incontrastati.”
La donna poggiò i palmi delle mani sul tavolo e si sospinse in piedi. Dopo un primo passo falso, prese a camminare verso l’uscita della locanda. Si voltò verso il ragazzo, ancora seduto con gli occhi fissi su quella figura avvolta da un mantello color porpora.
“Vuoi rimanere lì ad ammirarmi le natiche? O pensi di seguirmi?!”
Il ragazzo la raggiunse rapidamente lanciando una moneta all’oste.
I due proseguivano affiancati, mentre una leggera brezza proveniente da nord agitava i loro mantelli.
“Tentammo di rimarginare quella ferita, ma senza una casa non può esistere una Famiglia.
Tornammo a vivere nelle ombre. Alcuni di noi smisero di seguire gli insegnamenti di Oskatat e finirono per abbracciare ciò contro cui avevano lottato. Altri decisero d’infiltrarsi, nel tentativo di condizionare le decisioni dei nostri nemici. Ma le risorse scarseggiavano e la nostra organizzazione era ormai troppo debole per riuscire a riprendersi rapidamente. E così, col passare del tempo, i contatti tra noi divennero sempre meno frequenti; le risposte tardavano ad arrivare e l’odio verso i regnanti corrotti, che un tempo animava i nostri spiriti, lasciava il posto agli affetti che, nel frattempo, si erano creati.”
I due erano ormai arrivati al limitare del Bosco Vecchio, l’antico bosco che occupa le rive del fiume Faver, a metà strada tra Deanad ed Amon. La fitta vegetazione era nuovamente rigogliosa e impediva alla luce di penetrare, lasciando spazio soltanto a nebbia e ombre. Tra i grandi alberi di Yew, la tomba di Oskatat era avvolta dall’edera. Con fare nervoso, la mezz’elfa tentò di ripulirla.
“Non smetto di pensare a quella notte. In tutti questi anni di esilio volontario, non ho fatto altro che ripercorrere quegli istanti. Se non mi avessero catturata e rinchiusa in quella fredda cella di Helcaraxe, tutto ciò non sarebbe accaduto.
Le Lame Silenti non erano mai state tanto forti e influenti, ma anche così vicine alla nostra rovina. Ed io non sono stata in grado di accorgermene per tempo”.
Gli occhi della donna erano adesso rivolti al fiume, mentre lo sguardo del ragazzo era rimasto fisso sulla lapide.
“Che cosa intendi? Che avresti potuto fare?” chiese alla mezz’elfa.
“E’ ciò che mi sono domandata per tutto questo tempo” rispose lei.
“Ed hai trovato una risposta?” la imbeccò l’umano.
La donna restò ferma ad osservare le lievi increspature che il vento creava sull’acqua, di solito quasi immobile in quel punto, poi annuì.
“Non avrei dovuto fidarmi così tanto di me stessa”.
Il ragazzo si voltò di scatto, quasi non credendo alle proprie orecchie. Restò in silenzio, mentre la mezz’elfa si accese l’erbapipa.
“Ero sola al comando. Fu questo il mio errore più grande. Avrei dovuto condividere quel fardello e fare in modo che la mia prigionia non risultasse così determinante. La prima ed unica volta che riuscirono a catturare La Viperai…”.
Il ragazzo si avvicinò alla donna e le sottrasse l’erbapipa dalle dita. Tirò una profonda boccata e poi le disse:
“E se ti dicessi che ho trovato un modo per rimediare al passato?”
La mezz’elfa si voltò aggrottando la fronte: “Di cosa parli?!”
“Seguimi”, replicò l’uomo, “Lo Sciacallo ti aspetta”. Poi rimontò a cavallo e si diresse verso la Capitale delle Westlands.
La donna scosse il capo in segno di chiaro disappunto. Erano passati molti anni da quella drammatica notte, ma le fiamme che avevano arso la Foresta sembravano ancora consumarla. Il ragazzo teneva fisso lo sguardo su di lei e, senza fiatare, restava in attesa che riprendesse a parlare. Osservava ogni sua espressione, cercando di individuarne il nesso con ciò che gli stava raccontando, pur consapevole di non avere davanti il suo vero aspetto.
La mezz’elfa prese il calice sul tavolo e lo svuotò d’un fiato.
“Libertà… arrivarono con violenza e bruciarono ogni cosa. Il covo venne distrutto, i miei fratelli dispersi. Tutto in nome della libertà. Ma quale? Quella di regnare di nuovo incontrastati.”
La donna poggiò i palmi delle mani sul tavolo e si sospinse in piedi. Dopo un primo passo falso, prese a camminare verso l’uscita della locanda. Si voltò verso il ragazzo, ancora seduto con gli occhi fissi su quella figura avvolta da un mantello color porpora.
“Vuoi rimanere lì ad ammirarmi le natiche? O pensi di seguirmi?!”
Il ragazzo la raggiunse rapidamente lanciando una moneta all’oste.
I due proseguivano affiancati, mentre una leggera brezza proveniente da nord agitava i loro mantelli.
“Tentammo di rimarginare quella ferita, ma senza una casa non può esistere una Famiglia.
Tornammo a vivere nelle ombre. Alcuni di noi smisero di seguire gli insegnamenti di Oskatat e finirono per abbracciare ciò contro cui avevano lottato. Altri decisero d’infiltrarsi, nel tentativo di condizionare le decisioni dei nostri nemici. Ma le risorse scarseggiavano e la nostra organizzazione era ormai troppo debole per riuscire a riprendersi rapidamente. E così, col passare del tempo, i contatti tra noi divennero sempre meno frequenti; le risposte tardavano ad arrivare e l’odio verso i regnanti corrotti, che un tempo animava i nostri spiriti, lasciava il posto agli affetti che, nel frattempo, si erano creati.”
I due erano ormai arrivati al limitare del Bosco Vecchio, l’antico bosco che occupa le rive del fiume Faver, a metà strada tra Deanad ed Amon. La fitta vegetazione era nuovamente rigogliosa e impediva alla luce di penetrare, lasciando spazio soltanto a nebbia e ombre. Tra i grandi alberi di Yew, la tomba di Oskatat era avvolta dall’edera. Con fare nervoso, la mezz’elfa tentò di ripulirla.
“Non smetto di pensare a quella notte. In tutti questi anni di esilio volontario, non ho fatto altro che ripercorrere quegli istanti. Se non mi avessero catturata e rinchiusa in quella fredda cella di Helcaraxe, tutto ciò non sarebbe accaduto.
Le Lame Silenti non erano mai state tanto forti e influenti, ma anche così vicine alla nostra rovina. Ed io non sono stata in grado di accorgermene per tempo”.
Gli occhi della donna erano adesso rivolti al fiume, mentre lo sguardo del ragazzo era rimasto fisso sulla lapide.
“Che cosa intendi? Che avresti potuto fare?” chiese alla mezz’elfa.
“E’ ciò che mi sono domandata per tutto questo tempo” rispose lei.
“Ed hai trovato una risposta?” la imbeccò l’umano.
La donna restò ferma ad osservare le lievi increspature che il vento creava sull’acqua, di solito quasi immobile in quel punto, poi annuì.
“Non avrei dovuto fidarmi così tanto di me stessa”.
Il ragazzo si voltò di scatto, quasi non credendo alle proprie orecchie. Restò in silenzio, mentre la mezz’elfa si accese l’erbapipa.
“Ero sola al comando. Fu questo il mio errore più grande. Avrei dovuto condividere quel fardello e fare in modo che la mia prigionia non risultasse così determinante. La prima ed unica volta che riuscirono a catturare La Viperai…”.
Il ragazzo si avvicinò alla donna e le sottrasse l’erbapipa dalle dita. Tirò una profonda boccata e poi le disse:
“E se ti dicessi che ho trovato un modo per rimediare al passato?”
La mezz’elfa si voltò aggrottando la fronte: “Di cosa parli?!”
“Seguimi”, replicò l’uomo, “Lo Sciacallo ti aspetta”. Poi rimontò a cavallo e si diresse verso la Capitale delle Westlands.