Il Canto della Roccia
Posted: Fri Feb 21, 2020 11:48 am
"La tradizione merita il massimo rispetto, essa è la voce dei nostri antenati"
Queste le parole pronunciate secoli e secoli prima da Belfur Felekdum al proprio nipote nel consegnargli un vecchio tomo impolverato.
Belfur era partito da un antico detto nanico per cominciare a narrare una parte della storia della propria razza.
La parte più dura e triste di una storia millenaria, che grazie alla risolutezza di un popolo ancora oggi viene scritta dai diretti discendenti dei Padri Maestri.
Dakkar aveva ancora impressa nella sua anziana mente quella scena.
Prese il tomo, soffiò via la polvere e passò la mano callosa sulla superficie e chiuse gli occhi per concentrarsi sul turbinio di emozioni che lo investirono.
Dopo un profondo respiro, aprì gli occhi e cominciò a leggere per l'ennesima volta il tomo.
Prologo
Anno Zero del Calendario Djaredin
- Dai racconti di Belfur Felekdum
La deportazione del nostro popolo per mano degli odiati elfi è ormai giunta alla conclusione.
Dopo la Battaglia Sanguinosa, vari gruppi organizzati hanno continuato le azioni di guerra contro gli elfi: alla fine tutti siamo stati costretti ad arrenderci.
Tutti abbiamo subito e condiviso la medesima sorte.
Non ero mai salito su una barca, né avrei mai pensato che sarebbe successo per volontà di un elfo e non per la mia.
“Dove ci staranno portando?”. Questa la domanda silente dentro la mente di ognuno di noi.
Navighiamo ormai da diverso tempo ormai: le imbarcazioni solcano le onde speditamente e senza esitazione.
Siamo sbarcati su un’isola a noi sconosciuta. Mi guardo attorno e vedo che ciò che è rimasto del Popolo Fiero è rappresentato per lo più da anziane donne e piccoli djaredin. Tutti i migliori guerrieri del Regno, nani e nane in età adulta e veterani dalla lunga barba bianca, non sono più: hanno lasciato dietro di sé solo una moltitudine di orfani e vedove e il ricordo del loro sguardo carico di tanta determinazione.
Uno alla volta, abbiamo imboccato una buia galleria naturale che scende verso il cuore dell’isola: dietro di noi i guerrieri elfi. Questi, dopo averci fatto raccogliere all’interno di una piccola caverna, hanno fatto ritorno in superficie.
Poco dopo un boato talmente assordante da superare il pianto dei bambini, echeggia tra le cavità sotterranee, seguito da una pioggia di sabbia e detriti. Sono stato uno dei primi a rialzarmi e mi sono diretto immediatamente verso quella che poco prima era l’entrata della galleria, ma che ora era solo un cumulo di macerie.
Ora ci sono chiare le intenzioni degli elfi.
Non avremmo mai più rivisto la luce.
L'anziano nano chiuse il tomo e allungò la mano verso la pipa poggiata sul tavolo.
"Su una cosa ti sbagliavi vecchio Belfur" disse accendendo la pipa.
"Siamo tornati..." disse con un filo di voce, chiudendo nuovamente gli occhi.
Queste le parole pronunciate secoli e secoli prima da Belfur Felekdum al proprio nipote nel consegnargli un vecchio tomo impolverato.
Belfur era partito da un antico detto nanico per cominciare a narrare una parte della storia della propria razza.
La parte più dura e triste di una storia millenaria, che grazie alla risolutezza di un popolo ancora oggi viene scritta dai diretti discendenti dei Padri Maestri.
Dakkar aveva ancora impressa nella sua anziana mente quella scena.
Prese il tomo, soffiò via la polvere e passò la mano callosa sulla superficie e chiuse gli occhi per concentrarsi sul turbinio di emozioni che lo investirono.
Dopo un profondo respiro, aprì gli occhi e cominciò a leggere per l'ennesima volta il tomo.
Prologo
Anno Zero del Calendario Djaredin
- Dai racconti di Belfur Felekdum
La deportazione del nostro popolo per mano degli odiati elfi è ormai giunta alla conclusione.
Dopo la Battaglia Sanguinosa, vari gruppi organizzati hanno continuato le azioni di guerra contro gli elfi: alla fine tutti siamo stati costretti ad arrenderci.
Tutti abbiamo subito e condiviso la medesima sorte.
Non ero mai salito su una barca, né avrei mai pensato che sarebbe successo per volontà di un elfo e non per la mia.
“Dove ci staranno portando?”. Questa la domanda silente dentro la mente di ognuno di noi.
Navighiamo ormai da diverso tempo ormai: le imbarcazioni solcano le onde speditamente e senza esitazione.
Siamo sbarcati su un’isola a noi sconosciuta. Mi guardo attorno e vedo che ciò che è rimasto del Popolo Fiero è rappresentato per lo più da anziane donne e piccoli djaredin. Tutti i migliori guerrieri del Regno, nani e nane in età adulta e veterani dalla lunga barba bianca, non sono più: hanno lasciato dietro di sé solo una moltitudine di orfani e vedove e il ricordo del loro sguardo carico di tanta determinazione.
Uno alla volta, abbiamo imboccato una buia galleria naturale che scende verso il cuore dell’isola: dietro di noi i guerrieri elfi. Questi, dopo averci fatto raccogliere all’interno di una piccola caverna, hanno fatto ritorno in superficie.
Poco dopo un boato talmente assordante da superare il pianto dei bambini, echeggia tra le cavità sotterranee, seguito da una pioggia di sabbia e detriti. Sono stato uno dei primi a rialzarmi e mi sono diretto immediatamente verso quella che poco prima era l’entrata della galleria, ma che ora era solo un cumulo di macerie.
Ora ci sono chiare le intenzioni degli elfi.
Non avremmo mai più rivisto la luce.
L'anziano nano chiuse il tomo e allungò la mano verso la pipa poggiata sul tavolo.
"Su una cosa ti sbagliavi vecchio Belfur" disse accendendo la pipa.
"Siamo tornati..." disse con un filo di voce, chiudendo nuovamente gli occhi.