Pomeriggio, seconda settimana di forense; Yves andò dall’alchimista offrire i suoi servigi e fu colpita da uno strano pentacolo a cui non aveva mai fatto caso; si avviò verso la piazza, sarebbe dovuta recarsi in caserma per fare rapporto, tuttavia, incrociando il suo superiore lo fermò, e gli mostrò ciò che i suoi occhi avevano visto. Egli, non di ede piu di tanto peso a ciò che vide: era evidente che qualcosa occupava ancor più la sua mente; presto detto, la giovane fu convocata in caserma.
Egli rivelò che un prigioniero, di quei fanatici che muovevan guerra da settimane al popolo loknariano, di cui lei ignorava totalmente l’esistenza, prima di suicidarsi come ormai erano soliti fare quei così credenti rivelò l’ubicazione del loro covo. Le affidò dunque una missione delicata, andare a fare un sopralluogo per assicurarsi che il luogo che il suicida aveva rivelato fosse quello corretto in maniera tale che quei fanatici potessero essere sgominati una volta per tutte.
Yves, non se lo fece ripetere, si alzò e congendandosi si diresse verso casa sua dove, si cambiò d’abito, celò il suo volto e si mosse all’imbrunire percorrendo sentieri poco illuminati per non essere vista.
Galoppò a lungo, senza particolari problemi e giunse finalmente in quello che doveva essere il luogo designato. Nei pressi vi era un ettin creatura antica e potente, ma non era nei piani della giovane la sua dipartita, o perlomeno non allora, forse più tardi se si fosse trovato lì, sul cammino dei loknariani. Yves, sebbene fosse giovane, non era una sprovveduta, sapeva bene che porre fine alla vita dell’ ettin poteva voler significare generare un allarme ed il luogotenente aveva chiesto discrezione.
Si avvicinò cauta, con passi felpati e subitò notò per terra segni inconfondibili del passaggio recente di qualcuno. L’erba era schiacciata, in alcune zone, addirittura delle zolle di prato erano saltate via, e, delle orme di stivali affossavano nel terreno umido. Forse era nel posto giusto. Sfruttando a pieno il buio e l’oscurità si addentrò ed iniziò a frugare qua e la in quel luogo che sembrava abbandonato chissà da quanto tempo.
Tutto era impolverato, coperto da lerci teli bagnaticci maleodoranti e fradici. In ogni angolo del solaio si potevano notare ragnatele d’ogni forma e grandezza. I portacandele, sulle pareti ormai erano spogli da chissà quanto tempo delle candele, e la cera, era incrostata per terra e ricoperta anche questa della polvere. La porta divelta e le tavole con cui era stata costruita erano per terra, sparse e marce. Gli scaffali divelti dai muri in mezzo alla stanza come a creare un quasi innaturale caos; ma quel caos dipingeva la perfezione e risaltava un unico mobiletto di medie dimensioni così pulito, si faceva apprezzare, visto che era anche piuttosto pulito. Un’indizio evidente che avrebbe potuto portare la verità e la conferma di quanto la giovane stesse cercando; Assicuratasi che nessuno che nessuno fosse nei paraggi si avvicinò e lo mosse un poco: un sorriso soddisfatto si disegnò sul suo volto. La sua missione era terminata ed era stata conclusa con successo, sistemò in maniera accurata quasi maniacale quel mobile e, sempre aiutata dall’ombra che le offriva la notte andrò a recuperare il suo destriero, lo montò, e si diresse verso Loknar.
Tornata senza essersi fermata durante la galoppata del ritorno, incrociò nuovamente Lucian e lui dopo aver sentito tutto il racconto di Yves le chiese di scrivere un rapporto per la tracciabilità dell’operazione, quindi la giovane annuì e annotò tutto ciò che aveva riferito al Luogotenente in maniera minuziosa; dopo averlo fatto, si diresse a casa e rivestì, per essere nuovamente riconoscibile. Ella si concesse il resto della serata fino a cena, per sistemare alcune cose lasciate in sospeso.
Alla metà della ventunesima ora, una fittizia riunione cittadina accolse gli abitandi di Loknar. Qui in qualità massimo esponente il Consigliere Lucian prese parola spiegando la situazione che si prospettava per la notte. Tutti ne furono sorpresi, Pompilio, lo strillone, dal mattino urlava ben altre direttive. La parola, fu passata a Yves che spiegò i dettagli della missione senza indugio.
Con enfasi e preparando tutti velocemente, fuorono pronti e schierati per partire alla volta del luogo designato per lo sterminio di quegli oppressori che, senza ritegno ormai da settimane assediavano il bastione loknariano nelle terre selvagge. Poche parole, quelle necessarie a fomentare i Loknariani quando tutti furono pronti: “Marceremo Liberi”. Erano le parole più belle mai ascoltate per chi decise di vestire il Nero della casa di Elok.
Tutta Loknar, eseguendo le istruzioni che erano state comunicate, giungendo in quel luogo e scostando il mobile si trovò subito nel loro covo. Incredibile vedere quanto sfarzo c’era in quel luogo, e quanta povertà c’era sopra. Un pò come chi si reputa credente del solo dio Crom crede che la ricchezza sia tutta lì e denigra, chi per scelta o per libertà abbia migrato il proprio credo altrove, rispettando tutti i Sette senza alcuna distinzione.
Loknar avanzava compatta, la prima linea come un unico scudo si muoveva, mentre dalla seconda, sacerdoti, arcieri cantori, ed arcani davano il loro contributo. Quelli che avevano difronte non erano semplici umani. Avevano il favore divino o qualche potere che accresceva la loro forza e resistenza. Yves, con sguardo attento e ligio si assicurava, che dalle retrovie, non giungesse un manipolo uscito in avanscoperta che era stato vicino Loknar ad infastidire i viandanti. Il gruppo, passò un punto dove vi era una specie di bottega sartoriale: scampoli di stoffa, della loro stoffa, uniti a cappucci e tonache distintivi di quel gruppo erano lì; chissà quanti altri fanatici avrebbero potuto unirsi a quel branco di strambi suicidi. Yves, raccattò un cappuccio che avrebbero portato in seguito a Loknar per far esaminare dall’Accademia.
Il gruppo avanzava, compatto incontrastato, il loro obiettivo era quello di uccidere il mandante di quella pazzia, il colpevole di quell’indottrinamento spregiudicato che portava, molti dei fedeli a togliersi la vita. Un’altro corridoio superato, ed un’altro stanzone si parava davanti a loro. Una sala mensa probabilmente, con dei piedistalli su cui sopra c’erano raffigurazioni divine ben note, un’ulteriore rindondanza nel loro indottrinamento: qualsiasi cosa loro facevano, dovevano aver a che fare con segni divini. Era questo il loro volere? Se erano così credenti nel Guerriero, perché messi con le spalle al muro si toglievano la vita senza apprezzare il dono più prezioso che gli veniva concesso? Yves meditò a lungo su questo punto, ma non trovò risposta. Furono rinvenuti dei bracciali, parevano datati di qualche anno, e furono raccolti. Si doveva investigare meglio.
I Loknariani non avevano mai abbastanza tempo per riflettere o indagare, un altro corridoio li attendeva, ed urla lancinanti catturavano la loro attenzione. Ancora una volta ricompattati, avanzano in un altro corridoio Questa volta, la sala che lo annunciava sembrava una palestra. Fra tutti spiccava un uomo mezzo nudo, pareva da un primo sguardo essere stato messo sotto tortura. Greig, impavido combattente, sferrando ganci e colpi di bardica qua e la raggiunse l uomo inerme e vi si mise a protezione. Corpo dopo corpo, cadevan a suolo inermi mentre la loro anima li abbandonava. Misero in salvo quel contadino, ma si rifiutò di seguire i Loknariani laddove si supponeva che tale Benedic si trovava. Yves attenta, tutto scrutava, quell uomo che impaurito iniziò a parlare dicendo d’esser stato rapito dal Bosco Vecchio e condotto lì. Scosse il capo, quel disegno non le tornava, come quando si analizza la riga di uno spartito scritta da poco e vi è una nota di troppo; Così, silenziosa, come aveva sempre fatto raccolse a se Greig qualche passo distante dagli altri ed espose la sua idea.
Egli, si fidò delle parole della mezz’elfa, il dubbio che aveva insinuato, la supposizione che aveva fatto, poteva essere corretta, e magari, un pazzo, sentendo che Loknar era lì per fare giustizia avrebbe pure potuto immedesimarsi in un contadino rapito in maniera tale che, quando i Loknariaini avessero abbassato la guardia lui sarebbe potuto fuggire con tutta calma, magari in qualche anfratto segreto ch’egli poteva conoscere. Fu dunque la volta di Lucian: Yves richiamò nuovamente la sua attenzione, esponendo lo stesso dubbio, la mezz’elfa, agiva silente perché non avrebbe voluto mettere in un eventuale allerta il contadino.
Tutti sapevano quel che dovevano fare. Il gruppo si ricompattò, pronto a sfondare quel portone metallico davanti a loro, nessuno sapeva cosa si sarebbero dovuti aspettare. Quando tutti fuorono pronti, le prime linee sfondarono senza esitazione e fecero una carica epocale. A decine, i sudditi che stavano ascoltando una messa. Il loro potere era senza eguali; il sacerdote invocava Crom, le ferite dei sudditi sembravano guarirsi istantaneamente: era un bel guaio. La battaglia imperversava, i loknariani incominciarono ad accusare la stanchezza. Piu i loro colpi erano veloci, piu le loro ferite sembravano rimarginarsi. Così, di comune accordo, il gruppo si scisse in due, alcuni, attiravano gli adepti lontani e l’altro teneva occupato il sacerdote. Greig, continuava a fare da scorta, guardia al contadino. Dopo ancora tempo, l’aver diviso il sacerdote dagli adepti iniziò a portare i suoi frutti; evidentemente la lunga distanza, non aiutava il sacerdote a guarire le ferite. Uno dopo l’altro, uno dopo l’altro così, gli adepti adornati da quell aura misteriosa che aveva sempre reso così dure le loro corazze iniziavano ad accusare i colpi e perire per mano dei loknariani. Non ne rimaase ora che il loro capo. Colpi su colpi, i loknariani si accanirono sul fautore di tutto quel caos. Ma chi era veramente quell uomo? Da quanto indottrinava gli uomini e le donne con un credo cromita differente? Un altro mare di domande si aprì davanti gli occhi di Yves; una cosa certa fu certa: il libero popolo di Loknar, si era nuovamente liberato dall’oppressione di chi voleva soffocando la loro libertà. Finalmente la battaglia fu conclusa. Loknar potè tornare al villaggio.