L'arrogante e l'uomo della palude
Posted: Wed Jan 22, 2020 8:18 pm
Un'altra giornata di duro lavoro stava per concludersi nelle Terre Selvagge. Artiglio definiva stancamente una commessa affidatagli mentre Rubina che si stava lentamente riprendendo dalla lunga malattia, sistemava le sue cose accumulatesi nel tempo. Le solite urla di Bruko lasciavano intendere che la pesca era stata proficua mentre io mangiavo un boccone sottratto alle leccornie di Artiglio. Improvvisamente rumore di zoccoli e sferragliare di armature si udirono oltre la porta della locanda, Bruko si precipitò all'esterno e dopo qualche secondo, incuriositi dallo strano silenzio del nordico, lo seguimmo.
Un uomo agghindato di tutto punto da sembrare uscito da un racconto di fiabe, seguito da una scorta di tre guerrieri sferraglianti e due muli carichi di ogni bene, fu quanto si palesò ai nostri occhi, credevo di aver visto proprio di tutto in questo angolo sperduto di Ardania, ma un “mercante di classe” come egli stesso amava definirsi, non si era mai visto. Visibilmente disgustato dal luogo in cui era finito, arrogante e spocchioso, iniziò una sua speciale conversazione a volte interessante, più spesso fastidiosa, a tratti divertente, ma di sicuro originale.
Il suo nome era Frederic Jeannot e come tenne a sottolineare, si pronunciava dolcemente:
“badate bene che non ho detto Frederik, non ho detto Frrederik, non ho detto FFrederik, ho detto Frederic e Jeannoth come Jean la danzatrice”
Dunque FFrrrrrederik, come ovviamente iniziammo a chiamarlo, dopo aver cercato invano di testare la nostra avidità e il nostro attaccamento ai beni materiali, ci fece una proposta.
Ci saremmo scambiati delle sacche senza che l’uno conoscesse il contenuto della sacca dell’altro e solo dopo esserci separati, avremmo scoperto, sia noi che lui, se lo scambio fosse stato onesto e vantaggioso.
L’aspetto ordinato e distinto, le mani pulite e curate, la chioma morbida e lucente (cera d’api ed essenza di unicorno ha detto! Chissà se funziona davvero) non potevano appartenere ad un ladruncolo mistificatore e così, lasciata da parte l’idea di riempire la sacca con le esche del pescatore, procedemmo ad uno scambio onesto.
Presa la nostra sacca si dileguò alla volta di Tremec dove, diceva, era aspettato per grossi affari; nella sua un mucchietto di monete, tre pale e la mappa di un tesoro che ci conduceva nella famigerata palude dei ragni.
Ci toccava di nuovo scavare dunque, la stanchezza era ormai passata lasciando spazio alla curiosità e alla voglia di avventura. Equipaggiati in un baleno, raggiungemmo di corsa la palude.
Ad accoglierci ragni eterei e vedove nere, la lotta fu lunga ed estenuante, il loro veleno, prontamente debellato grazie all’intercessione della dea, mia prediletta, ci lasciava spossati, Bruko diceva di avere delle visioni strane, io non riuscivo a togliermi la strana sensazione che qualcuno ci fosse alle costole senza farsi notare, provavo una sensazione di disagio che peggiorò presto non appena la palude iniziò a ribollire. Da quelle bolle putride e maleodoranti si sprigionavano orde di moscerini dalle bocche taglienti come lame e fu solo grazie alla maestria di Bruko e all’agilità di Artiglio che potevano essere debellati col fuoco.
Quando tutto sembrava essersi calmato riuscimmo finalmente ad estrarre il tesoro, un bel bottino che sicuramente valeva lo scambio con Frrrederik, ma quella sensazione di disagio non ci abbandonava, in alcuni momenti percepivo come un’ombra guizzante tra le fronde che si perdeva non appeno la cercavo meglio focalizzando lo sguardo.
Alla fine apparve, l’uomo della palude. Completamente nudo, con un perizoma che gli copriva le parti intime, aveva ogni parte del corpo tatuata con strani simboli tribali, era seguito da un tentacolo e circondato da moscerini che non gli facevano alcun male.
Sembrava molto spaventato e cercava di tenerci lontani con un bastone, provando ad avvicinarci, con un balzo rapidissimo si allontanava, ma non sembrava ostile, anzi con ampi gesti ci mise in allarme al sopraggiungere di una vedova nera gigante.
Cercavamo tutti di comunicare con quell’uomo, ma si esprimeva a gesti, gesti incomprensibili come mostrarci i piedi fangosi o cospargersi il viso del fango della palude o peggio, prelevare un liquido vischioso dalla corteccia di un albero e portarla alla bocca.
Non rispose a nessuna delle nostre domande, prima di sparire dalla nostra vista con un balzo repentino mormorò soltanto tre parole: “la mia casa”. La palude smise di ribollire e tutto rientrò nella normalità, rientrammo al Rifugio con tanti dubbi e una storia in più da raccontare.
Un uomo agghindato di tutto punto da sembrare uscito da un racconto di fiabe, seguito da una scorta di tre guerrieri sferraglianti e due muli carichi di ogni bene, fu quanto si palesò ai nostri occhi, credevo di aver visto proprio di tutto in questo angolo sperduto di Ardania, ma un “mercante di classe” come egli stesso amava definirsi, non si era mai visto. Visibilmente disgustato dal luogo in cui era finito, arrogante e spocchioso, iniziò una sua speciale conversazione a volte interessante, più spesso fastidiosa, a tratti divertente, ma di sicuro originale.
Il suo nome era Frederic Jeannot e come tenne a sottolineare, si pronunciava dolcemente:
“badate bene che non ho detto Frederik, non ho detto Frrederik, non ho detto FFrederik, ho detto Frederic e Jeannoth come Jean la danzatrice”
Dunque FFrrrrrederik, come ovviamente iniziammo a chiamarlo, dopo aver cercato invano di testare la nostra avidità e il nostro attaccamento ai beni materiali, ci fece una proposta.
Ci saremmo scambiati delle sacche senza che l’uno conoscesse il contenuto della sacca dell’altro e solo dopo esserci separati, avremmo scoperto, sia noi che lui, se lo scambio fosse stato onesto e vantaggioso.
L’aspetto ordinato e distinto, le mani pulite e curate, la chioma morbida e lucente (cera d’api ed essenza di unicorno ha detto! Chissà se funziona davvero) non potevano appartenere ad un ladruncolo mistificatore e così, lasciata da parte l’idea di riempire la sacca con le esche del pescatore, procedemmo ad uno scambio onesto.
Presa la nostra sacca si dileguò alla volta di Tremec dove, diceva, era aspettato per grossi affari; nella sua un mucchietto di monete, tre pale e la mappa di un tesoro che ci conduceva nella famigerata palude dei ragni.
Ci toccava di nuovo scavare dunque, la stanchezza era ormai passata lasciando spazio alla curiosità e alla voglia di avventura. Equipaggiati in un baleno, raggiungemmo di corsa la palude.
Ad accoglierci ragni eterei e vedove nere, la lotta fu lunga ed estenuante, il loro veleno, prontamente debellato grazie all’intercessione della dea, mia prediletta, ci lasciava spossati, Bruko diceva di avere delle visioni strane, io non riuscivo a togliermi la strana sensazione che qualcuno ci fosse alle costole senza farsi notare, provavo una sensazione di disagio che peggiorò presto non appena la palude iniziò a ribollire. Da quelle bolle putride e maleodoranti si sprigionavano orde di moscerini dalle bocche taglienti come lame e fu solo grazie alla maestria di Bruko e all’agilità di Artiglio che potevano essere debellati col fuoco.
Quando tutto sembrava essersi calmato riuscimmo finalmente ad estrarre il tesoro, un bel bottino che sicuramente valeva lo scambio con Frrrederik, ma quella sensazione di disagio non ci abbandonava, in alcuni momenti percepivo come un’ombra guizzante tra le fronde che si perdeva non appeno la cercavo meglio focalizzando lo sguardo.
Alla fine apparve, l’uomo della palude. Completamente nudo, con un perizoma che gli copriva le parti intime, aveva ogni parte del corpo tatuata con strani simboli tribali, era seguito da un tentacolo e circondato da moscerini che non gli facevano alcun male.
Sembrava molto spaventato e cercava di tenerci lontani con un bastone, provando ad avvicinarci, con un balzo rapidissimo si allontanava, ma non sembrava ostile, anzi con ampi gesti ci mise in allarme al sopraggiungere di una vedova nera gigante.
Cercavamo tutti di comunicare con quell’uomo, ma si esprimeva a gesti, gesti incomprensibili come mostrarci i piedi fangosi o cospargersi il viso del fango della palude o peggio, prelevare un liquido vischioso dalla corteccia di un albero e portarla alla bocca.
Non rispose a nessuna delle nostre domande, prima di sparire dalla nostra vista con un balzo repentino mormorò soltanto tre parole: “la mia casa”. La palude smise di ribollire e tutto rientrò nella normalità, rientrammo al Rifugio con tanti dubbi e una storia in più da raccontare.