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Qui i giocatori di The Miracle lasciano imprese, poesie, narrare eventi e grandi avventure avvenute e in svolgimento su Ardania. Linguaggio strettamente ruolistico.
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By Dakeyras
#64226
La partenza. Le Ragioni.
Si mormorava tra le sale marmoree del Tempio del Primo Nato, qualcosa stava cambiando. Si bisbigliava nei vicoli oscuri, sotto le torce tremolanti. Jalabar, il grande mercante — lingua d’argento e dita d’oro — offriva una ricompensa prodigiosa a chi gli avesse portato la Cintura del Signore dei Gargoyle, un artefatto antico, oscuro, incastonato di rune e leggenda.
Ma a Loknar, non si parte per oro. Si parte per potere.
Perché a Loknar si onora Vashanar, il Primo Nato, e ogni figlio della Città Nera sogna un solo destino: guadagnarsi un posto alla sua Sinistra.
E così, quando la notte si piegò sull’orizzonte, lasciammo la città. Non con canti, non con saluti. Con le armi in pugno e gli occhi rivolti al buio.

Gli uomini e le donne.
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Io, Dakeyras, avevo l’onore di aprire la marcia. Portavo i miei ventagli da guerra. Come sempre. Ma in cuor mio sapevo che quella notte sarebbe stata diversa. E infatti poco dopo, impugnai lo scudo.
Fedele alla sola voce del Primo, non avevo mai gradito i doni degli altri dei. Ma il destino ha un gusto ironico: per tutto il sotterraneo, l’Abbraccio della Dea Althea e la sua l’Armatura di Spine di Althea furono su di me. E, lo ammetto, mi sentirono ridere.
Alla mia destra camminava Maeve Alder, Somma Sacerdotessa. Implacabile come un giuramento spezzato, non ammetteva il fallimento nemmeno come concetto. La sua parola era comando, il suo silenzio sentenza.
Vicino a lei, Liam Carter, il Gran Sacerdote, la voce calma nei momenti in cui la realtà sembrava cedere. Le loro cure furono arte e fede fuse insieme. Non vi fu ferita che restò aperta troppo a lungo. Non vi fu caduta che durò più di un respiro.
Simon Verdren, Gran Maestro del Sapere, sapeva nomi antichi e li usava per far tremare l’aria. Dove lui parlava, il flux, così come gli uomini, obbedivano.
Alexander Kharu, mago famelico, non di sangue ma di tesori: ogni stanza era una possibilità, ogni forziere una speranza da sbranare.
Zyra Violet, silenziosa come la notte d’inverno, colpiva senza errore, e spariva dietro la freccia che aveva scoccato.
Gullermo di Antendaino, musico e incantatore, suonava per stordire, per incantare, per distruggere. La sua arte era bellezza letale.
Nikolaj Herzof, il barbaro furente, combatteva come se la fine del mondo lo avesse scelto come araldo.
Piedone, ranger, amico dei venti e delle rocce, guidava il gruppo con sicurezza primordiale. Dietro di lui, Hilde, il suo incubo personale, mostro e compagna, fiera e temibile.
Fiadh, la sacerdotessa di Althea, la luce fatta persona, la voce che scaldava anche nei silenzi della morte.
Ed infine Edgar Solen. Avanzava spesso da solo, come un’ombra armata d’arco e incanto. Un tempo bardo, ora incantatore tagliente, seguace del Grigio — almeno in apparenza. Ma il modo in cui cercava potere... era quasi una preghiera silenziosa a Vashanar stesso. Ad ogni buon conto, dove passava, i gargoyle cadevano come statue rotte.

La battaglia nel covo dei Gargoyle
Il sotterraneo non era più lo stesso, era un incubo scolpito.
Gargoyle in infinite ondate, pipistrelli come pioggia di carne e zanne, corridoi stretti e odore di polvere millenaria. Ogni passo era una sfida. Ogni stanza, un assalto.
Quando infine il Signore dei Gargoyle apparve, la terra tremò.
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Un titano di roccia e odio, con occhi di brace e una cintura che pulsava potere antico. Lo affrontammo. Ma si ritirò. Ridendo.
Tornarono infinite orde di Gargoyle, così combattemmo. Ancora. A lungo.
Poi il Signore tornò. Più potente.
Le sue ali piegavano l’aria, e ogni gesto era una frana.
Lo affrontammo di nuovo. Lo sconfiggemmo di nuovo, ma non era ancora morto. Anzi.
Ancora Gargoyle, ancora combattimenti.
Restava un stanza. Il terzo scontro con il Signore… fu guerra
Le sue spazzate erano uragani in pietra. Bastava un colpo per far saltare armature, spezzare ossa, incrinare certezze. Le urla si mescolavano agli incanti, al sangue e alle preghiere.
Eppure nessuno indietreggiò.
Non Zyra, che colpiva i punti deboli.
Non Nikolaj, che si gettò addosso al titano come tempesta d’acciaio.
Non Alexander o Simon, che versavano fiamme e morte con uguale furia.
Non Piedone, che trovava appigli dove non c’erano.
Non Fiadh, non Maeve, non Liam: le loro cure, i loro scudi, le loro preghiere erano ciò che ci tenne vivi.
E non io. Perché quella volta, non bastava colpire.
Bisognava resistere.
E con lo scudo, ressi.
Per Loknar. Per Vashanar.
Alla fine, il Signore cadde.
E la cintura — nera, viva, crudele — fu nostra.
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Da Jalabar
Al ritorno, le torri di Loknar ci accolsero senza una parola.
Jalabar ci attendeva. Occhi avidi, sorriso di porcellana.
Vide la cintura.
Non disse nulla.
Ci diede ciò che aveva promesso.
Cos’era?
Forse un artefatto.
Forse conoscenza.
Forse potere.
Forse niente di tutto questo.
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