- Sat Jun 28, 2025 12:54 pm
#64172
-------------------27 Granaio, Anno 289 -------------------
La sera del 27 Granaio 289, sotto un cielo livido, partimmo. Insieme a un manipolo di uomini scelti, salpammo verso l’Isola Smeraldo. Ci attendevano già gli uomini di Hammereim, e uno dopo l’altro arrivarono anche i Cavalieri dell’Alba, gli Equiseto, l’Accademia delle Arti Arcane, Amon e infine i Corsari Scarlatti. Questi ultimi erano guidati da un uomo imponente dal volto segnato dal tempo e dalla guerra, si faceva chiamare Malandrino, a pochi è noto il suo vero nome. Prese subito il comando, la sua voce era quella di chi ha visto troppo per lasciarsi scuotere.
L’obiettivo era tanto folle quanto necessario: penetrare nel gorgo marino apertosi accanto all’isola, affrontare uno dei sei leggendari Leviatani ancora in vita e liberare il faro sommerso. Solo accendendo tutti e sette i fari, un giorno, sarebbe stato possibile evocare il Guardiano di Danu.
I comandanti si guardavano con occhi cupi. Nessuno parlava apertamente di morte, ma la sentivamo addosso, come sale sulla pelle.
Malandrino tuonò:
“Mi servono due squadre. La prima, piccola ma pronta, rimarrà sul galeone. Attiverà la bussola per separare le acque e calerà la corda. Dovranno proteggere la nave da minacce esterne. La seconda… scenderà nell’abisso e combatterà.”
Così vennero scelti i rappresentanti. Io fui tra coloro destinati alle profondità. Ricordo ancora Dakeyras, assegnato alla prima squadra. Un condottiero silenzioso, occhi di pietra. Non sembrava felice di restare a bordo.
La flotta si mosse: due fregate e un galeone si allinearono sul bordo del gorgo. Quando tutto fu pronto, la bussola venne attivata. Le acque si divisero come per miracolo, aprendo una voragine nera. La corda venne calata.
“Prima linea, giù!” ordinò Malandrino.
Mi calai. L’abisso mi inghiottì. Toccammo il fondo, e un mago pronunciò un incantesimo che ci permise di vedere nell’oscurità.
Era… quieto. Quasi irreale. Sabbia, alghe, rocce. In lontananza, il faro: alto, silenzioso, immerso nel silenzio di un tempo perduto. Il muro d’acqua ci circondava come una prigione viva, attraversato da creature abissali. Avanzammo verso la base del faro. Nessuno parlava.
Poi, accadde.
Dal muro d’acqua alle nostre spalle, qualcosa si staccò. Una massa gigantesca che cresceva a vista d’occhio, rivelando la sua forma. Una creatura leggendaria.
Il Leviatano Mangiadraghi di Ocearax.
Una colossale testuggine emerse in tutta la sua potenza. La sua pelle era pietra, la corazza un bastione. Le frecce rimbalzavano inutili. Con uno scatto abbatteva uomini come fossero foglie. Victor, il mio compagno Loknariano, evocò un guardiano… durò un battito. Poi, una codata lo scaraventò contro la base del faro.
Ma non era finita.
Victor si rialzò a fatica. E poi fece l’impensabile: iniziò a curare. Una, due, dieci volte. Gli uomini tornavano in piedi. Le sue mani, tremanti, splendevano di magia vitale.
Intanto io… io continuavo a tirare. Una, due, tre frecce. La maggior parte si frantumava contro la corazza, ma alcune — sì, alcune — trovarono la carne. Il Leviatano ringhiò. Mi vide. Lo sentii.
E in quel caos, accadde un’altra cosa.
Dalla corda, un uomo si calò. Non uno qualsiasi.
Dakeyras!
Aveva abbandonato la sicurezza del galeone. Con la spada sguainata, urlò il suo nome e si lanciò contro la bestia. Il suo arrivo rianimò gli animi. Con lui, la prima linea riprese fiato.
I cavalieri lo seguirono, i berserker si lanciarono, e la bestia fu circondata. La Somma Maeve curava senza sosta, Simon potenziava ogni colpo, e noi arcieri — spinti da un incantesimo che ci teletrasportava di continuo in punti diversi — continuavamo a colpire, confusi ma determinati.
Lo scontro durò ore. Urla. Sangue. Magia. Follia.
Finché, infine, la creatura emise un lamento sepolcrale… e cadde.
Il Leviatano era morto.
Nessuno parlò. Solo il rumore del nostro respiro affannoso. Alcuni esplorarono il faro, altri razziarono il corpo della creatura. I feriti furono issati sul galeone. Victor, stremato, crollò in ginocchio. Dakeyras osservava il cadavere, muto. Nessuno osava dire che era stato un atto di eroismo.
In questa spedizione non uno morì, tutti vivi, ma pieni di ferite. Alcune visibili. Altre no.
Dove erano le grida? Le urla di disperazione? I pianti incontrollati? La paura negli occhi? … tutto irreale, quasi scontato e irrazionale.
Tornati a bordo, Malandrino ci radunò.
“Uno è caduto. Ne restano cinque. La strada è ancora lunga, e il vero orrore… deve ancora venire.”
Sul viaggio di ritorno, la Somma parlò: il faro può essere acceso, ma solo per un tempo limitato. Abbiamo scelto di lasciarlo spento, almeno per ora.
Aspetteremo. Fino a quando tutti saranno liberati. Se saranno liberati.
Sapevamo di aver vinto.
Ma nessuno di noi si sentiva salvo.
Non più.
Il mare era troppo quieto. Il cielo senza stelle.
Qualcosa, laggiù, ci aveva visti. E ci stava aspettando.
[27/06/289 Il Rapimento di Suelain Vol. 1 (di Rayan Greiff)]
La sera del 27 Granaio 289, sotto un cielo livido, partimmo. Insieme a un manipolo di uomini scelti, salpammo verso l’Isola Smeraldo. Ci attendevano già gli uomini di Hammereim, e uno dopo l’altro arrivarono anche i Cavalieri dell’Alba, gli Equiseto, l’Accademia delle Arti Arcane, Amon e infine i Corsari Scarlatti. Questi ultimi erano guidati da un uomo imponente dal volto segnato dal tempo e dalla guerra, si faceva chiamare Malandrino, a pochi è noto il suo vero nome. Prese subito il comando, la sua voce era quella di chi ha visto troppo per lasciarsi scuotere.
L’obiettivo era tanto folle quanto necessario: penetrare nel gorgo marino apertosi accanto all’isola, affrontare uno dei sei leggendari Leviatani ancora in vita e liberare il faro sommerso. Solo accendendo tutti e sette i fari, un giorno, sarebbe stato possibile evocare il Guardiano di Danu.
I comandanti si guardavano con occhi cupi. Nessuno parlava apertamente di morte, ma la sentivamo addosso, come sale sulla pelle.
Malandrino tuonò:
“Mi servono due squadre. La prima, piccola ma pronta, rimarrà sul galeone. Attiverà la bussola per separare le acque e calerà la corda. Dovranno proteggere la nave da minacce esterne. La seconda… scenderà nell’abisso e combatterà.”
Così vennero scelti i rappresentanti. Io fui tra coloro destinati alle profondità. Ricordo ancora Dakeyras, assegnato alla prima squadra. Un condottiero silenzioso, occhi di pietra. Non sembrava felice di restare a bordo.
La flotta si mosse: due fregate e un galeone si allinearono sul bordo del gorgo. Quando tutto fu pronto, la bussola venne attivata. Le acque si divisero come per miracolo, aprendo una voragine nera. La corda venne calata.
“Prima linea, giù!” ordinò Malandrino.
Mi calai. L’abisso mi inghiottì. Toccammo il fondo, e un mago pronunciò un incantesimo che ci permise di vedere nell’oscurità.
Era… quieto. Quasi irreale. Sabbia, alghe, rocce. In lontananza, il faro: alto, silenzioso, immerso nel silenzio di un tempo perduto. Il muro d’acqua ci circondava come una prigione viva, attraversato da creature abissali. Avanzammo verso la base del faro. Nessuno parlava.
Poi, accadde.
Dal muro d’acqua alle nostre spalle, qualcosa si staccò. Una massa gigantesca che cresceva a vista d’occhio, rivelando la sua forma. Una creatura leggendaria.
Il Leviatano Mangiadraghi di Ocearax.
Una colossale testuggine emerse in tutta la sua potenza. La sua pelle era pietra, la corazza un bastione. Le frecce rimbalzavano inutili. Con uno scatto abbatteva uomini come fossero foglie. Victor, il mio compagno Loknariano, evocò un guardiano… durò un battito. Poi, una codata lo scaraventò contro la base del faro.
Ma non era finita.
Victor si rialzò a fatica. E poi fece l’impensabile: iniziò a curare. Una, due, dieci volte. Gli uomini tornavano in piedi. Le sue mani, tremanti, splendevano di magia vitale.
Intanto io… io continuavo a tirare. Una, due, tre frecce. La maggior parte si frantumava contro la corazza, ma alcune — sì, alcune — trovarono la carne. Il Leviatano ringhiò. Mi vide. Lo sentii.
E in quel caos, accadde un’altra cosa.
Dalla corda, un uomo si calò. Non uno qualsiasi.
Dakeyras!
Aveva abbandonato la sicurezza del galeone. Con la spada sguainata, urlò il suo nome e si lanciò contro la bestia. Il suo arrivo rianimò gli animi. Con lui, la prima linea riprese fiato.
I cavalieri lo seguirono, i berserker si lanciarono, e la bestia fu circondata. La Somma Maeve curava senza sosta, Simon potenziava ogni colpo, e noi arcieri — spinti da un incantesimo che ci teletrasportava di continuo in punti diversi — continuavamo a colpire, confusi ma determinati.
Lo scontro durò ore. Urla. Sangue. Magia. Follia.
Finché, infine, la creatura emise un lamento sepolcrale… e cadde.
Il Leviatano era morto.
Nessuno parlò. Solo il rumore del nostro respiro affannoso. Alcuni esplorarono il faro, altri razziarono il corpo della creatura. I feriti furono issati sul galeone. Victor, stremato, crollò in ginocchio. Dakeyras osservava il cadavere, muto. Nessuno osava dire che era stato un atto di eroismo.
In questa spedizione non uno morì, tutti vivi, ma pieni di ferite. Alcune visibili. Altre no.
Dove erano le grida? Le urla di disperazione? I pianti incontrollati? La paura negli occhi? … tutto irreale, quasi scontato e irrazionale.
Tornati a bordo, Malandrino ci radunò.
“Uno è caduto. Ne restano cinque. La strada è ancora lunga, e il vero orrore… deve ancora venire.”
Sul viaggio di ritorno, la Somma parlò: il faro può essere acceso, ma solo per un tempo limitato. Abbiamo scelto di lasciarlo spento, almeno per ora.
Aspetteremo. Fino a quando tutti saranno liberati. Se saranno liberati.
Sapevamo di aver vinto.
Ma nessuno di noi si sentiva salvo.
Non più.
Il mare era troppo quieto. Il cielo senza stelle.
Qualcosa, laggiù, ci aveva visti. E ci stava aspettando.
[27/06/289 Il Rapimento di Suelain Vol. 1 (di Rayan Greiff)]
Rayan Greiff [Lkn]