- Sun May 18, 2025 1:41 am
#63802
Selene Aurin - Sacerdotessa SCdO [HMR]
Fu Isiris Nixe, la povera Nixe in Notch
Le campane avevano cominciato a suonare da poco, richiamando i fedeli al cordoglio e alla preghiera.
Il loro rintocco lasciava nell'aria una coda metallica che pareva svanire dentro le mura di pietra.
La porta della dimora si chiuse con un suono pieno.
Selene uscì senza esitazione, coperta da un manto grigio che rifletteva appena i lumi delle lanterne cittadine.
L'abito cerimoniale le cadeva morbido fino alle caviglie, privo di fronzoli.
Al collo della Custode pendeva un simbolo sacro in ossidiana infusa, attraversata da venature color smeraldo.
Non lasciava mai nulla al caso: lo smeraldo era il colore del Regno al quale aveva giurato di donare se stessa.
Nella mano destra, il bastone di legno oscuro, ormai consumato dal tempo, accompagnava da giorni i suoi lenti passi.
Un ultimo passo la separava dal cammino verso la piazza, dove avrebbe accolto gli ospiti, per poi dirigersi verso la Cattedrale, dove la memoria dei caduti attendeva parola.
Ma prima che il silenzio si rompesse, il suo sguardo, come d’abitudine, si posò sulla cassetta delle lettere rigonfia di carte dimenticate.
Si fermò.
Aprì lentamente lo sportellino.
Tra pergamene e fogli ripiegati, un piccolo foglio rovinato risaltò ai suoi occhi.
"Gloria alla Custode! Ho lasciato il rapporto per il Primo Consigliere come da Voi richiesto! Morte ad Amon!"
Selene sospirò, iniziando a frugare tra le carte in cerca di quel rapporto.
Trovò un libriccino dalle rilegature rosse, lo aprì e iniziò a leggere sotto il chiarore fioco della lanterna.
‘’A Voi, Clarissimo et Magnifico Primo Consiliere, gloria e salute in perpetuo.
Sia manifesta alla Vostra Sublimità la presente mia scrittura, umilmente composta dalla indegna servente Vostra, Celica Saillune, recluta dei Martelli Dorati, in forma di fedel testimonianza sopra li fatti occorsi in loco remoto, ove dimora la compagnia che si noma Sodalizio de l’Equiseto, di cui ora do resoconto verace.
Nel di quattordecimo del mese detto Madrigale, nell’anno del computo ducentottantanovesimo, presso l’hora vigesimaseconda, la veneranda donna Selene Aurin, detta Custode della Fede, mi chiamò a sé, insieme col valoroso Ser Aiden, per intraprendere impresa ignota ne’ fini ma gravissima in virtù et destino.
Fummo così condotti a mirabile e spaventevol macchinamento, di foggia orchesca, che move l’uomo per vie ignote sputando fiamme e fracasso sì gran ch’ei par gridar come lamento terminale d'un felino travolto sotto il carro ove giacciono vetri rotti.
Per la via selvatica passammo, in compagnia de la Custode, tra arbusti e fronde infestate da fiere d’aspetto orrendo e spirito maligno. Ma il Cielo ci fu propizio e giungemmo, sani d’ossa, al loco destinato, ove gentaglia strana e d’ignoto contegno attendea la venuta nostra.
Fummo ricevuti in rusticale casupola fatta di legname, e quivi ne furon offerti dolci a mangiare. Tuttavolta, e me ne dolgo assai, non fu presentato dolce alcuno al sapor di cedro o limone – consuetudine che il vivere cortese avrebbe richiesto, e la mancanza di ciò non può che dirsi scortesia manifesta.
Mentr’ella, la Custode, pronunziava con voce ferma e spirito d’autorità un parlare d’ultimatum, ecco che giunse al portone picchiar forte una mano, ed apparvero là fuori genti armate fino al dente, dicenti venire dalla città detta Loknar. Li occhi loro ardevano di desio di guerra, e ‘l mio cuore, figliuolo di Aengus, già fremeva in seno di gioia e di bellicosa brama.
Molte furon le parole spese in disputa e parlamento, ma io, intenta al dolce cibarsi, porgeva orecchio solo a tratti. Tuttavolta intesi che colui detto Anderton pareva molto irritato per le parole profferite da madonna Aurin.
A questo Anderton io poscia parlai con senno, e lo ammonii: “Siate pronto alla fuga per finestra, ché s’io ben leggo le fiamme future, costor daranno foco alla dimora.” Ma egli, ahimè, non prestò udito al mio dir savio, onde ne verrà contrizione sì tosto quanto certa.
Quando il dire fu compiuto, la Custode prese commiato, volendo evitare lo scatenarsi della pugna che parea imminente. Mentre ci ritiravamo tra le ombre del bosco, udimmo nitidamente i Loknariani prorompere in minacce contro tutto l’Equiseto, et in modo singular contro il detto Anderton.
La Custode, giudicando venuto il tempo del ritiro, si tolse dal loco, e meco porto gran mestizia nel cor, ché desiava veder brandir spade e udir l’arte di Aengus parlante nel clangore del ferro.
Ad ogni modo, e pur se con l’animo diviso, reputo che la missione sia, in parte almeno, stata compiuta. Forse. Così spero.
Scripto col cuore umile e la mano obbediente,
Celica Saillune, serva di dovere e onore.’’
Richiudendo il libriccino con cura, un sorriso quasi impercettibile sfiorò il volto di Selene.
Alzò gli occhi al cielo mentre un respiro lungo si fece spazio tra le labbra, non un sospiro, non del tutto, ma qualcosa di simile.
Ripose il libretto nella cassetta e riprese il cammino verso la piazza, dove la morte attendeva parola e i vivi, consolazione.
Il loro rintocco lasciava nell'aria una coda metallica che pareva svanire dentro le mura di pietra.
La porta della dimora si chiuse con un suono pieno.
Selene uscì senza esitazione, coperta da un manto grigio che rifletteva appena i lumi delle lanterne cittadine.
L'abito cerimoniale le cadeva morbido fino alle caviglie, privo di fronzoli.
Al collo della Custode pendeva un simbolo sacro in ossidiana infusa, attraversata da venature color smeraldo.
Non lasciava mai nulla al caso: lo smeraldo era il colore del Regno al quale aveva giurato di donare se stessa.
Nella mano destra, il bastone di legno oscuro, ormai consumato dal tempo, accompagnava da giorni i suoi lenti passi.
Un ultimo passo la separava dal cammino verso la piazza, dove avrebbe accolto gli ospiti, per poi dirigersi verso la Cattedrale, dove la memoria dei caduti attendeva parola.
Ma prima che il silenzio si rompesse, il suo sguardo, come d’abitudine, si posò sulla cassetta delle lettere rigonfia di carte dimenticate.
Si fermò.
Aprì lentamente lo sportellino.
Tra pergamene e fogli ripiegati, un piccolo foglio rovinato risaltò ai suoi occhi.
"Gloria alla Custode! Ho lasciato il rapporto per il Primo Consigliere come da Voi richiesto! Morte ad Amon!"
Selene sospirò, iniziando a frugare tra le carte in cerca di quel rapporto.
Trovò un libriccino dalle rilegature rosse, lo aprì e iniziò a leggere sotto il chiarore fioco della lanterna.
‘’A Voi, Clarissimo et Magnifico Primo Consiliere, gloria e salute in perpetuo.
Sia manifesta alla Vostra Sublimità la presente mia scrittura, umilmente composta dalla indegna servente Vostra, Celica Saillune, recluta dei Martelli Dorati, in forma di fedel testimonianza sopra li fatti occorsi in loco remoto, ove dimora la compagnia che si noma Sodalizio de l’Equiseto, di cui ora do resoconto verace.
Nel di quattordecimo del mese detto Madrigale, nell’anno del computo ducentottantanovesimo, presso l’hora vigesimaseconda, la veneranda donna Selene Aurin, detta Custode della Fede, mi chiamò a sé, insieme col valoroso Ser Aiden, per intraprendere impresa ignota ne’ fini ma gravissima in virtù et destino.
Fummo così condotti a mirabile e spaventevol macchinamento, di foggia orchesca, che move l’uomo per vie ignote sputando fiamme e fracasso sì gran ch’ei par gridar come lamento terminale d'un felino travolto sotto il carro ove giacciono vetri rotti.
Per la via selvatica passammo, in compagnia de la Custode, tra arbusti e fronde infestate da fiere d’aspetto orrendo e spirito maligno. Ma il Cielo ci fu propizio e giungemmo, sani d’ossa, al loco destinato, ove gentaglia strana e d’ignoto contegno attendea la venuta nostra.
Fummo ricevuti in rusticale casupola fatta di legname, e quivi ne furon offerti dolci a mangiare. Tuttavolta, e me ne dolgo assai, non fu presentato dolce alcuno al sapor di cedro o limone – consuetudine che il vivere cortese avrebbe richiesto, e la mancanza di ciò non può che dirsi scortesia manifesta.
Mentr’ella, la Custode, pronunziava con voce ferma e spirito d’autorità un parlare d’ultimatum, ecco che giunse al portone picchiar forte una mano, ed apparvero là fuori genti armate fino al dente, dicenti venire dalla città detta Loknar. Li occhi loro ardevano di desio di guerra, e ‘l mio cuore, figliuolo di Aengus, già fremeva in seno di gioia e di bellicosa brama.
Molte furon le parole spese in disputa e parlamento, ma io, intenta al dolce cibarsi, porgeva orecchio solo a tratti. Tuttavolta intesi che colui detto Anderton pareva molto irritato per le parole profferite da madonna Aurin.
A questo Anderton io poscia parlai con senno, e lo ammonii: “Siate pronto alla fuga per finestra, ché s’io ben leggo le fiamme future, costor daranno foco alla dimora.” Ma egli, ahimè, non prestò udito al mio dir savio, onde ne verrà contrizione sì tosto quanto certa.
Quando il dire fu compiuto, la Custode prese commiato, volendo evitare lo scatenarsi della pugna che parea imminente. Mentre ci ritiravamo tra le ombre del bosco, udimmo nitidamente i Loknariani prorompere in minacce contro tutto l’Equiseto, et in modo singular contro il detto Anderton.
La Custode, giudicando venuto il tempo del ritiro, si tolse dal loco, e meco porto gran mestizia nel cor, ché desiava veder brandir spade e udir l’arte di Aengus parlante nel clangore del ferro.
Ad ogni modo, e pur se con l’animo diviso, reputo che la missione sia, in parte almeno, stata compiuta. Forse. Così spero.
Scripto col cuore umile e la mano obbediente,
Celica Saillune, serva di dovere e onore.’’
Richiudendo il libriccino con cura, un sorriso quasi impercettibile sfiorò il volto di Selene.
Alzò gli occhi al cielo mentre un respiro lungo si fece spazio tra le labbra, non un sospiro, non del tutto, ma qualcosa di simile.
Ripose il libretto nella cassetta e riprese il cammino verso la piazza, dove la morte attendeva parola e i vivi, consolazione.
Selene Aurin - Sacerdotessa SCdO [HMR]
Fu Isiris Nixe, la povera Nixe in Notch