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Il "Bando"

Posted: Tue Feb 11, 2025 3:47 pm
by Dakeyras
Un giovane ragazzo, dalle fattezze gentili, quasi effemminate, bussò alla dimora di Dakeyras con in mano un dispaccio. <<Maestro, una copia del proclama di Amon>> disse al Sacerdote con voce timida, ma vagamente lasciva.

Dakeyras, sull’uscio della porta, strappò il proclama dalle delicate mani del ragazzo che immediatamente trasalì, abituato a ben altro trattamento, per poi congedarsi velocemente.

Iniziò a leggerlo a bassa voce, lasciando che le parole dell’Impero di Amon colassero veleno nella sua mente. Le dita si serrarono attorno al foglio come artigli, mentre il disprezzo gli saliva dallo stomaco con un’ondata di bile.
"Bando Perenne dai territori dell'Impero Amoniano nei confronti di Loknar e del suo popolo..."

Lo stomaco gli si attorcigliò in un groviglio di furia repressa. Ancora una volta, i pavidi di Amon si nascondevano dietro la legge, dietro sigilli e proclami, come se inchiostro e parole potessero cancellare la verità incisa nel sangue e nelle ossa di chi aveva osato sfidarli.
Ricordava le guerre. Le urla spezzate dei soldati Amoniani, la paura nei loro occhi prima che le lame dei Loknariani ponessero fine alle loro patetiche vite. Ricordava l’odore del terrore, la puzza della loro carne bruciata mentre fuggivano come cani bastonati. Quanti campi avevano visto le loro insegne cadere nel fango? Quante volte l’orgogliosa Amon era stata schiacciata sotto nero zoccolo di Loknar?
E ora, invece di affrontare la loro disfatta con onore, osavano pronunciare condanne come se le loro leggi avessero valore al di fuori delle loro mura marce. Parlavano di "serpi da schiacciare", ma chi erano i veri serpenti? Chi, se non loro, avevano tradito ogni precetto, ogni giuramento, ogni sacro patto per provare preservare il loro precario dominio? Chi, se non loro, avevano stretto la mano ai mercenari, venduto il loro onore per un’illusione di sicurezza?
Ed i sacerdoti di Amon, con le loro vesti sgargianti e i volti mascherati di fervore, si erano sempre vantati di essere gli eletti di Crom, il “Giusto Padre” che, dicevano, vegliava su ogni loro gesto. Eppure, il sacro tempio che un tempo aveva risuonato di preghiere e inni d’oro era ora un relitto di contraddizioni: al posto della vera luce divina, si stagliava l’ombra dei fallimenti, e le marce processioni dei devoti si erano trasformate in cortei di vanità e codardia.

Dakeyras rise. Una risata aspra, priva di gioia, carica solo di disgusto. Le loro parole non erano che il rantolo morente di un cadavere che ancora si illudeva di respirare. Il "Sacro Impero di Amon", ormai ridotto a un guscio vuoto, temeva il nome di Loknar più di quanto temesse le ombre della propria rovina.
Strinse il proclama fino a ridurlo in brandelli e lo lasciò cadere nel fango.
<<Che valore ha la parola di un morente?>> sussurrò tra i denti.

Con il mantello scuro stretto attorno al corpo, Dakeyras iniziò a camminare verso la cattedrale. Amon poteva credere di aver bandito Loknar, ma la verità era un'altra. Il popolo dell’Impero dormiva sotto una falsa sicurezza, ignaro che i veri fedeli camminavano ancora tra loro, nascosti, osservando, aspettando.
La loro vendetta non sarebbe giunta con un esercito schierato ai cancelli. No, sarebbe stata lenta, sottile, inevitabile. Come la lama di un coltello tra le costole, come il veleno che scivola nel sangue senza essere notato fino a quando è troppo tardi.
Amon si vergognerà del giorno in cui aveva osato pronunciare – una volta di troppo – il nome di Loknar con arroganza. E Dakeyras sarebbe stato lì a guardare, a sorridere tra le fiamme, mentre l’apparente gloriosa sarebbe capitola in ginocchio per l’ennesima volta.

Un ultimo pensiero vagò verso ad un’anima che lui reputava prediletta del Primo, che del nero manto aveva fatto il suo vessillo e che ora vestiva – per avverse venture – il vuoto cremisi; chissà se questi fatti lo avrebbero riportato dove realmente apparteneva: al suo fianco e nella Grazia dell’Oscuro.

Giunto alle porte della Cattedrale, Dakeyras si fermò per un istante.
Il vento soffiava tra le guglie, portando con sé il peso di un destino già scritto. Poi, senza esitazione, allungò le mani e spalancò le imponenti porte, lasciando che l’eco del suo ingresso risuonasse come un presagio tra le navate. E mentre avanzava nell’ombra, evocò l’antico giuramento che infinite volte aveva sentito pronunciare, sul campo di battaglia, alla Montagna: un sussurro che diventa promessa.
<< Nell’Abisso. >>