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L'istinto non è mai una strada dritta
Posted: Fri Feb 07, 2025 10:17 am
by Finam_Arnor
Ogni tanto passava da Eracles. Le tende, le persone sedute sulle panche intorno al fuoco, il chiacchiericcio, donne e uomini che andavano e venivano, l’eterno stato di passaggio: tutto gli ricordava sua madre, quei pochi momenti in cui c’era, prima che la luce nei suoi occhi si spegnesse, ogni volta che varcava i cancelli di Amon. “Quando aveva potuto viaggiare” sarebbe stato il titolo perfetto delle sue memorie, se lei avesse mai avuto fiducia nella parola scritta, nelle cose ferme, immobili, destinate a rimanere nel tempo, come una casa solida, come le mura di pietra, come dire di essere parte di qualcosa, che non cambia.
Poi se n’era andata. Era partita. Gli aveva lasciato quella irrequietezza e tante domande. A suo padre era andata peggio: lo aveva lasciato con due figli da crescere, un’attività da mandare avanti e un padre autoritario e sempre più malato. Quando aveva scelto di essere Finam, quando ogni legame della sua vita precedente era andato ormai perduto irrimediabilmente, aveva mantenuto nella carne e nell’essenza entrambe le cose: l’irrequietezza della madre, i suoi inni, le sue storie, e la resilienza del padre, la capacità di poter essere colpito dal martello e diventare più duro, più appuntito, ad ogni colpo subito, ad ogni fitta di dolore impressa dal ferro. Tutto ciò che era stato, per ogni scheggia, per ogni imperfezione dovuta ad uno schiaffo, ad una umiliazione, ad un tradimento, ad una ferita, ad una offesa, lo rendevano più complesso. Ogni città che si lasciava alle spalle non finiva realmente per lui, se la portava dentro, con i suoi insegnamenti e i suoi fallimenti, e ci costruiva sopra.
Amava cavalcare lungo i fiumi: osservava l’acqua pulita e anche quella carica di detriti. A volte sedeva sulle pietre più grandi e piatte e fissava quella massa informe, che si ingrossava, che si infuriava e poi sfogava e si calmava. Aveva capito molte cose quando il Grigio era entrato nella sua vita: così chiudeva gli occhi, si interrogava, cercava il rumore dell’acqua con la mente. Studiava il suo avversario, il suo ostacolo e scopriva sempre un’immagine nuova, con il suo stesso volto. Era lui stesso, con le parole e gli obiettivi di altri. Avanzava la prima pedina, lui rispondeva con la seconda, e ancora una risposta, e poi l’alter ego rovesciava la scacchiera. Non per accettare una sconfitta, ma per cambiare le regole, sempre, eternamente. Poi riapriva gli occhi: era lui o erano cento nemici affrontati? Era una vittoria o era una sconfitta che si profilava all’orizzonte? Era suo padre o era sua madre?
L’istinto non è mai una strada dritta.
Re: L'istinto non è mai una strada dritta
Posted: Sun Feb 09, 2025 2:22 am
by Finam_Arnor
Il ragazzo con cui era cresciuto in una stanza spoglia con due letti gli ricordava suo nonno, così marziale e impettito. Un veterano amoniano e un Martello dorato hammin, a confronto, in quel momento, gli sembravano molto simili. Molti anni dopo da quel momento, Finam si sarebbe chiesto perché lui e Valiand, suo fratello, avevano scelto strade diverse. In cuor suo sapeva che suo fratello disapprovava la sua condotta. O 0forse il fratello semplicemente si vergognava di lui.
“Valiand, fratello”
Aveva lunghi capelli neri, un’armatura in piastre di adamantio e il mantello hammin avvolgeva in modo perfetto le spalle e la sua figura. Sembrava la copia di suo padre.
“Fratello. Mi dicevano che un certo Finam mi cercava. Così, è questo il tuo nome adesso?”
Finam si mordeva le labbra ogni volta che si sentiva messo in una posizione di vulnerabilità. Valiand aveva la voce di suo nonno, era autoritario, disciplinato. Eppure Finam sapeva che non aveva affrontato la durezza della guerra, non aveva visto scorrere il sangue, non aveva visto suo padre trucidato da chi lo aveva derubato e lasciato morto nella neve del passo dell’Orus Maer. Valiand era un grande guerriero. Uno dei migliori nel suo addestramento, un armato impeccabile. Come suo nonno parlava di onore, ordine, disciplina. E forse anche lui lo incolpava di aver assistito alla morte del padre e di non averlo accompagnato nel trapasso. Era responsabile di essere stato debole e di essere sopravvissuto.
“Come stai, Valiand?”
“Bene. Sto per diventare armigero dei Martelli Dorati. I miei superiori hanno fiducia in me”.
“Hai davanti una strada dritta, ne sono certo”.
“Sia fatta la volontà di Crom”.
“Sì, sempre”. Finam si segnò e mormorò una veloce preghiera. Si era raccomandato al dio della Giustizia per riscattare l’onore paterno. Ma tutto ciò che gli restava era una carovana distrutta e una forgia fredda ad Amon. Suo nonno probabilmente si sarebbe bevuto gli ultimi guadagni del padre. Per questo aveva deciso di prendere i voti al Monastero.
“Perché sei qui, Finam? Perché sei andato nei Cavalieri?”
“Valiand, non mi dirai che disapprovi”.
“No, no, è.. è solo che.. questo… il manto arancione, la copricotta gialla, i voti. Non è da te. Non è roba tua”.
“Perché dici così, fratello?”
“Tu.. dovresti tornare ad Amon. Sei un fabbro, c’è la fucina di papà da far ripartire, c’è il buon nome del Centurione da.. sì, insomma lo sai.”
Il Centurione era suo nonno. Non lo chiamavano mai con il suo nome, non lo ricordavano mai come padre di suo padre. Un po’ per timore reverenziale, un po’ per rispetto, un po’ per distanza.
“Non posso tornare ad Amon, Valiand. Devo espiare”.
“Tu..”
Valiand ebbe un moto d’impeto temperato dal grande affetto che aveva per il fratello. Finam lo aveva colto e si commosse. Non poteva permettersi di renderlo vulnerabile. Suo fratello minore aveva sofferto più di tutti la partenza di sua madre.
“Non è colpa tua, Finam” disse Valiand con la voce rotta.
“Non lo so, fratello. Io mi vergogno profondamente. Devo espiare”.
“Non è colpa tua se è morto. Non è colpa tua se la nostra famiglia è in frantumi. Ma devi tornare ad Amon. Devi farlo perché è il tuo dovere, per il rispetto del tuo nome e della nostra famiglia. Uno di noi deve farlo. Tu sei il maggiore, devi farlo.”
“Valiand..”
“Devi farlo, Finam. Io non tornerò mai ad Amon. Non è più il mio posto. Ma può essere ancora il tuo”.
Finam batté il pugno sul tavolo della locanda. Per un attimo i presenti si girarono verso i due fratelli, poi tornarono alle loro cose. Aveva le lacrime agli occhi eppure la sua voce era furente.
“Cosa ne sai tu?!? Perché dovete tutti dirmi cosa dovrei fare? Tutti bravi a puntare il dito, tutti bravi a dispensare consigli. Sai che c’è, fratellino? Diventa pure Armigero. Poi gendarme, fatti dare l’Orus Maer e vai a guardare dov’è morto nostro padre, e se ti riesce poi diventa comandante o generale, così potrai fare grandi discorsi funebri e grandi frasi motivazionali per i tuoi commilitoni. Fai la tua fottuta strada dritta, ovunque tu voglia andare. Ma non dirmi quello che devo fare. Non dirmi che peso devo portare se non lo condividi con me, non dirmi che tradizione o che nome, o che attività, che forgia o che letto riscaldare, se non sei pronto a sopportarne i sacrifici, con me”.
Valiand aveva un’espressione delusa.
“Così sia, fratello. A me sembri perduto. Forse sei rimasto davvero lassù con nostro padre”
Fecero una pausa. Si guardarono senza la forza o la voglia di dirsi ancora qualcosa.
Poi Finam si alzò. Sentiva un gusto rancido sulla lingua.
“Che il Sole risplenda, fratello”.
Valiand lo guardò, aggrottando la fronte. Non era colpito.
L’istinto suggerì a Finam di andar via. Al loro incontro successivo sarebbe stato più forte.
Re: L'istinto non è mai una strada dritta
Posted: Tue Feb 18, 2025 11:05 am
by Finam_Arnor
Ogni martellata gli sembrava più precisa. I colori e le forme cangianti del ferro che prendeva forma sotto i suoi colpi lo affascinavano. Non lo voleva ammettere, ma ogni volta che completava lo studio e la forgiatura di una lama o di una corazza Finam si sentiva più vicino a suo padre. Era questione di attimi e quando l’acqua scendeva sul pezzo in lavorazione, per raffreddarlo, Finam scacciava via quel pensiero. Gli faceva troppo male pensare alla sua famiglia.
“Ohi, Finam”. Una voce familiare lo distolse dai suoi pensieri.
“Rurk, dimmi”.
“Mirlok dice che c’è uno ai cancelli, che sostiene di essere tuo fratello”.
“Lo scudiero Mirlok, Rurk”.
“Sì, Finam, come dici tu”.
Rurk fece una risata. Era davvero esuberante. Al Monastero avrebbero cercato in ogni modo di imbrigliarlo, ma la cosa migliore era dargli un obiettivo, meglio se un nemico. Lo avrebbe caricato a testa bassa e avrebbe trovato un modo per vincerlo, ma nessuno avrebbe mai trovato il modo di mettergli il guinzaglio.
“Finam, non ti somiglia per niente”. Poi scoppiò in una risata che lo fece sorridere.
Suo fratello si era avvicinato alla forgia. Valiand fece un cenno cordiale verso Rurk, che si congedò.
“Fratello, ti trovo bene e al lavoro”.
“Ringrazio Aengus per questo”.
“E i confratelli? Ti apprezzano?”
Finam sorrise per un momento e Valiand si accorse che non aveva risposto d’istinto. Forse se lo aspettava, forse no.
“Sì, penso di sì. Credo di sì, fratello”.
“C’è qualche problema?”
Finam chinò il capo e poi sorrise. “Valiand, perché sei qui? Hammerheim è ad ovest”.
Valiand si rabbuiò. Anche lui non aveva risposto. Finam gli indicò i gradi sulle spalline.
“Sei diventato Armigero”.
“Sì”.
“Ma non sei contento”.
Valiand sospirò. “Mi hanno fatto capire che non andrò oltre questo grado”.
“Come te l’hanno fatto capire?”
Valiand scrollò le spalle. “Non lo hanno detto esplicitamente. Non so il perché. Ma l’ho compreso”.
Finam diede ancora una martellata sull’incudine: ora lavorava su uno scudo.
“Ascolta, Valiand: sei certo che è quello che intendono?”
“Non lo so, fratello. Penso di essere un buon soldato. Anzi, un ottimo soldato. Ho la sensazione che però essere un ottimo Martello Dorato non basti. Serve più influenza, forse”.
“Se cerchi lezioni sull’influenza da me, Valiand, ti basta guardarmi. Pensi che diventerò mai un Cavaliere?”
“Non è per questo che sei qui? Per diventare Cavaliere?”
“Te l’ho detto, io sono qui per espiare.”
“D’accordo, va bene, ma non puoi espiare meglio se diventati Cavaliere?”
“Diventare cavaliere non ha nulla a che fare con la volontà, o con il desiderio di diventarlo. Forse anche qui è una questione di influenza. Io comunque non sono qui per diventare Cavaliere. Sono qui per espiare”.
Valiand lo guardò un po’ scettico. “Sembri non avere fiducia nei tuoi confratelli”.
Finam scosse la testa. “Non è questione di fiducia, Valiand. Voglio solo stabilire quello che mi fa bene. Espiare, dunque”.
“Te l’ho già detto ad Hammerheim, fratello. Non hai nulla da espiare. La nostra casa è andata. Il Centurione si è bevuto tutto. Nostra madre è andata via. Sull’Orus Maer siete stati assaltati dai briganti o dai cultisti, o quel che erano. Avete perso tutto. Hanno ucciso nostro padre. Ti sei salvato. Questi sono i fatti. Non ci sono colpe da cercare.”
“Tu non sai nulla, Valiand. Non sai come sono andate le cose”
“Perché non me lo spieghi allora?”
Finam gettò l’elmo fra gli scarti di lavorazione. Si stava innervosendo.
“Perché sei qui, Valiand?”
Valiand si mise seduto su un cassone. Non gli sembrava più così impettito, così preciso come gli era sembrato in passato.
“Ho bisogno di soldi, fratello”.
“Quanto?”
“Diamine, non mi chiedi nemmeno perché”.
“Perché?”
Valiand prese un respiro profondo. “Ho bisogno di rafforzare la mia posizione ad Hammerheim”.
Finam annuì. “Non voglio sapere come li spenderai. Sei mio fratello, sei la mia unica famiglia. Voglio solo sapere se sei in grado di restituirmeli. Non voglio sapere quando. Voglio sentirti dire che avrai rispetto di questa somma, che avrai rispetto per me e che rispetterai soprattutto la tua parola”.
“Diamine”.
“Sai bene cosa pensava nostro padre dei debiti”.
“La bevanda dei parassiti”.
“Come il Centurione”.
“Come il Centurione”.
“Quindi quanto?”
“Duecentomila”.
Finam annuì.
“Per cominciare” disse ancora Valiand.
“Come, per cominciare?”
“Per il momento sì.”
“Ma siamo intesi sulle condizioni?”
Valiand annuì ancora. “Te li restituirò. Avrò rispetto di te e della mia parola”
Finam posò il martello e sospirò profondamente.
“Fratello, come ce li hai questi soldi?”
“Lavoro molto e dormo poco”.
“E questo almeno è apprezzato?”
“Valiand, in questo mondo tutti apprezzano se fai qualcosa per loro e tutti disprezzano se hai qualcosa più di loro. I soldi comprano molte cose ma la ricchezza genererà sempre attriti”
“Quindi sei ricco e infelice? Mi stai dicendo questo?” aggiunse Valiand con una punta di sarcasmo.
“Idiota” gli rispose Finam. Voleva molto bene a suo fratello e temeva di perderlo.
“Perché non vuoi diventare Cavaliere, Finam?”
“Non ho detto che non lo voglio. Ho detto che voglio espiare”
“Ne abbiamo già parlato”.
Finam sospirò ancora. Gli indicò il prato che si estendeva davanti al Monastero.
“Io sto bene fra chi si attiva, fra chi lavora quanto me, fra chi ha fame, fra i fili d’erba che vogliono cresce. Chi ha la pancia piena guarda con sospetto chi sgomita per mangiare. E si cura che i fili d’erba non vadano oltre una certa lunghezza. Perché il prato è più comodo e più bello quando si guarda dall’alto”.
“E questo cosa vorrebbe dire?”
“Vuol dire che i postulanti e gli aspiranti, o i novizi che mi amano, lo fanno perché sgomito quanto loro. Ma se diventassi un loro superiore, o se loro diventassero i miei superiori le cose cambierebbero.”
“I tuoi superiori non ti amano?”
“Vado a prenderti i tuoi soldi, Valiand”
Valiand non sarebbe mai diventato Gendarme e non gli avrebbe più restituito i soldi.
Finam non sarebbe mai diventato Cavaliere.
Il duello
Posted: Sun Feb 23, 2025 5:10 pm
by Finam_Arnor
“Finam, sono qui”. Rurk lo accolse come al solito con il suo vocione esuberante.
“Chi è qui?”
Rurk si sfregò le mani. Era appena diventato novizio e sicuramente aveva combinato qualche guaio.
“Mi sono procurato una bella occasione. Uno scontro, un duello”.
Rurk sembrava entusiasta. Chissà di chi parlava.
“Vestiti, Finam. Prendi la prima armatura che hai a disposizione, anzi dammi una delle tue e andiamo. Ci attendono alla porta est del Monastero”
“Rurk, calmati. Chi ci aspetta?”
“I loknariani”.
Finam si irrigidì. Sfogliò a mente tutti i profili dei loknariani che aveva a lungo studiato. Da quando era diventato scudiero dei Cavalieri dell’Alba aveva avuto accesso a molti rapporti, aveva letto testimonianze, indagini, prove. Alcune indiziarie, alcune concrete. Aveva dato il suo apporto per tracciare profili, comportamenti, discrepanze fra le versioni date in varie occasioni. I loknariani non erano un nemico dichiarato, ma erano percepiti come una grande minaccia per gli equilibri della fede nei Giusti. Cultisti, eretici, guastatori e terroristi dell’Oscuro Signore: Vashnaar era un nome impronunciabile, gli stessi abiti neri, tutto ciò che deviava dalla versione da ripetere a memoria dettata dal Monastero era considerata compromettente, pericolosa, sediziosa. Hickaru comandava e Alexandros eseguiva. La curiosità però era un fuoco sempre vivido nel suo corpo. Voleva sapere di più, voleva avere testimonianza diretta di tante cose. Non gli bastavano le versioni di comodo e quelle d’ufficio, non gli erano mai piaciuti i muri che gli uomini erigono quando non sono sicuri delle loro idee e vogliono contenere, occultare, impedire a chi vuole sapere di raggiungere una migliore versione della propria persona. Quante volte aveva sentito dire una frase che aveva cominciato ad odiare: “tu non puoi sapere”. Il “fardello insopportabile” era una metafora odiosa degli uomini incapaci di condividere e di socializzare pesi e fortune. Prese due armature e uscì all’esterno del Monastero, dove Rurk lo attendeva. Si vestirono in silenzio. Finam era chiuso nei suoi pensieri, Rurk invece era eccitato.
“Non pensavo saresti venuto, Finam” gli disse ad un tratto Rurk.
“Perché?”
“Beh, tu pensi sempre a lavorare, a martellare sull’incudine. Certe volte ho il dubbio che ti corra veramente il sangue nel corpo. Con tutto il tempo che passi alla forgia, o hai il ghiaccio nelle vene o sei completamente ignifugo”.
Finam non disse nulla perché sapeva quello che Rurk fingeva di non voler dire. Lo considerava uno che non si lancia in mischia. Non un pavido, Rurk non pensava questo. Ma troppo cauto, troppo attento a non farsi coinvolgere. Quasi uno su cui non contare.
“Quanti sono, Rurk?”
“Sono tre. Ma non ti preoccupare, ho chiamato Darigazz. Ci aspetta già lì”.
“Dove state andando voi due?”
Finam si voltò di scatto. Era Beowin, un altro novizio. Non amava Rurk, anzi spesso si beccavano. Finam non sapeva cosa pensasse di lui. Lo aveva aiutato ad allenarsi, ma Beowin non sembrava particolarmente grato, né sprezzante nei suoi confronti. Era certamente guidato da una grande fede.
“Ci alleniamo, Beowin” gli disse Rurk. “E con chi?” gli rispose subito Beowin.
Rurk esitò. Finam decise che mentire avrebbe creato più problemi che opportunità.
“Ci sono tre loknariani alla porta est. Hanno sfidato Rurk ad un duello amichevole”.
“Tre loknariani! Tre vashnaariani vorrai dire, Finam” esclamò Beowin.
“Non lo sappiamo se sono vashnaariani, Beowin. Non traiamo conclusioni affrettate. E comunque se lo fossero, questa sarebbe un’ottima occasione per studiarli da vicino e sconfiggerli. Anzi, Beowin, loro sono tre. Perché non vai al posto mio?”
Beowin esitò per un momento. Rurk aveva uno sguardo sconfortato alle sue parole. Finam decise di correggere il tiro.
“Facciamo così, andiamoci tutti e vediamo che succede” provò a completare il discorso, ma Beowin lo interruppe. “Mi chiedo se Alexandros sia stato informato della cosa”.
Stavolta Finam si meraviglio delle sue stesse parole.
“Beowin, se hai timore di un nostro possibile futuro nemico, stai pure qui e aspetta che Alexandros ti dia il permesso. Io non infrango alcuna regola se accetto una sfida non fatale. E voglio vedere di persona di cosa sono capaci questi loknariani. Se a te non va, mi spiace, ma non sono d’accordo. E ci andrò”.
Rurk sorrise, ma Finam si fermò un momento a riflettere sulle cose che aveva detto. Forse erano state avventate, forse avrebbe dovuto essere più diplomatico, ma la curiosità gli bruciava dentro. Ma Beowin lo sorprese. Prese la sua cara mazza flangiata e fece cenno di essere pronto.
Alla porta est Darigazz li aspettava con il suo arco. Rurk fece subito un passo in avanti e presentò i loknariani.
“Li ho conosciuti qualche giorno fa a Tortuga”.
“A Tortuga?” gli disse Finam preoccupato.
“Dettagli. Loro sono Armon Farid, Agares Von Zack e Marcus Reigh”.
Finam passò in rassegna i tre. Armon e Agares li conosceva di nome e di fama, erano nei suoi rapporti. Il primo era un guerriero come lui e Rurk, una faccia tendenzialmente conciliante in mezzo ad un gruppo di scavezzacollo. Il secondo era una figura irritabile e temuta, non molto carismatica e rispettata dentro Loknar stessa, ma letale con le sue asce e i suoi mantra indecifrabili. Il terzo uomo non lo conosceva dai rapporti, ma da alcune dicerie, così lo scrutò più a lungo. Era certamente un arcanista, gli avevano detto che non aveva remore né scrupoli, era noto per le sue risate profonde al limite della follia e le sue imprecazioni memorabili. Non aveva notizie però del suo talento in battaglia. E questo lo inquietava, come ogni cosa che non conosceva.
“Piacere nostro, signori” disse Armon, dopo le presentazioni. Non si strinsero le mani. I Cavalieri non le offrirono e i loknariani avevano compreso i motivi. Armon sembrava molto attento a non oltrepassare i termini della sfida. Finam aveva la sensazione che fosse l’uomo incaricato di contenere gli altri due, che se avessero avuto mano libera avrebbero provato persino a razziare il Monastero.
“Vogliamo avviare il nostro scontro amichevole?”
Finam annuì.
Si scontrarono per tre volte. Tre novizi e uno scudiero dei Cavalieri dell’Alba e tre loknariani.
Fu una sconfitta inizialmente onorevole e poi sempre più cocente ad ogni scontro. Finam e Rurk furono sempre gli ultimi a cadere. Agares pareva divertirsi ad atterrare Beowin, Armon sembrava una minaccia, ma aveva il compito di distrarre l’attenzione dei suoi avversari e deviare i loro attacchi da Marcus e Agares. I tre loknariani utilizzavano bene le distanze, le loro armi, il loro affiatamento. Le righe, la disciplina, le armature dei Cavalieri erano inservibili. Alla fine del terzo scontro Rurk e Beowin, per motivi diversi, erano furenti. Il guerriero si rendeva conto di non poter competere. Avrebbe voluto un quarto scontro e poi un quinto. Li avrebbe persi. Finam sapeva che gli avrebbe chiesto in prestito altre armature, altre armi e la presenza per nuovi allenamenti. Voleva essere più forte, voleva essere al loro livello e poi superarli. Beowin invece si era sentito umiliato. La sua faccia era porpora dai colpi, ma soprattutto per la vergogna e la rabbia.
“Ottimo scontro, signori” disse loro Armon. “Per noi è il momento di andare. Vi ringraziamo per questa bella opportunità”. Finam li ringraziò con cortesia. I tre si allontanarono e anche Darigazz, Beowin e Rurk si voltarono verso il Monastero.
Finam restò ancora un po’ seduto sull’erba. Sentiva le risate e le imprecazioni divertite di Marcus e Agares che risuonavano dalla strada. Probabilmente li stavano deridendo. Decise di rientrare al Monastero. Rurk e Beowin stavano litigando.
“Rurk, come hai potuto esporci ai loknariani? Noi non possiamo perdere contro questi eretici”
“La prossima volta non venire se temi qualcosa”
“Pensi che ne faccia una questione di orgoglio? Pensi che mi interessi vincere o primeggiare contro questi barbari?”
“E allora non frignare e pensa agli affari tuoi”.
“Rurk!” era stato Finam ad intervenire. Non gli piaceva quando i due litigavano.
“Abbiamo perso. Ci hanno impartito una dura sconfitta. Non è il momento di trovare responsabili. Il nemico non è mai fra di noi, è là fuori. E questo è quello che ci aspetta se non siamo uniti”.
Rurk e Beowin rimasero in silenzio. Nel frattempo Darigazz aveva portato da bere. Era il momento di condividere il ristoro e la meditazione. Ma quella storia non era finita. Sarebbe peggiorata ancora.
Molti anni dopo quel fatto Finam avrebbe preso il manto loknariano.
Marcus Reigh era morto, Agares era diventato irreperibile molti anni prima e Armon Farid era diventato un ospite perenne dell’Oasi. Tutti e tre, per ragioni diverse, avevano abbandonato il Manto Nero per tradimenti o presunti tali. Anche Finam sarebbe stato considerato un traditore, come Rurk e Darigazz. Beowin invece rimase a lungo al Monastero.
Ancora per molti anni a Finam sarebbe stato opposto il fardello inconfessabile di chi ha il potere della conoscenza e si rifiuta di trasmetterlo. Ancora per molti anni Finam avrebbe odiato la frase “tu non puoi sapere”.
Tieni sempre la testa sulle spalle
Posted: Thu Mar 13, 2025 7:48 pm
by Finam_Arnor
“Ah, sei qui”. Alexandros Joriin aveva costantemente quel tono perentorio, come se dai suoi comandi dipendesse il futuro dell’universo. Era così diverso da Mirlok, da Thalantyr, eppure entrambi erano sempre sulla sua stessa lunghezza d’onda. Spesso si era chiesto come fosse possibile. Sembrava essere in competizione ora con Eru, ora con Brelagoth, ora con Haradion. Tutto per il favore di Hickaru. Ad onor del vero, nessuna delle alte cariche del Monastero si dava da fare con le nuove leve come lui. Finam lo rispettava per questo e cercava di tenersi a freno con lui solo per questo motivo.
Finam posò i rapporti nuovamente nel baule e poi si voltò verso Alexandros.
“Che il Sole risplenda, Aspirante Cavaliere”.
“Che il Sole risplenda”.
Alexandros osservò a lungo Finam prima di proferire di nuovo parola. Era il suo modo di farlo sentire a disagio, ma Finam odiava perdere tempo in riti e dinamiche inutili. “Scudiero Arnor, il novizio Clegis mi ha raccontato del vostro scontro con i loknariani”.
“Non mi sorprende”.
“Ah sì? A me sorprende che non l’abbiate fatto voi”.
“Cosa posso fare per voi?
“Puoi fare quello che ti dico, per cominciare”.
“Va bene, cosa vi serve?”
“Non sono contento, Scudiero. Non sono contento di come vi comportate”.
“Mi spiace”.
“Non farete molta strada in questo ordine se non sapete rispettare gli ordini”.
“Non c’era un ordine di non confrontarsi con i loknariani”.
“Evidentemente c’è bisogno di emettere una direttiva di questo tipo. Voi lo sapete che quei tre sono vashnaariani. Vestono di nero, mangiano cuori, si accompagnano con la peggiore feccia di Ardania”
“Un motivo in più per studiarli da vicino”
“Silenzio, scudiero. Silenzio!” Alexandros ebbe un moto di stizza che non gli era abituale. Poi con un tono più calmo parlò di nuovo. “Il Guardiano Haradion ha bisogno di una scorta a Bosco Vecchio. Incontrerete delle persone poco raccomandabili. Visto che pare siate esperto di questi incontri, lo accompagnerete e vi assicurerete che non incorra in aggressioni o rischi. Verranno comunque con voi lo scudiero Mirlok e due postulanti”.
Il viaggio verso la locanda di Bosco Vecchio non fu lungo.
Ad attenderli c’erano un gruppo di Corsari Scarlatti. Mantelli inconfondibili, divise sdrucite, bottiglie di grog sparse sulle casse vicino alla locanda. Avevano già cominciato a bere. Un uomo curioso, con due grandi occhi azzurri e molto appariscente si parò davanti al gruppo e con un inchino teatrale si presentò. “Signori del Monastero, io sono il Capitano Bandiera Nera, per servirvi”.
“Mirlok, con me” disse Haradion. “Gli altri possono occuparsi dei cavalli”.
Le delegazioni si sistemarono in locanda. Finam attese fuori, con gli occhi sul mare, poi spostò lo sguardo su Cheshire. Gli ricordava la vita giovanile, le lunghe cavalcate fra le spighe di grano.
“Ehi, occhi tristi”. Una voce di donna dietro di lui. L’odore del sale sulla pelle, misto ad erbapipa.
“Salute”.
“Non chiamarmi dama o milady, o signora, per piacere. Dammi tregua”.
“Va bene”.
Rimasero entrambi a guardare il mare.
“Ti spaventa, Cavaliere?”
“Cosa?
“Il mare. Mi sembri uno che arriva al massimo a bagnarsi le caviglie”.
“Non sono a mio agio sul mare”
“Cosa? Davvero?”
Finam scrollò le spalle. La donna lo incuriosiva.
“Allora la tua prima lezione per navigare. Mani salde ma veloci sul timone. Fa che sia tu a portare la barca e non la barca a portare te. Stai vicino alla costa finché non ti senti sicuro di andare al largo. E tieni sempre la testa salda sulle spalle”
“Tutto qui?”
“Beh, prima comprati una barca. Non è possibile vivere senza un guscio per le tue avventure”.
Rimasero ancora a lungo a parlare. Si avvicinava il tramonto e le due delegazioni avevano appena finito di confrontarsi. Haradion e Mirlok uscirono dalla locanda. Sembravano completamente presi dalla loro conversazione. Bandiera Nera si avvicinò alla donna vicino a lui e le disse qualcosa nell’orecchio. La donna annuì e si avvicinò a passi veloci verso i due cavalieri più alti in grado. Bandiera si fermò vicino a Finam. “Hai da accendere, giovane?”
Finam annuì. Bandiera espirò un po’ di fumo e lo guardò per qualche istante. “Sei diverso dagli altri”. Finam non seppe che rispondere. “Sei mai andato per mare?” Finam non seppe far altro che scuotere la testa. “Male, giovane. La conosci la prima lezione per chi si avventura in mare?”
“Comprarsi una barca?”
“No. La prima lezione è non fare lo stronzo. Rispetta la Dea e la sua sfida eterna. E tieni sempre la testa sulle spalle. Qui sul continente vi insegnano ogni genere di stronzata sulla dea, anche al Monastero. Tocca a noi avventurieri tenervi al sicuro dai pericoli del mare, magari in cambio di qualche doblone. Ma ci sono cose peggiori di avere le tasche vuote, ragazzo. Ci sono quelli che non vedono l’ora di svuotarti il petto o di metterti le catene ai polsi. Sono i veri bastardi disumani.”
Finam osservava il capitano Bandiera e non seppe che rispondergli. Non lo conosceva, ma qualcosa in lui emanava calore, empatia. Gli era stato subito simpatico, senza un reale motivo.
Mirlok gli fece cenno che era ora di rientrare. La donna gli tornò al fianco. Aveva lineamenti duri, ma gli sorrideva. “Non ti ho ringraziato per i consigli” le disse Finam. “Puoi farlo ora” gli disse lei, mentre Finam si issava sul suo destriero.
“Grazie…”
“Grazie Sciabola” lo corresse.
“Grazie Sciabola”.
Fu la prima e l’ultima volta in cui Finam incontrò Bandiera Nera. Ironicamente, dopo pochi mesi sarebbe stato decapitato dai loknariani. Ci sarebbero stati altri incontri fra Finam e Sciabola. Da lì ad un anno, Finam l’avrebbe fronteggiata in battaglia nella guerra civile di Hammerheim. Finam non avrebbe mai preso il mare per molti anni ancora. Tenne la testa sulle spalle, i piedi sulla costa e non dimenticò mai chi sono i bastardi disumani.