Oltre il Gelo - Convalescenza a Vessa
Posted: Mon Jul 29, 2024 9:26 pm
Una giovane donna camminava lenta, in una brulla landa innevata.
Mentre avanza, l’unico suono che sentì fu l’incessante sibilare del vento che le fece penetrare il freddo nelle ossa.
Tutto ciò che vedeva era il bianco della neve che all’orizzonte si confondeva con la bruma gelida.
Eppure, qualcosa la spinse ad avanzare lo stesso, sfidando i ghiacci eterni di una terra ostile.
Ad un tratto distinse qualcosa balenare nella pallida foschia: una fiamma che guizza nel gelo, inestinguibile ed eterna.
Una folata di vento sollevò dalla base della fiamma leggeri frammenti neri di carta carbonizzata.
La giovane si sforzò di mettere a fuoco l’immagine, ma la visione si fece sfocata e sfumò in un bianco indistinto.
All’improvviso, Clovis si ritrovò con lo sguardo rivolto al soffitto, distesa su un caldo letto di taverna.
Di nuovo quel sogno.
Quanto era passato ormai, da quella notte alla Fonte del Mana? Eppure il ricordo della visione si faceva nuovamente largo nella mente della maga, come sempre, quando meno lo desiderava.
Spesso aveva cercato di trarne un significato, ma ogni volta la mente la riconduceva sempre alla stessa conclusione.
“Kaek Valdar”
La voce della Tetrarca della Notte le rimbombò nella testa come un tuono, e con lei, il volto del defunto giovane Jarl venne a seguire come conseguenza naturale, ricordandole che si era svegliata con un gran mal di testa.
Cercò di tirarsi a sedere, debolmente, con la schiena posata sul cuscino e le gote ancora rosse per la febbre incessante, che da qualche tempo non l'abbandonava.
Era a Vessa da ormai un mese, e da come le era stato raccontato dal Locandiere che l’aveva ospitata, era stata soccorsa ai piedi di una palude, priva di sensi.
Nessun segno di ferite o colluttazioni, a quanto pare nemmeno gli uomini lucertola avevano fatto caso al suo corpo disteso, fino all’arrivo dei nativi che l’avevano portata alla taverna.
Da quanto non dormiva, prima dell’incidente? Le si era rivelato sempre più difficile da quando Keifir era morto, e Clovis non conosceva altro modo per placare i suoi pensieri vorticosi se non quello di abbandonarsi al suo lavoro.
Prima di partire per Ankor Drek aveva passato intere notti alla biblioteca di HammerHeim, circondata da decine di tomi di botanica che l’avevano inevitabilmente portata alla ricerca di nuovi campioni da analizzare.
C’era qualcosa, nelle piante, che l’aveva sempre attirata.
Esseri viventi così diffusi da passare inosservati, nonostante la loro infinita importanza, sempre presenti sotto i piedi di Re e soldati, ma mai a loro inferiori.
Volse lo sguardo al manto smeraldino della Splendida, accuratamente ripiegato su una sedia, posta ai piedi del letto.
Era più di un anno ormai, che l’avevano accolta in città. Era stata la sua prima tappa, dopo aver lasciato i porti di Rotiniel per avventurarsi nel Continente Umano, e rimasta catturata dalla sua bellezza e dai suoi abitanti, aveva deciso di restare.
Eppure non poteva fare a meno di pensare a tutto ciò che le era capitato, da quando aveva posto quel capo sulle proprie spalle; le streghe di Katah, la guerra contro gli Uruznidir, le invasioni degli Orchi.
E con questi eventi, ogni persona che aveva incrociato il suo cammino con il proprio.
Portò la testa all’indietro, che ricadde molle contro il muro ove il letto era accostato - provò a chiudere gli occhi, ma i pensieri le vorticavano nella mente come una tempesta febbricitante; e più provava a placarli, più la testa le girava, ed il petto le doleva.
E con i ricordi, il viso del giovane nordico, irraggiungibile e disperso.
Clovis portò le braccia al petto, piegandosi pietosamente verso le ginocchia.
Oh Grigio Sapiente, è questo il prezzo della storia che si assapora sulla propria pelle?
Una preghiera riecheggia acuta, accompagnando il vorticare di ricordi implacabili
Hai voluto per me che seguissi la mia strada; è forse anche il Dolore parte del Sapere?
E quanto puoi aver sofferto tu, il prezzo della tua Conoscenza?
E forse il Cieco comprese, perché il vortice di pensieri si arrestò, interrotto da tre colpi di nocca alla porta della camera.
Clovis alzò lo sguardo, e notò sbirciare da oltre la soglia, una bambinetta con un piatto in mano.
La maga non rispose, ed ella lo interpretò come invito ad entrare.
Posò il solito piatto di zuppa di carne e ginseng sul comodino, - a quanto pare doveva aiutare a rimetterla in forze - ma Clovis non sembrò farci caso. L’attenzione era rivolta alla ragazzina che, insolitamente, si era soffermata più a lungo del solito, con aria esitante.
Era solita scappare dalla stanza poco dopo aver consegnato il pasto, ma quella volta attese per qualche secondo in più; gli occhi di Clovis navigarono fino ad una borsa a tracolla che la giovinetta portava, e che questa sembrava quasi voler nascondere dietro la schiena.
Quando se ne accorse, sembrò prendere coraggio, e dalla borsa in pelle tirò fuori un piccolo libretto ben rilegato, dalla copertina verde ed intagli di fiori e piante.
La maga lo riconobbe subito: era “Maat, Parsimonia e Vigore”, uno dei libri che aveva portato dalla sua biblioteca privata.
A quanto pare la bambina l’aveva preso di nascosto mentre dormiva, ma ora glielo porgeva nuovamente, con aria innocente.
“Non sai leggere?” Chiese la bionda con tono flebile, e la bambina scosse il capo.
Clovis contemplò la copertina per qualche istante. La testa le pulsava ancora, ma un guizzo di emozione le diede una scarica lungo la schiena.
Diede due colpetti al fianco del letto, dove la bambina, allegramente, andò ad accomodarsi, e così iniziò a leggere.
Andarono avanti a leggere per tutta la sera, così il giorno dopo e le settimane a venire.
Lessero i libri di botanica che la giovane aveva portato dal Continente Umano e, quando finirono, lesse quelli che i gentili ospiti di passaggio alla Taverna portavano di tanto in tanto.
E quando anche quelli non bastavano, Clovis le raccontava le sue Storie.
Così, come un pettine che passa in una chioma spettinata, andava a snodare ogni singolo racconto, ogni singola esperienza.
E con ogni storia, Clovis sentiva di fare sempre più chiarezza nella sua mente tormentata.
Uno scambio di mutuo beneficio, in cui la piccola scopriva di un mondo ben più vasto del perimetro di Vessa, e in cui Clovis riusciva a placare le preoccupazioni ed i tormenti di quell’ultimo, intenso anno.
E con la calma dei suoi sensi finalmente ritrovata, passò anche la febbre, e le storie finirono.
Il tempo di fare ritorno ad HammerHeim era finalmente arrivato.
Mentre avanza, l’unico suono che sentì fu l’incessante sibilare del vento che le fece penetrare il freddo nelle ossa.
Tutto ciò che vedeva era il bianco della neve che all’orizzonte si confondeva con la bruma gelida.
Eppure, qualcosa la spinse ad avanzare lo stesso, sfidando i ghiacci eterni di una terra ostile.
Ad un tratto distinse qualcosa balenare nella pallida foschia: una fiamma che guizza nel gelo, inestinguibile ed eterna.
Una folata di vento sollevò dalla base della fiamma leggeri frammenti neri di carta carbonizzata.
La giovane si sforzò di mettere a fuoco l’immagine, ma la visione si fece sfocata e sfumò in un bianco indistinto.
All’improvviso, Clovis si ritrovò con lo sguardo rivolto al soffitto, distesa su un caldo letto di taverna.
Di nuovo quel sogno.
Quanto era passato ormai, da quella notte alla Fonte del Mana? Eppure il ricordo della visione si faceva nuovamente largo nella mente della maga, come sempre, quando meno lo desiderava.
Spesso aveva cercato di trarne un significato, ma ogni volta la mente la riconduceva sempre alla stessa conclusione.
“Kaek Valdar”
La voce della Tetrarca della Notte le rimbombò nella testa come un tuono, e con lei, il volto del defunto giovane Jarl venne a seguire come conseguenza naturale, ricordandole che si era svegliata con un gran mal di testa.
Cercò di tirarsi a sedere, debolmente, con la schiena posata sul cuscino e le gote ancora rosse per la febbre incessante, che da qualche tempo non l'abbandonava.
Era a Vessa da ormai un mese, e da come le era stato raccontato dal Locandiere che l’aveva ospitata, era stata soccorsa ai piedi di una palude, priva di sensi.
Nessun segno di ferite o colluttazioni, a quanto pare nemmeno gli uomini lucertola avevano fatto caso al suo corpo disteso, fino all’arrivo dei nativi che l’avevano portata alla taverna.
Da quanto non dormiva, prima dell’incidente? Le si era rivelato sempre più difficile da quando Keifir era morto, e Clovis non conosceva altro modo per placare i suoi pensieri vorticosi se non quello di abbandonarsi al suo lavoro.
Prima di partire per Ankor Drek aveva passato intere notti alla biblioteca di HammerHeim, circondata da decine di tomi di botanica che l’avevano inevitabilmente portata alla ricerca di nuovi campioni da analizzare.
C’era qualcosa, nelle piante, che l’aveva sempre attirata.
Esseri viventi così diffusi da passare inosservati, nonostante la loro infinita importanza, sempre presenti sotto i piedi di Re e soldati, ma mai a loro inferiori.
Volse lo sguardo al manto smeraldino della Splendida, accuratamente ripiegato su una sedia, posta ai piedi del letto.
Era più di un anno ormai, che l’avevano accolta in città. Era stata la sua prima tappa, dopo aver lasciato i porti di Rotiniel per avventurarsi nel Continente Umano, e rimasta catturata dalla sua bellezza e dai suoi abitanti, aveva deciso di restare.
Eppure non poteva fare a meno di pensare a tutto ciò che le era capitato, da quando aveva posto quel capo sulle proprie spalle; le streghe di Katah, la guerra contro gli Uruznidir, le invasioni degli Orchi.
E con questi eventi, ogni persona che aveva incrociato il suo cammino con il proprio.
Portò la testa all’indietro, che ricadde molle contro il muro ove il letto era accostato - provò a chiudere gli occhi, ma i pensieri le vorticavano nella mente come una tempesta febbricitante; e più provava a placarli, più la testa le girava, ed il petto le doleva.
E con i ricordi, il viso del giovane nordico, irraggiungibile e disperso.
Clovis portò le braccia al petto, piegandosi pietosamente verso le ginocchia.
Oh Grigio Sapiente, è questo il prezzo della storia che si assapora sulla propria pelle?
Una preghiera riecheggia acuta, accompagnando il vorticare di ricordi implacabili
Hai voluto per me che seguissi la mia strada; è forse anche il Dolore parte del Sapere?
E quanto puoi aver sofferto tu, il prezzo della tua Conoscenza?
E forse il Cieco comprese, perché il vortice di pensieri si arrestò, interrotto da tre colpi di nocca alla porta della camera.
Clovis alzò lo sguardo, e notò sbirciare da oltre la soglia, una bambinetta con un piatto in mano.
La maga non rispose, ed ella lo interpretò come invito ad entrare.
Posò il solito piatto di zuppa di carne e ginseng sul comodino, - a quanto pare doveva aiutare a rimetterla in forze - ma Clovis non sembrò farci caso. L’attenzione era rivolta alla ragazzina che, insolitamente, si era soffermata più a lungo del solito, con aria esitante.
Era solita scappare dalla stanza poco dopo aver consegnato il pasto, ma quella volta attese per qualche secondo in più; gli occhi di Clovis navigarono fino ad una borsa a tracolla che la giovinetta portava, e che questa sembrava quasi voler nascondere dietro la schiena.
Quando se ne accorse, sembrò prendere coraggio, e dalla borsa in pelle tirò fuori un piccolo libretto ben rilegato, dalla copertina verde ed intagli di fiori e piante.
La maga lo riconobbe subito: era “Maat, Parsimonia e Vigore”, uno dei libri che aveva portato dalla sua biblioteca privata.
A quanto pare la bambina l’aveva preso di nascosto mentre dormiva, ma ora glielo porgeva nuovamente, con aria innocente.
“Non sai leggere?” Chiese la bionda con tono flebile, e la bambina scosse il capo.
Clovis contemplò la copertina per qualche istante. La testa le pulsava ancora, ma un guizzo di emozione le diede una scarica lungo la schiena.
Diede due colpetti al fianco del letto, dove la bambina, allegramente, andò ad accomodarsi, e così iniziò a leggere.
Andarono avanti a leggere per tutta la sera, così il giorno dopo e le settimane a venire.
Lessero i libri di botanica che la giovane aveva portato dal Continente Umano e, quando finirono, lesse quelli che i gentili ospiti di passaggio alla Taverna portavano di tanto in tanto.
E quando anche quelli non bastavano, Clovis le raccontava le sue Storie.
Così, come un pettine che passa in una chioma spettinata, andava a snodare ogni singolo racconto, ogni singola esperienza.
E con ogni storia, Clovis sentiva di fare sempre più chiarezza nella sua mente tormentata.
Uno scambio di mutuo beneficio, in cui la piccola scopriva di un mondo ben più vasto del perimetro di Vessa, e in cui Clovis riusciva a placare le preoccupazioni ed i tormenti di quell’ultimo, intenso anno.
E con la calma dei suoi sensi finalmente ritrovata, passò anche la febbre, e le storie finirono.
Il tempo di fare ritorno ad HammerHeim era finalmente arrivato.