- Fri Feb 07, 2025 10:17 am
#62715
Ogni tanto passava da Eracles. Le tende, le persone sedute sulle panche intorno al fuoco, il chiacchiericcio, donne e uomini che andavano e venivano, l’eterno stato di passaggio: tutto gli ricordava sua madre, quei pochi momenti in cui c’era, prima che la luce nei suoi occhi si spegnesse, ogni volta che varcava i cancelli di Amon. “Quando aveva potuto viaggiare” sarebbe stato il titolo perfetto delle sue memorie, se lei avesse mai avuto fiducia nella parola scritta, nelle cose ferme, immobili, destinate a rimanere nel tempo, come una casa solida, come le mura di pietra, come dire di essere parte di qualcosa, che non cambia.
Poi se n’era andata. Era partita. Gli aveva lasciato quella irrequietezza e tante domande. A suo padre era andata peggio: lo aveva lasciato con due figli da crescere, un’attività da mandare avanti e un padre autoritario e sempre più malato. Quando aveva scelto di essere Finam, quando ogni legame della sua vita precedente era andato ormai perduto irrimediabilmente, aveva mantenuto nella carne e nell’essenza entrambe le cose: l’irrequietezza della madre, i suoi inni, le sue storie, e la resilienza del padre, la capacità di poter essere colpito dal martello e diventare più duro, più appuntito, ad ogni colpo subito, ad ogni fitta di dolore impressa dal ferro. Tutto ciò che era stato, per ogni scheggia, per ogni imperfezione dovuta ad uno schiaffo, ad una umiliazione, ad un tradimento, ad una ferita, ad una offesa, lo rendevano più complesso. Ogni città che si lasciava alle spalle non finiva realmente per lui, se la portava dentro, con i suoi insegnamenti e i suoi fallimenti, e ci costruiva sopra.
Amava cavalcare lungo i fiumi: osservava l’acqua pulita e anche quella carica di detriti. A volte sedeva sulle pietre più grandi e piatte e fissava quella massa informe, che si ingrossava, che si infuriava e poi sfogava e si calmava. Aveva capito molte cose quando il Grigio era entrato nella sua vita: così chiudeva gli occhi, si interrogava, cercava il rumore dell’acqua con la mente. Studiava il suo avversario, il suo ostacolo e scopriva sempre un’immagine nuova, con il suo stesso volto. Era lui stesso, con le parole e gli obiettivi di altri. Avanzava la prima pedina, lui rispondeva con la seconda, e ancora una risposta, e poi l’alter ego rovesciava la scacchiera. Non per accettare una sconfitta, ma per cambiare le regole, sempre, eternamente. Poi riapriva gli occhi: era lui o erano cento nemici affrontati? Era una vittoria o era una sconfitta che si profilava all’orizzonte? Era suo padre o era sua madre?
L’istinto non è mai una strada dritta.
Poi se n’era andata. Era partita. Gli aveva lasciato quella irrequietezza e tante domande. A suo padre era andata peggio: lo aveva lasciato con due figli da crescere, un’attività da mandare avanti e un padre autoritario e sempre più malato. Quando aveva scelto di essere Finam, quando ogni legame della sua vita precedente era andato ormai perduto irrimediabilmente, aveva mantenuto nella carne e nell’essenza entrambe le cose: l’irrequietezza della madre, i suoi inni, le sue storie, e la resilienza del padre, la capacità di poter essere colpito dal martello e diventare più duro, più appuntito, ad ogni colpo subito, ad ogni fitta di dolore impressa dal ferro. Tutto ciò che era stato, per ogni scheggia, per ogni imperfezione dovuta ad uno schiaffo, ad una umiliazione, ad un tradimento, ad una ferita, ad una offesa, lo rendevano più complesso. Ogni città che si lasciava alle spalle non finiva realmente per lui, se la portava dentro, con i suoi insegnamenti e i suoi fallimenti, e ci costruiva sopra.
Amava cavalcare lungo i fiumi: osservava l’acqua pulita e anche quella carica di detriti. A volte sedeva sulle pietre più grandi e piatte e fissava quella massa informe, che si ingrossava, che si infuriava e poi sfogava e si calmava. Aveva capito molte cose quando il Grigio era entrato nella sua vita: così chiudeva gli occhi, si interrogava, cercava il rumore dell’acqua con la mente. Studiava il suo avversario, il suo ostacolo e scopriva sempre un’immagine nuova, con il suo stesso volto. Era lui stesso, con le parole e gli obiettivi di altri. Avanzava la prima pedina, lui rispondeva con la seconda, e ancora una risposta, e poi l’alter ego rovesciava la scacchiera. Non per accettare una sconfitta, ma per cambiare le regole, sempre, eternamente. Poi riapriva gli occhi: era lui o erano cento nemici affrontati? Era una vittoria o era una sconfitta che si profilava all’orizzonte? Era suo padre o era sua madre?
L’istinto non è mai una strada dritta.
Finam Arnor, il fabbro. Diciassette anni su TM, che sfiga!
"Purtroppo o per fortuna il mondo va avanti grazie alle formiche, anche quando le cicale friniscono più forte".
"Purtroppo o per fortuna il mondo va avanti grazie alle formiche, anche quando le cicale friniscono più forte".