Bootstrap Framework 3.3.6

Over a dozen reusable components built to provide iconography, dropdowns, input groups, navigation, alerts, and much more...

Qui i giocatori di The Miracle lasciano imprese, poesie, narrare eventi e grandi avventure avvenute e in svolgimento su Ardania. Linguaggio strettamente ruolistico.
User avatar
By Zenon Valdemar
#61563
“Versami un’altra birra, intanto, che la gola inizia a seccarsi.
Non sei il solo che me lo chiede, che si domanda come mai una scelta del genere, ma proverò a risponderti… ti avverto però che non sarà tanto rapida, la cosa.”

“Potrei raccontarti la mia vita passo per passo approfondendone ogni capitolo fino al più minuscolo dettaglio, ma temo ci porterebbe verso sentieri ben lontani dalla via maestra.
Ti racconterò però di mia madre, una veggente dei Vaghi, e che nella sua carrozza diede amore a molti uomini, ma che ne amò davvero soltanto uno, un sentimento che la consumò lentamente quando lui, ammantato nelle sue vesti di un bianco immacolato, tornò nelle terre degli Elfi immortali, abbandonandola ad una vita misera e difficile. Eppure quella donna mi diede tutto, ogni istante della sua vita fu dedicato a donarmi un’infanzia felice."

"Quando lei morì io fui smarrito: molti del villaggio mi guardavano con disprezzo e timore e quelli come me, i “sangue d’elfo”, erano considerati al pari di una peste.
La solitudine e il rifiuto mi allontanarono da quel luogo che per me era sempre stato una casa. E vittima dell’assenza del più grande dei doni, una famiglia, fui avvicinato da uomini che da tempo seguivano un sentiero oscuro, orribile e riprovevole oltre ogni cosa.
Mi catturarono e piansi, tremai e implorai: un ragazzino, per giunta un mezzosangue, nelle mani di chi del sangue e della violenza aveva fatto la propria fede. Ma il loro capo, Daenar, oh sì, ricordo ancora perfettamente la sua voce, i suoi lineamenti, il suo sguardo che in me vide qualcosa… mi risparmiò dandomi un’alternativa alla morte: seguirli ed incamminarmi sulla via dell’unico Dio."

"Non te lo nascondo, amico mio, trascorsi quasi un anno cercando di cancellare dalla mente ciò di cui fui testimone e a volte partecipe quasi ogni giorno: un’orgia di sangue e sacrifici, carne umana donata all’Oscuro… e quel sapore, il sapore di un cuore masticato che si mischiava al vomito che sentivo salire dalle mie viscere, un disperato tentativo del mio corpo di rifiutare quel pasto repellente."

"Ma nella vita possiamo adattarci a tutto e anche gli insegnamenti più blasfemi a lungo andare iniziano ad essere comprensibili, accettabili… inizi perfino ad apprezzarli.
Daenar e i suoi seguaci plasmarono la mia mente e la mia volontà, un giovane mezz’elfo che con la sua voce vibrante e il suo talento nella musica avrebbe cantato le lodi di Vashnaar al di sopra delle grida degli squartati vivi."

"Il mio ruolo in quel Branco di belve assetate… oh, no, non il Branco di cui si vociferava fino a qualche mese fa, era ben altro il vero e unico flagello di Vashnaar in anni di confusione e caos… come ti dicevo, il mio ruolo sarebbe stato quello di infiltrarmi e condividere preziosi segreti dei nostri peggiori nemici.
Ma il tempo fu testimone della scomparsa della mia “famiglia”: Draukner cadde dinanzi alle mura di Hammerheim, Kurtz fu bandito da qualsiasi terra civilizzata e Daenar… di Daenar nessuno seppe più nulla. Coloro che avevano vissuto nel sangue erano svaniti annegati nel sangue.
Tornai ad essere solo, i luoghi in cui avevo vissuto per anni e in cui avevo stretto legami e amicizie in nome dell’inganno divennero il solo rifugio sicuro per la mia anima tormentata: i nemici erano diventati amici e io ormai mi sentivo a casa in terra altrimenti ostile."

"Potrei raccontarti i difficili anni della fede che vacilla, del mio ritrovare un lento, lentissimo equilibrio - una ricerca ben lontana dall’essere giunta al termine - nel Grigio.
E potrei raccontarti il dolore, ancora vivo, che nella mia mente penetra come uno stiletto, la tortura che di cui sono divenuto vittima perpetrata dagli illithid, che siano maledetti in tutte le lingue, di come abbiamo sconvolto la mia vita e di come ancora oggi io mi risvegli in fuga da incubi tentacolari."

"O continuare parlandoti del mio cuore spezzato, quando mi separai dalla mia famiglia dal manto smeraldo che ormai non riconoscevo più, per cui avevo fatto di tutto - anche andare contro i dettami del mio stesso Nume - per ricevere in cambio… come chiamarlo? Tradimento?"

"E potrei anche raccontarti di Tortuga, dove finalmente sentivo di aver trovato una nuova famiglia, così distante negli usi e nelle tradizioni da ciò di cui avevo fatto parte in passato ma al contempo così… libera. E di come questa famiglia, per quanto volenterosa e sognante, poggiasse le proprie intenzioni su un terreno sottile e fragile come vetro, un vetro non resse a lungo il peso delle scelte fatte."

"Come vedi, amico mio, non basterebbero dieci birre per dissetarmi mentre ti narro di ogni singolo dettaglio della mia vita: uno dei pochi vantaggi che ho tratto dal sangue di mio padre, chiunque egli sia, è il mantenere quest’aspetto ancora giovane… ma non farti ingannare, la realtà è che gli anni adesso mi pesano molto. C’è chi, incontrandomi, mi chiama ragazzo, inconsapevole del fatto che io calco il suolo di Ardania da ancor prima che molti altri raggiungessero l’età adulta e che ho visto imperi e regni sorgere e crollare, legami ritenuti indistruttibili dissolversi in una notte, amici avere figli e nipoti ed essere seppelliti da essi."

"Inizio ad essere stanco, non ho più la forza di vivere alla giornata fra le rovine di un accampamento improvvisato ed una tenda piazzata all’orlo di zone perigliose di Ankor Drek, di affondare i piedi nelle sabbie tremecciane o improvvisare un giaciglio fra palme e zanzare: sento il bisogno di stabilità e di affrontare una nuova sfida, di accettare una trasformazione di me stesso e abbandonare le spoglie del vecchio Zenon ancora una volta: non più il buffone che serviva le tenebre, non più lo schiavo tormentato di una mente alveare illithid, non più l’amante della lussuria più sfrenata nelle losche alcove dei bordelli.
Ho bisogno di fermarmi, riprendere fiato e voltare pagina, dando inizio alla scrittura di un nuovo capitolo."

"Perché qui ad Amon, mi chiedi? Forse perché è ciò che cerco dopo decenni d’immaturità e di incertezze, forse perché ho bisogno di un po’ di disciplina nella mia vita, quella che mi è sempre mancata, forse perché voglio abbracciare un nuovo ideale nobile e meritevole del mio sostegno.
Ma la realtà, amico caro, è rappresentata da Eracles, dove sono venuto al mondo protetto dall’amore di mia madre, di una fanciulla che si destreggiava a sopravvivere fra una lettura dei tarocchi e una seduta di piacere con un ricco viaggiatore."

"La realtà è che adesso voglio solo tornare a casa."
User avatar
By Zenon Valdemar
#62180
La mattina è calda malgrado l’inverno inoltrato, torno al presidio dopo una breve ronda: mi piace la vita quotidiana di Eracles, guardare gli operai al lavoro per ripristinare il vecchio tendone… beh, passano più tempo a parlare di donne e vino, ma poco importa.

Mi siedo fuori dalle mura, affilando un vecchio pugnale ricordo dell’Agoghè quando una vecchina, l’avrò vista decine di volte uscire ed entrare dalle tende, mi si avvicina con al braccio una cesta con qualche frutto: mi sorride, ma nel suo sorriso sdentato e nel suo tremolìo mentre mi porge una mela percepisco qualcosa di sinistro.
Ci bado poco e faccio per addentare la mela quando mi accorgo che, in malo modo come solo le mani fragili di una vecchia signora possono fare, al suo interno è piantata una minuscola lama, tanto piccola eppure così affilata da potermi squarciare la gola dall’interno.

Non la prendo a male, non reagisco in modo irruento, inspiro solo a fondo lasciando percepire il mio disappunto… niente rabbia, solo disappunto ed una profonda stanchezza.

La vecchia contadina, da quella sua bocca sdentata e ormai non più sorridente, bofonchia qualcosa che interpreto a malapena, anche se dovrei riconoscere chiaramente il vecchio dialetto eracliano: qualcosa che suona come “Perché non ti ammazzi? Con quella faccia fai vergogna a tua madre morta.”

Si allontana, con la lentezza del peso di tanti anni sulle spalle e di ginocchia logorate dal lavoro nei campi, e io la lascio andare. Getto la mela dopo aver tolto la lama che intasco e mi ritrovo ad osservare ad occidente lunga strada che porta Eracles a Seliand: in mia compagnia i rumori dei carpentieri che finalmente tornano a casa dopo una giornata di “duro” lavoro, il canto degli uccelli nei boschi circostanti e il suono di un violino lontano, note di una vecchia ballata che teneva lontani gli spiriti dei morti irrequieti.

Ah, il vecchio dialetto eracliano, era da tanto che non lo sentivo e ogni sillaba mi ricordava la giovinezza: certo, un dialetto meraviglioso se vuoi comunicare qualcosa in segreto o insultare, quasi al pari del demonico della Torre Nera in fatto di bestemmie verso gli Dei.

Sorrido ripensando alla scorsa notte e al sogno – o forse dovrei considerarlo un incubo? – che mi ha tormentato: non ricordo tutti i dettagli, ma due passaggi mi sono rimasti impressi nella mente.

Ricordo Bedwyr, seduto sul cadavere sanguinante di un grosso rettile, stanco per la battaglia eppure immacolato nella sua armatura, un uomo per cui ho sempre nutrito un grandissimo rispetto a prescindere dalle nostre differenze. Impugna la sua arma, quella con cui ha sconfitto il suo squamoso nemico, una minuscola lama molto, troppo simile a quella della vecchina.
“Quello che fai, lo fai per te o per fare uno smacco a Vashnaar?”, mi dice… perché dopo tanti anni continuo a non togliermi dalla testa quel nome, quelle usanze, quella violenza? Qualcun altro di recente me l’aveva detto, le sue parole erano una conferma di ciò che sapevo già: una volta che vieni toccato dall’Oscuro, quel tocco resta per sempre come una malattia, un tumore, un’imperitura memoria di ciò che eri.

E poi ricordo un’altra figura, stavolta all’interno di una scintillante cattedrale: nello splendore dei marmi lucidati giorno dopo giorno, ora dopo ora, e dei candelabri nel più puro degli argenti, su una panca di noce levigata con tanta devozione da sembrare anch’essa scintillante siede una figura vestita di nero, lercia, circondata da insetti. Si volta verso di me e per un attimo nei suoi lineamenti riconosco Draemos, il guerriero nero, ma poi la mia vista si impegna e la sua pelle si rivela tagliata dalle sabbie del deserto, le labbra screpolate come di chi trascorre settimane fra le dune, eppure i tratti sono continentali: Zrath il predicatore, colui i cui insegnamenti ho seguito a lungo nei miei anni di Tremec.
“Smetti di dimostrare agli altri, quello che fai è solo cercare di accontentarli, ma quella macchia non verrà mai via”.

Mi alzo sistemando le mie cose e avviandomi alle porte del presidio, ho ancora diversi rapporti da sistemare e diventa difficile farlo a lume di candela. Ma mi domando cosa volessero dire i miei due ospiti del sogno… e anche se in realtà lo so bene, per qualche strano motivo vorrei ignorarlo.

Arrivo alla porta, sto per inforcare la chiave nella serratura e mi fermo per alcuni lunghi, infiniti secondi: penso alla vecchia signora, ad una vita trascorsa da reietto, al contadino che dispensava insulti a quelli come me, alla fatica enorme, colossale, nel farmi rispettare dagli altri, e mi immagino ad un bivio, la prima strada conduce ad Amon e la seconda al deserto, ad una vita da solo lontano dal cattivo giudizio altrui. La prima conduce ad un’esistenza – o sopravvivenza? - difficile, molto, ma non più di quanto lo fosse ad Hammerheim o addirittura a Tortuga, mentre la seconda sarebbe di gran lunga più semplice, ma non farei altro che dimostrare per l’ennesima volta quello che tutti affermano, che un mezzelfo è qualcuno di cui non ci si può mai fidare, che non sa mantenere il più sacro dei giuramenti.

Sono stanco dell’ambiguità che ho indossato per anni come un’armatura, stanco dell’essere osservato da tutti come se fossi adatto solo all’esilio o come animale da circo.
Sono stanco di quell’eredità pesante che è il mio passato oscuro e altrettanto stanco di questo continuo logorarmi per cancellarlo e rimpiazzarlo con una ricerca del sapere che non mi condurrà ad altro se non ad una nuova ricerca ancora più estenuante e così ancora, ancora e ancora all’infinito.
Sono stanco di una vita di trame, intrighi e menzogne, di trascorrere notti riflettendo su strategie occulte, manovre politiche e tentazioni varie.

“Chi pensa meno vive meglio”, dice spesso quel giovanotto che trascorre giornate vicino la banca, qui ad Eracles, senza far null’altro che fumare la pipa: me lo dice spesso, osservandomi con quegli occhi chiari come il mare da quel volto bitorzoluto di campagnolo pigro e lanciandomi degli strani sorrisi d’intesa. In altri tempi avrei assecondato quei sorrisi con la stessa lussuria che mi seguiva nelle mie notti nei bordelli tremecciani, dove non importava quale fosse la tua compagnia ma soltanto il piacere che ti donava.
Ma quella frase, detta sgranocchiando il legno della pipa, mi resta in testa: chi pensa meno vive meglio.

Il sole ormai è quasi svanito, tutti tornano alle loro case e alle carrozze, l’odore di coniglio arrosto nell’aria è un piacere semplice ma inebriante: ho davvero deciso di vivere per queste persone, per un gruppo di contadini che mi guardano con sospetto? Ho davvero deciso di vivere per Amon, per dei cittadini che ridacchiano al mio passaggio e dei bambini che scappano quando mi vedono? Ho davvero deciso di imboccare questo sentiero e di farlo non solo per tutti loro, ma anche per me stesso?

I rapporti nel presidio possono attendere, un altro giorno di polvere non li distruggerà.
Risalgo a cavallo e parto al galoppo per la capitale, verso quella cattedrale di scintillanti marmi.
User avatar
By Zenon Valdemar
#62834
Per giorni aveva sognato una grande cerimonia di consacrazione, l’atto definitivo che lo avrebbe reso un figlio di Crom dinanzi alla Chiesa e al mondo intero.
Il suo era stato un percorso di profonda riflessione, non di armi e giustizia contro i simboli del male e del vizio ma una crociata contro il suo passato, contro i fantasmi che ormai da decenni lo tormentavano. Molti amici, uomini di fede, persone di saggezza, avevano rappresentato i mentori del cambiamento, persone a cui la sua gratitudine non sarebbe mai venuta meno.

Le sue notti si facevano più serene, incubi figli della paura e dell’incertezza si dipanavano come fumo nero dissolto dal cielo. Ciò che gli accadeva non era un cambio di pagina sul diario di un’esistenza così complessa e articolata, quel diario era adesso sulla fiamma della disciplina, della giustizia e, se necessario, del martirio.

Adorava camminare per i sentieri di Eracles guardando e ascoltando i suoi abitanti, forse sempre un po’ più abituati alla presenza del mezzosangue. O forse erano semplicemente consapevoli della sua nuova carica e dei poteri che conferiva… ma Zenon sperava in cuor suo che, giorno dopo giorno, lo sentissero come un amico e non come un burocrate. Dal canto suo studiava tutto ciò che era intorno a sé, aveva ancora un mente una grande festa per celebrare quel villaggio, l’importanza che aveva avuto nella storia dell’Impero e le tradizioni che il suo popolo custodiva.
Ma gli impegni e i pensieri lo trascinavano altrove, verso fatti più gravosi: li avrebbe però affrontati con la consapevolezza di aver intrapreso un percorso di virtù ma che di esso era ancora al principio.

C’era solo una cosa che lo tormentava realmente: sarebbe stato degno?
Sentiva la sua mente ancora pervasa da pensieri sporchi, da residui nell’anima che come muffa agli angoli di una parete immacolata cerca di ritagliarsi giorno dopo giorno uno spazio vitale sempre più ampio.
Si sentiva ancora impuro, a volte infestato dalle memorie condivise della collettività illithid di cui aveva fatto parte per un breve ma orribile tempo e a volte lusingato dal sapore del sangue e della carne degli uomini.

Per giorni aveva sognato una grande cerimonia di consacrazione, ma le cerimonie sono per le spose o per nobili frivoli ed effeminati.
Dinanzi al monumento in memoria di Re Agravain e dei suoi legionari, nel cuore della Fortezza, iniziò a spogliarsi di armatura, insegne e mantello: i miliziani intorno lo osservarono con curiosità e seria preoccupazione quando, in ginocchio e a torso nudo dinanzi la statua, sfilò una sorta di frustino dalla borsa, di quelli di crine di cavallo intrecciato utili ad imporre la disciplina sugli stessi animali da cui aveva origine.

Nessuno si avvicinò, comprendendo la terribile sacralità di quel momento: con sangue e frammenti di pelle sull’erba circostante e con una sussurrata preghiera a Crom, interrotta con cadenza regolare da ognuna delle sferzate sulla sua schiena, davanti alla pietra simbolo del più grande dei sacrifici, ebbe luogo la Consacrazione di Zenon Valdemar.



Image
long long title how many chars? lets see 123 ok more? yes 60

We have created lots of YouTube videos just so you can achieve [...]

Another post test yes yes yes or no, maybe ni? :-/

The best flat phpBB theme around. Period. Fine craftmanship and [...]

Do you need a super MOD? Well here it is. chew on this

All you need is right here. Content tag, SEO, listing, Pizza and spaghetti [...]

Lasagna on me this time ok? I got plenty of cash

this should be fantastic. but what about links,images, bbcodes etc etc? [...]

Swap-in out addons, use only what you really need!