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Qui i giocatori di The Miracle lasciano imprese, poesie, narrare eventi e grandi avventure avvenute e in svolgimento su Ardania. Linguaggio strettamente ruolistico.

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By Michael604
#51220
Di intense passioni può essere il mondo!
In ogni sua forma. Dal cielo infinito all’abisso più profondo!
Dal suo entusiasmo lasciati travolgere, avanti non indugiare!
Ma attento! Perché in “un coltello nel buio”, potresti sempre inciampare…

“Fuga nella notte”

Il rumore delle pesanti armature riecheggiavano nei vicoli stretti e ansiogeni, dove perfino la luce intensa della luna faticava ad entrarci. Quei pochi raggi che vi riuscivano, si fondeva con le ombre dei vicoli. Plasmandone forme e suoni.
Le finestre degli edifici erano ancora debolmente illuminate; uniche testimoni di quanto stava succedendo quella notte, mentre ostacoli di ogni sorta: casse, bancarelle rovinate, botti e sporcizia rendevano la fuga rocambolesca e dalla sorte incerta.
Una leggera nebbia permeava la strada, alzandosi da uno stretto e basso canale. L’odore tipico di salsedine si faceva sempre più intenso.
Le grida delle guardie diventavano sempre più vicine. La luce delle loro torce avanzava rapidamente, come una creatura vorace e avida della sua preda.
I due ragazzi correvano a perdifiato, voltandosi raramente e aiutandosi l’un l’altro. Alla fine, esausto, uno dei due si accasciò a terra. Il suo volto era sporco, ma due occhi azzurri brillavano intensamente osservando il compagno.


“Non ce la faccio più… scappa, mettiti in salvo!”
Il più robusto, lo prese di peso da un braccio spronandolo a proseguire.

“Coraggio, non ti lascio qui! Ormai siamo quasi arrivati alla zona del porto. Lì possiamo seminarli facilmente… Certo che li abbiamo proprio fatti incazzare!”
Il vociare delle guardie si fece più intenso e da dietro un angolo, ecco l’alone della torcia che si ingigantiva sempre di più.

“Ormai sono troppo vicini… scappa! Io me la caverò…”
Il ragazzo ancora in piedi, ma anche lui con il fiatone, si osservò attentamente attorno. I suoi occhi grigi brillavano debolmente alla pallida luce della luna, in un misto di paura e adrenalina.

“Io provo a depistarli… tu torna al porto e nasconditi. Ricordati che mi devi un favore!”
Disse sprezzante. Nel suo volto un mezzo sorriso nascondeva il misto di emozioni che lo assalivano. Poi, senza aspettare la risposta del suo compagno, si gettò verso le guardie urlandogli contro frasi di sfida e imprecazioni. Con forza e coraggio cercò di guadagnare più tempo possibile, ma alla fine le guardie gli furono addosso immobilizzandolo.


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“Un brusco risveglio”

Aprì gli occhi di colpo, sussultando appena per il sogno fatto. Ci vollero alcuni secondi prima che la sua mente focalizzasse dove si trovava. La sua pelle, era punta e irritata dal fieno sparpagliato a terra, sistemato in modo da formare vagamente un giaciglio comodo.
Cercò di mettersi seduto ma una fitta al petto lo fermò di colpo, ricordandogli le ferite in via di guarigione.
Si passò la mano ruvida e callosa sul viso, stanco e provato dal lungo viaggio.
I suoi occhi grigi si spostavano lentamente seguendo i contorni scuri e indefiniti del posto, fatto ti travi di legno e strani attrezzi appesi, di quella che doveva essere una stalla.
Nella sua mente cominciarono a prendere forma sprazzi di immagini e sensazioni, ripercorrendo tutti i recenti avvenimenti.
Poteva sentire il verso dei gabbiani mescolarsi al rumore delle onde infrante dallo scafo. L’odore del mare che gli riempiva i polmoni, con le gocce del mare che gli bagnavano il viso abbronzato, solcato da piccole cicatrici.
In lontananza i contorni della capitale delle Westland: Hammerheim “la Splendida”.

Fu un viaggio lungo ma relativamente tranquillo. La pelle si era bruciata e scurita durante il suo soggiorno forzato a Tremec. Amava quella città, dove il denaro compra qualsiasi cosa. Anche il silenzio.
Ricordava le domande insistenti delle guardie del sultano. Dai modi bruschi e decisi. Rammentava anche le loro armi; così particolari e tipiche, somiglianti vagamente a una mezza luna.
Dovette attingere a tutti i soldi di cui disponeva, vendendo anche la sua nave e parte del suo equipaggiamento. Non gli era rimasto molto, se non per tornare nel continente; dove oltre alla sua vecchia casa lo aspettavano delle risposte.

Ma prima doveva rimettersi in sesto. L’agguato nella notte, lo scontro con i predoni del deserto, la fuga per salvarsi la vita… avevano preteso un serio prezzo da pagare. E quella strana cassetta di legno, così semplice e misteriosa… causa di tutti i suoi guai. Cosa c’era dentro? Perché l’agguato? Chi aveva parlato e rivelato i piani della consegna? Ma cosa più importante… che fine aveva fatto Gustav? Era ancora vivo?
Troppe domande per quella testa. Troppi dubbi per quella mente stanca e provata.

Si rimise disteso, osservando il soffitto della stalla che lo ospitava. Le ombre cominciarono a danzare lentamente, in un turbinio che sembrava quasi risucchiarlo. Poi esausto, rimpiombò in un sonno agitato.



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By Michael604
#51333
“La Signora dei Segreti”

La birra si riversava nella gola come fiume tumultuoso mentre il suo sapore orribile e annacquato si facevano strada nello stomaco. Eppure alcuni rivoli ne fuoriuscivano dalla bocca, tanto era l’impeto con cui veniva trangugiata.

Posò di colpo il boccale di legno sul tavolo, barcollando visibilmente alticcio. Il suo sguardo spaziava per la bettola trascurata, illuminata a malapena da vecchie e consumate candele. Il vociare dei presenti riempiva la sala: alcuni, intenti a giocare a carte, cercavano di vincere senza far scoprire l’imbroglio che avevano preparato, altri se ne stavano negli angoli più bui del locale lanciando occhiate sospettose ai presenti, tornando ai loro loschi affari subito dopo.

Due enormi figuri sondavano la sala con sguardo attento e poco tollerante, battendo una grossa mazza di ferro sulla mano; quasi avviliti nel non aver ancora avuto l’occasione di “accarezzare” qualche sprovveduto cliente dagli animi troppo agitati.
Darril, il taverniere, puliva con uno straccio sudicio i boccali finiti. Per poi lanciare un’occhiata sbieca ai clienti, minacciandoli velatamente con lo sguardo, nel malaugurato caso non avessero con loro i soldi per pagare.

Qualche cortigiana passava per i tavoli, mirando a coloro che a stento rimaneva in piedi dopo le abbondanti bevute. Nel tentativo di spillargli qualche soldo in cambio della loro “preziosa” compagnia.
In quel locale vi era la “feccia” della società. Poveri, delinquenti, mercenari e prostitute. Ma capitavano anche sventurati viaggiatori con pochi soldi, e qualche impavido della nobiltà che voleva vivere “intense” emozioni.
L’odore del mare permeava il tutto e il suo dolce suono, fatto di onde infrante negli scogli, creavano un’atmosfera quasi piacevole… se si apprezzava la peculiare compagnia.

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Si posò al bancone cercando con lo sguardo qualche volto familiare. Mancava da tempo in quelle zone e molte cose sembravano cambiate. Un tempo quello era il suo ritrovo preferito, dove lui e la sua banda si incontravano per festeggiare o per cercare qualche ingaggio, lontano dalle orecchie e dagli sguardi opprimenti delle guardie.

E fu proprio lì che venne ingaggiato settimane prima, per portare una semplice quanto strana cassetta di legno fin ai confini di Tremec. La paga era buona, forse troppo, per un lavoro all’apparenza così semplice. La cosa infatti non lo convinse fin da subito ma fu proprio il suo mentore, Gustav, ad insistere.
Da lì in poi solo problemi, e per poco non ci rimise pure la pelle!
Doveva rintracciare quel suo contatto e chiedere spiegazioni. Nonostante le ferite sul corpo fossero ancora in via di guarigione, doveva rischiare. Forse ne andava della vita dello stesso Gustav.

Era assorto nei suoi pensieri quando una sensuale figura con evidenti e abbondanti “doti” gli si avvicinò. Portava con sé un boccale stracolmo di birra, la cui schiuma trasbordava ad ogni scossone. Il suo sguardo, lascivo e provocante, si fondevano con un forte profumo di bassa qualità e una chioma dai capelli rossi che sembravano danzare come le fiamme della passione stessa; facendoli ondeggiare capricciosamente con lenti e studiati movimenti della testa.



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“È un peccato che un uomo così affascinante come te se ne stia qui, al bancone a bere tutto solo… Non preferiresti un po’ di compagnia?”
Mordeva le sue labbra carnose dolcemente mentre il suo dito tracciava brevi cerci sul bancone di legno, quasi con fare ipnotico.
L’uomo si irrigidì sentendosi improvvisamente la gola secca. È vero che doveva cercare informazioni, che forse la vita del suo mentore era in pericolo ma… in fondo, poteva “investire” parte del suo tempo in quella graziosa compagnia. Anzi, forse ne avrebbe pure ricavato delle informazioni!


“Qui è troppo rumoroso per i miei gusti, che ne dici di andare di sotto, dove possiamo parlare e stare finalmente soli?”
Disse la provocante cortigiana prima di fargli strada al piano di sotto.



“Vecchie Amicizie”


Il locale sotterraneo era il più curato della taverna. Il mobilio era più ricercato e sfarzoso, adornato con cuscini morbidi e colorati, anche se palesemente rovinati. Il fumo delle candele si mischiava a quello dei narghilè creando un’atmosfera quasi esotica. Cortigiane mezze vestite si esibivano in balli sinuosi e seducenti per i loro clienti, mentre altre accoglievano i nuovi arrivati con dolci sorrisi e sguardi stuzzicanti.

“Mh, sembra che anche qui ci sia parecchia gente. Seguimi, ho il mio angolino privato per queste occasioni!”
Disse la giovane donna rivolgendosi al suo accompagnatore e lanciandogli continuamente sguardi interessati.
Spostò una pesante tenda dai colori spenti e consumati. Un tempo forse rappresentava tutto lo sfarzo di quel posto, ma ora seguiva il lento decadimento e trascuratezza che caratterizzava tutta la locanda.
Spinse dolcemente l’uomo su un piccolo divano trasbordante di cuscini. Poi richiuse la tenda.


Sorrideva maliziosamente avanzando verso di lui, cercando di risaltare le sue generose forme ad ogni movimento.
Gli si avvicinò lentamente, facendo scorrere le sue dita sul corpo dell'uomo, rigido e teso come la corda di un violino. Sbottonò i primi bottoni della camicia rovinata, scoprendo il corpo villoso e pieno di piccole cicatrici. Le bende sporche di sangue erano appena visibili.
Con le sue dita sinuose e affusolate, seguiva le sue cicatrici. Curiosa e impaziente di scoprirle completamente.


“Finalmente siamo soli… ora chiudi gli occhi. Lascia che renda questa serata indimenticabile…”
L’uomo si lasciò sprofondare sul divano, affondando quasi completamente in quel mare di cuscini. Chiuse gli occhi stringendola dolcemente verso di lui, pronto a lasciarsi andare in una notte di passione.
Li riaprì bruscamente quando uno schiaffo pesante e ben diretto lo fece quasi ruzzolare a terra.
La guancia era rossa e in fiamme, mentre la giovane donna ancora sopra di lui lo guardava con occhi di fuoco.


“Figlio di una meretrice! Pensi di tornare dopo tutto questo tempo e far finta di nulla? Quando ti ho riconosciuto volevo farti buttare fuori dalle guardie e farti picchiare per bene! Ma vedo che sei già messo male di tuo…”
Si rialzò da lui sistemandosi le vesti, abbandonando completamente i suoi modi precedenti. Ora gonfiava l’abbondante petto con aria di sfida e gli lanciava sguardi furiosi e poco tolleranti. Le mani poggiate sui fianchi non lasciavano presagire nulla di buono.
L’uomo la guardò confuso, ancora intontito dal pesante schiaffo ricevuto.


“Solo una donna ha modi così “amorevoli”, accogliendomi in questo modo… Cassandra? Non ti avevo riconosciuta! Sei cambiata molto dall’ultima volta che ti ho visto. E vedo che hai sviluppato abbondanti “doti” di cui andare fiera… Fatti abbracciare dolce amore m…”
“Non ti azzardare a finire quella frase Daryos! O giurò che ti faccio gettare in mare! Prima sparisci per anni senza dire una parola, ricompari quando ti pare e hai pure il coraggio di tornare qui come se niente fosse?
Ma se pensi di cavartela così ti sbagli! Un tempo ero giovane e ingenua e potevi raggirarmi con i tuoi modi, ma ora…”
“Bè, la descrivi peggio di quello che sembra Cass. È vero, sono sparito senza dirti nulla, anzi senza dir nulla a nessuno ma avevo le mie buone ragioni. Dovevo sparire in fretta!”
“Certo, come sempre del resto no? Sai come ho scoperto che non eri morto, o peggio? È stato Varik a dirmelo! Almeno lui non si dimentica dei suoi vecchi amici… di quelli rimasti almeno.”
“Varik… L’ho incontrato tempo fa, dopo i terremoti qui alla capitale. Come sta? Ricordo se la stesse passando bene, si stava facendo strada nell’alta società!”
La donna si sedette sul divanetto frugando in una piccola sacca ai suoi piedi. Conteneva erbapipa di tutti gli aromi. Prese un paio di sigari e iniziò a fumare sbuffando furiosa il fumo per tutta la piccola stanza.

“Sì, aveva in progetto di sposare una ricca vedova. Ora si è dato al commercio, da quel che ho capito. Vive nella parte benestante della città. Ma da quel che mi ha detto non vi siete lasciati nei migliori dei modi… tipico del tuo modo di fare del resto.”
Daryos roteò gli occhi cercando di prendere per sé uno di quei sigari, ma invano. Decise di desistere quando Cassandra lo fulminò con una singola occhiataccia.

“Mi aveva proposto di lavorare per lui, come ai vecchi tempi… Ah li ricordo i vecchi tempi. Fatti di gogne e mesi passati nelle prigioni. Lottando per un pezzo di pane quando andava male.”
“Vedo che però ora non è molto diverso… a giudicare da come sei conciato. In cosa ti sei cacciato ora?”
Gli domandò la donna continuando a sbuffare pesanti nubi di fumo, dall’aroma intenso.

“Uhm, bella domanda. È quello che vorrei sapere. Senti Cass, alcune settimane fa alcuni individui mi hanno ingaggiato per una strana consegna. Semplice e dalla paga buona. Troppo bello per essere senza problemi. Mi hanno teso un’imboscata vicino Tremec, lasciandomi mezzo morto.
Voglio capire chi sono e cosa c’è sotto. Ora è diventata una cosa personale!”
“Perché lo vuoi sapere? Sei ancora vivo no? Approfittane e scappa lontano. Cambia nome, tanto è una cosa che ti riesce abbastanza bene, così è il miglior modo per cercare guai, Daryos.”
“Vero, ma anche il vecchio Gustav doveva fare la sua consegna, e temo il peggio. Devo trovarlo Cass, glielo devo.”
Cassandra scosse il capo non nascondendo una smorfia di disapprovazione. Espirò le ultime boccate del sigaro, poi lo spense nel piccolo tavolino lì vicino. A giudicare da altri segni di bruciatura che rovinavano il legno, doveva essere una consuetudine.

“Non posso aiutarti. La vita qui è già abbastanza difficile, non voglio cercarmi altri problemi. Cerco di non immischiarmi in cose del genere… Tuttavia, girano voci su uno strano posto. Una specie di città per reietti o scappati di casa. Ma se fai domande sbagliate finirai con il prenderti una pugnalata… idiota che non sei altro!”
Daryos sorrise appena, avvicinandosi cautamente alla donna. Oltre il suo sguardo furioso si poteva intuire la preoccupazione che nutriva nei suoi confronti. Era combattuta da un mare tumultuoso di emozioni.
La strinse dolcemente a sé, baciandole delicatamente la fronte.


“Mi spiace essermene andato via senza salutarti o… Se non ho avuto il coraggio di chiederti di venire con me. Ma era un salto nel buio Cass.”
La donna lo allontanò bruscamente. Il suo sguardo si era addolcito ma era palese il suo disaccordo.

“Non è vero Daryos. Potevi tornare, una volta sistematoti. Ma a te interessa solo di te stesso. Come tutti a questo mondo. Ora vai, non voglio rivederti più.”
Daryos abbassò il suo sguardo, colpito dalle parole della donna. Non poteva negare che c’era del vero in quello che diceva. Avrebbe potuto fare di più per i suoi vecchi amici, per le persone che riteneva la sua famiglia.
Cassandra aveva ragione. Chi era nato in quel mondo, doveva pensare solo a se stesso. Era una lotta continua e sfiancante, per sopravvivere in un mondo dove il più forte schiaccia il debole.
Scostò la pesante tenda voltandosi un’ultima volta per osservare Cass.
Era bellissima. Una donna forte e determinata, ma ormai quasi completamente disillusa. Anche il suo sguardo si era spento, rassegnatasi a quella vita fatta di ipocrisie e false illusioni.

Ricordava, da ragazzo, l’entusiasmo e l’illusione che lo alimentavano. Che lo spingevano a lottare per quelli che riteneva la sua “famiglia”. Lui, che mai aveva conosciuto i suoi genitori, cresciuto per strada e raccattato dalle piccole bande di delinquenti che cercavano di ritagliarsi una fetta di potere nei bassifondi.
Al tempo pensava che gli ultimi e i dimenticati potessero unirsi insieme, proteggersi e supportarsi a vicenda… Ma la vita gli aveva mostrato la cruda realtà.

Osservò per l’ultima volta il locale sotterraneo. Le ragazze sorridevano e lanciavano occhiate maliziose ai clienti, che ridevano e ululavano come animali in quel clima festoso e lascivo. Tutto era come un gigantesco spettacolo: fatto di attori inconsapevoli, falsi sorrisi e interessi. Ma l’unica cosa che contava realmente era sopravvivere; e nei gradini più bassi della società, la lotta era più spietata. Dove perfino tra deboli, perfino tra gli ultimi si era pronti ad azzannarsi alla gola per un semplice tozzo di pane.
Questo era il sogno dalla quale si era risvegliato molto tempo fa. Un sogno che ancora oggi gli uomini chiamano “civiltà”.



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By Michael604
#51566
“Incontri lungo la Via”

Era una giornata limpida e calda. Il sole splendeva con vigore riflettendosi nei picchi innevati delle montagne del nord.
Daryos era in sella al suo ronzino: un cavallo dal manto grigio che aveva visto sicuramente giorni migliori, ma a dispetto delle sue apparenze aveva ancora grinta e voglia di cavalcare libero per terre inesplorate. Gli piaceva quella bestia. Sentiva di condividere con lei la stessa voglia di libertà, senza vincoli e sfruttando appieno ogni momento che la vita gli offriva.

Gonfiò il petto respirando l’aria fresca di montagna. Su sul viso, un sorriso soddisfatto si fondeva con la sua tipica espressione bonaria e sprezzante mentre percorreva il tortuoso sentiero verso le terre verdi.
Aveva appena finito di cacciare nella Baronia del nord. La lunga convalescenza infatti gli aveva fatto perdere molto del suo vecchio smalto e anche se non si sentiva in piena forma, decise comunque di affrettare i tempi di guarigione riprendendo i suoi allenamenti.

Non sapeva in che guaio si fosse cacciato, suo malgrado, ma era pronto ad affrontare quella situazione di petto, come era solito fare fin da ragazzo.
Nel ritorno verso Hammerheim decise di deviare verso il villaggio di Eracles. Le sue mura, alte e grigie costantemente sorvegliate dalle guardie stonavano con i colori accesi e allegri dei tendoni che caratterizzavano il villaggio.

Un popolo affascinante quello degli Eracliani. Da alcuni considerati girovaghi e avventurieri, mentre da altri, considerati invece ladri e imbroglioni. Tuttavia condividevano con Daryos la volontà, o forse era meglio dire, la “necessità” di una propria autonomia. Padroni del proprio destino, con solo il mondo come loro confine.
Era intento nelle sue faccende quando incontrò sul suo cammino uno strano tizio. Il suo aspetto anonimo, abbigliato con un’armatura in cuoio e un mantello dai colori scuri, stonavano con l’ambiente multicolore che lo circondava.
Si presentò come “Mark” e a giudicare dai suoi modi era una specie di mercante. Appena Daryos si presentò infatti, sul suo volto comparve un sorriso ampio e avido.


“Quel Daryos? Che vende legna comune? Ah! È da giorni che ti cerco! Compro tutta la legna che hai da parte, e se ne tagli altra compro pure quella!”
Daryos non amava mercanteggiare, anche se per sopravvivere navigava per i mari trasportando merci per i mercanti. Lo dimostravano il suo scarso intuito per gli affari e il suo modo diretto quanto onesto nel contrattare. Insomma, “qualità” poco utili nel mondo degli affari.
Tuttavia la vita nei bassifondi gli aveva insegnato a mantenere alta la guardia. Non aveva dimenticato il guaio in cui si era cacciato, né i rischi che potevano derivarne. Decise di accompagnarlo nella strada verso Nosper, pronto nel caso ad affrontare ogni imprevisto.



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“I Bassifondi”

I timori di Daryos si dimostrarono, per una volta, infondati. Se quel tizio voleva veramente derubarlo o peggio, decise che quello non era ne il momento ne il luogo.
Si spostarono alla Capitale per concludere i loro affari. La piazza era magnifica e la fontana centrale, abilmente decorata, spiccava per bellezza e suntuosità. I passi cadenzati delle guardie di ronda riempivano l’aria con il loro ritmo fondendosi con il vociare di mercanti e cittadini.
La capitale era ritrovo per cittadini e viandanti di tutti i tipi, vero centro cosmopolita delle terre Umane.
Daryos osservava la zona in silenzio, lasciandosi andare ai ricordi di quando da ragazzo percorreva quelle strade. Era cambiata parecchio da quando se ne era andato, ma era innegabile il legame che aveva con quella città. La sua infanzia, le sue amicizie e i suoi trascorsi turbolenti erano per la maggior parte avvenuti lì; accompagnandolo nella sua vita e facendogli da sfondo nelle sue avventure.


“Allora Daryos, sei nuovo qui alla capitale?
Gli domandò Mark indaffarato a sistemare le ultime scartoffie di pagamento.

“In parte… È cambiata parecchio dall’ultima volta che ci sono stato. Ma ho passato i primi anni della mia vita qui… o meglio, per la maggior parte nei bassifondi.”
Mark si fermò di colpo, alzando il suo sguardo e disegnando sul suo volto un ampio sorriso.

“Ah, allora abbiamo qualcosa in comune! Sai, è cambiato molto anche lì, che ne dici se te lo mostro? Potrebbe farti piacere.”
Daryos sorrise appena. Da quando era ritornato alla capitale non aveva avuto modo di rivisitare quella parte della città, che lo aveva visto crescere e che in qualche modo lo aveva “formato”. Decise di seguire Mark, spinto tanto dalla curiosità quanto soprattutto dalla nostalgia.

Superarono un pesante cancello di ferro, che cigolava rumorosamente quando veniva alzato. Il rumore del mare si faceva sempre più intenso, risvegliando in lui sensazioni lontane ma mai dimenticate. I vicoli prendevano una forma sempre più stretta e ansiogena, dove case malandate e mal tenute si comprimevano in modo caotico.
Mentre percorreva lentamente quelle strade mal tenute gli sembrava di essere tornato ragazzino. Si vedeva correre per qui vicoli nel tentativo di sfuggire alle guardie cittadine. Girovagare annoiato in compagnia dei suoi compari, ridendo e vantandosi di qualche improbabile impresa e atteggiandosi a “padroni” di quel posto.

Ricordava i volti familiari dei suoi compagni dai nomignoli assurdi:
“Gatta morta”, una ragazzina intraprendente e dall’agilità fuori dal comune, che ti ammaliava con il suo fascino mentre ti derubava.

“Barilotto”, un corpulento ragazzone che amava mangiare e fare a botte, ma quando c’era da scappare velocemente era il più veloce di tutti. Rotolando, letteralmente, a perdifiato!

“Ratto”, un tipo mingherlino ma capace di intrufolarsi ovunque. Il suo viso allungato e quasi appuntito, oltre ai due enormi incisivi che uscivano fuori dalla bocca, lo avevano segnato a vita.

“Cass la rossa”, l’unica che cercava di tenere fuori dai guai tutti loro. Era sempre stata una sorta di sorella maggiore su cui poter contare… Ora costretta a lavorare in un bordello pur di sopravvivere.

E infine il suo migliore amico, un fratello per Daryos.

Varik “La mente”, ragazzo carismatico e dalla mente acuta. Buona parte degli improbabili piani a cui Daryos partecipò, furono escogitati da lui. Molti dei quali, vedevano lo stesso Daryos alla fine in qualche cella o alla gogna per settimane. Forse l’unico, di quella piccola compagnia, ad aver visto la sua vita cambiare in meglio, crescendo.

In quel buco dimenticato dagli Dei, Daryos aveva trascorso i migliori anni della sua vita, circondato da amici di ogni tipo: Una famiglia, che il destino gli aveva negato dalla nascita.



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I due si fermarono in un piccolo spiazzo adibito per i cavalli. Mark non mentiva, i Bassifondi era veramente cambiati. Ma come per una prostituta di bassa lega: puoi cambiarle i vestiti quanto vuoi, difficilmente diventerà una contessa!

Così era quel posto. Anche dopo lunghi anni rivedeva nelle facce dei suoi abitanti le stesse difficoltà, la stessa rassegnazione agli eventi della vita. Gli stessi problemi che sperava essersi lasciato alle spalle, ma che ora lo vedevano invischiato nuovamente.
Mark gli mostrò il piccolo mercato che gli abitanti avevano allestito. Una casa più curata e tenuta era diventata una specie di Cappella, dove al suo interno si officiavano i riti per quelle povere anime. Infatti, a detta di quell’uomo, faceva parte di una specie di gruppo che voleva risollevare le sorti dei Bassifondi.

Daryos non nascose il suo scetticismo. Conosceva bene questi “nobili intenti” e ne voleva stare alla larga, dopotutto aveva già i suoi problemi. Tuttavia aveva bisogno di aiuto e di informazioni e in quel luogo sapeva di poterli trovare… Ma a quale prezzo, ancora non lo sapeva.
Riferì a Mark delle sue vicissitudini. Sapeva che era rischioso, ma sperava che la sua ricerca di informazioni potesse attirare l’attenzione di chi gli aveva affidato quella strana consegna, ormai settimane prima. Un inizio da cui partire per sbrogliare quella intricata matassa.
L’uomo sembrava non saperne nulla, ma lo incuriosiva quel particolare susseguirsi degli eventi. Decise che lo avrebbe aiutato chiedendo informazioni in giro.


“Meglio di nulla…”
Pensò Daryos mentre tornava al villaggio di Nosper.

“È rischioso, ma spero che smuovendo un po’ le acque riesca a far abboccare qualcosa… Certo, speriamo non abbocchi qualche pesce troppo grosso e difficile da gestire.”
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By Michael604
#51788
“Non sono io a cercare guai, sono loro che trovano me!”


Daryos si fermò alcuni secondi, tendendo l’orecchio e scrutando le vicinanze. Da sotto la tesa del suo cappello i suoi occhi grigi brillavano, saettando in ogni direzione della foresta. Le fronde degli alberi facevano da schermo alla luce del sole, anche se alcuni raggi riuscivano a penetrare il fitto del fogliame; come strali di luce capaci di tagliare finemente anche la più nera oscurità.
Rimase immobile e vigile per alcuni istanti. La foresta sembrava silente e tranquilla, cosa che lo fece rilassare. Vibrò altri colpi, precisi e con forza, nella corteccia dell’albero ormai quasi del tutto piegato dal suo stesso peso, in procinto di cadere.

Si fermò a riprendere fiato, asciugandosi il sudore dalla fronte. Non poteva negare che tagliare legna fosse uno dei tanti lavori che odiava fare. Così faticoso, così ingrato… ma che pagava anche bene.
In più, doveva rimanere costantemente in allerta. Non tanto per i ladri o per qualche creatura pericolosa e ostile, oh no! Ma per le fastidiose guardie cittadine che come segugi potevano braccare lui e altri poveri sventurati senza il “prezioso” permesso per la raccolta delle risorse!

Tuttavia, si rifiutava di pagare un insulso permesso per tagliare della semplice legna. Considerando anche tutta la fatica nel tagliarla, nel trasportarla e nel cercare poi qualche acquirente a cui venderla. Non vedeva il motivo di perdere altri soldi e tempo per dell’inutile burocrazia!
Se le cose gli andavano male, poteva sempre ricorrere a tutto il suo fascino e alla sua tipica parlantina per arrancare scuse, anche le più assurde, pur di levarsi dall’impiccio!

Era in procinto di continuare il suo lavoro quando all’improvviso una voce dietro le sue spalle lo fece trasalire. Si voltò di scatto, tanto che per poco non lanciò via involontariamente pure l’accetta che stringeva tra le mani.
Davanti a lui vi era un tipo strano e poco raccomandabile. Non mostrava intenzioni ostili, tuttavia Daryos era già pronto ad immaginarsi il peggio. Tra tutte le morti possibili, quella mentre tagliava legna in mezzo al nulla gli sembrava la peggiore.

Si immaginava il suo ultimo respiro di vita sprofondando tra il morbido, soave e abbondante seno di qualche prosperosa cortigiana. Dopo una nottata piena di esuberanti, ed evidentemente alquanto stancanti, passioni!
Tuttavia la fortuna gli sorrise ancora una volta, perché quello strano individuo non aveva intenzioni ostili. Anzi, voleva che recapitasse un messaggio alla Capitale. Un messaggio strano tanto quanto quell’insolito incontro.



“I tempi della luce sono terminati. Le catene saranno spezzate!
I nobili moriranno…
e i liberi ritorneranno a governare sulle terre rubate dal bambino!”

Daryos rimase confuso da quelle parole. Non aveva idea di cosa significassero, anche se qualcosa di simile aveva l’impressione di averlo già udito, molti anni prima.
Lo strano tizio scomparve tra le braccia ombrose della foresta. Foresta, che ritornò poi silenziosa e tranquilla.


“Possibile che tutte a me devono capitare? Fortunatamente vuole solo che io recapiti quello strano messaggio. Pensavo fosse qualche sicario mandato da chissà chi, per quella storia della consegna andata male… Meglio così, suppongo…”
Furono i suoi ultimi pensieri prima di incamminarsi verso la città.


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“Un vecchio amico”


Il giorno dopo quello strano incontro, Daryos tornò ai suoi affari. La vita nei bassifondi gli avevano insegnato nel stare alla larga da eventi così strani e complessi. E poi aveva già i suoi problemi personali a cui badare.

Erano infatti passate parecchie settimane dal suo ritorno ad Hammerheim. Aveva provato a cercare informazioni riguardo le sue vicissitudini ma non ottenne nulla. Possibile che non vi fosse una pista da seguire? Qualche indizio che potesse portarlo dai responsabili di tutti i suoi recenti problemi? Che fine aveva fatto Gustav?

Il tempo passava, e con esso anche la speranza di sbrogliare quella matassa di eventi così strani e particolari.
Almeno fino a quando…

Il sole era alto ormai da parecchie ore, riscaldando l’aria. Una leggera brezza che arrivava dalla vicina costa portava con sé non solo l’odore del mare ma anche di tutti quei profumi e aromi tipici primaverili.
Daryos era intento a sistemare le sue cose dal custode di Nosper. Dentro quel baule regnava infatti il caos più puro, tanto che sembrava possedere quasi vita propria.

Si sentì tirare improvvisamente i calzoni con due leggeri strattoni. Si voltò lentamente ma non vide nulla davanti a sé. Questo perché guardava troppo in alto. Abbassando lo sguardo infatti vide un piccolo bambino. Era molto giovane, non arrivandogli neanche al ginocchio. Eppure nel suo sguardo brillava una luce inconfondibile. Non sembrava intimorito dalla figura di Daryos, anzi lo scrutava con i suoi piccoli occhi verdi con fare attento, strofinandosi il naso sporco di terra e di chissà quale altro lerciume.


“Cosa vuoi ragazzo… non vedi che sono occupato?”
Disse Daryos arricciandosi il baffo come era solito fare.

“Sei tu Daryos? Dalla descrizione che mi ha dato devi essere tu!”
L’uomo incrociò le braccia roteando gli occhi. Sbuffò appena, prima di rispondere al bambino

“Senti… qualsiasi cosa ti abbia detto tua madre io non sono tuo padre… d’accordo? Ci dev’essere qualche malinteso o qualcosa di simile quindi…”
“No! Non ho una mamma, vivo con mia zia vicino al porto. Un uomo mi ha chiesto di consegnarti questa. Ha detto che mi avresti dato 10 monete!”
Il bambino gli porse una lettera quasi tutta spiegazzata e ripiegata malamente. La qualità della carta però e il particolare nastro rosso che la legava sembravano costosi. Sicuramente un bambino del genere non poteva permetterselo.

“COSA? Dai qua…”
Daryos prese la lettera dalle sue piccola mani. Slegò il nastro e cominciò a leggere.
La sua espressione passo dalla curiosità alla sorpresa, finendo poi nel dubbio. Guardò per un attimo il bambino, poi gli chiese.


“Quando ti è stato detto di consegnarmela? Hai visto chi ti ha consegnato questa lettera?”
“Oggi! E no, aveva un cappuccio… mi ha detto che se la consegnavo a Daryos a Nosper mi avrebbe dato 10 monete d’oro. Sei tu no? Posso avere le mie monete?”
L’uomo roteò gli occhi indeciso se crede al bambino o meno. Dall’aspetto sembrava un ragazzo come tanti, forse viveva nella zona più umile della città. Ma c’era qualcosa nel suo sguardo che gli sembrava familiare.
Alla fine, vedendo l’insistenza con la quale il ragazzo manteneva la mano tesa aspettando la sua ricompensa, cedette e gli consegno le 10 monete.


“Non farti derubare e non spenderle tutte assieme!”
Gli disse prima di vederlo correre via in direzione della città.
Aprì nuovamente la lettera, leggendola con calma. La calligrafia era ben curata e il messaggio era semplice ma alquanto specifico. Cosa che lo insospettì non poco. Si poteva fidare?
C’era solo un modo per scoprirlo.


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By Michael604
#51886
“Chi non muore…”

Nut brillava intensa nel cielo contornato di stelle. Le luci delle torce irradiavano la loro luce con intensità, danzando sinuosamente. Qualche sfortunato si preparava a passare la notte all’addiaccio coprendosi dal freddo con quello che riusciva a trovare. Dai canali di scolo si alzava una leggera nebbiolina, che permeava l’ambiente.

Aveva appena passato la serata a discutere con alcune persone, originarie come lui dei bassifondi, e che paventavano l’idea di formare una compagnia mercantile.
Daryos non amava commerciare, anche se i soldi di certo non gli facevano schifo. Tuttavia vi era un limite molto sottile e particolare che non voleva superare. Molte discussioni si focalizzavano sul mero guadagno, sul cercare di farsi un nome e una reputazione, arricchendosi. Ma a lui non importava molto di quelle cose.

Aveva assaggiato la libertà che la Dea gli aveva mostrato solcando le onde. La sensazione di un intero mare infinito da esplorare e da scoprire, dove non conta quante monete hai nel borsello o di quanti titoli ti puoi fregiare. Tra le onde era libero da tutti quei fardelli che la società si era costruita e che, con inganno, facevano leva sull’avidità dell’uomo. Sulle sue paure e angosce: La paura della povertà e della privazione, la paura di non essere considerato importante o utile… Il terrore della vita, che con le sue difficoltà cerca di schiacciarti.

Il mare era un ottimo maestro. Tra le onde infatti si cela il pericolo e l’imprevisto, non importa quanto tu possa prepararti, il mare saprà sempre come sorprenderti. Tuttavia, è proprio tra i suoi capricciosi flutti che si cela un grande insegnamento. Quando affronti le sfide delle onde, con coraggio e determinazione sei veramente libero.
Puoi perdere un prezioso carico di merci, venire sballottato tra le coste e gli scogli, venire maledetto dalla sfortuna e incappare in una violenta tempesta. Sono quelle le situazioni che ti spingono a reagire. Ad affrontare le avversità con forza e determinazione. Ma non per gloria o guadagno, ma per mera sopravvivenza.

È lì, che comprendi di come una borsa piena di monete, un nome prestigioso con titoli ricercati non valgono nulla. In mezzo al freddo abbraccio delle onde conta solo quanto è grande la tua voglia di sopravvivere. Il lottare per riemergere dagli abissi, aggrappandoti a tutto ciò che hai di più importante nella vita.
Daryos aveva appena scalfito questi insegnamenti. Da quando era fuggito da HammerHeim, cogliendo al volo l’opportunità che un vecchio marinaio, Gustav, gli aveva offerto, si sentiva già profondamente cambiato. I luoghi della sua infanzia, dove aveva trascorso alcuni tra i migliori momenti della sua vita, ora li vedeva e li percepiva diversi. Come se una gigantesca illusione avesse perso il suo potere, e si mostrasse per quello che realmente era.




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Rientrò nella locanda dove poco prima aveva discusso con le altre persone. Una chiacchierata interessante, ma non priva di noiose discussioni su leggi e burocrazie.
L’interno della locanda era ampio ma spoglio, trascurato e mal arredato. Il posto perfetto per concludere loschi affari o per affogare le proprie disgrazie in un mare di alcol. Vi erano rimasti pochi avventori, la maggior parte dei quali non alzarono nemmeno la testa quando la figura di Daryos fece il suo ingresso. Eppure aveva la sensazione di essere costantemente osservato.
L’uomo si guardò attorno arricciandosi un baffo e scrutando la sala leggermente illuminata. Il bisbigliare di qualche avventore contornavano un’atmosfera silenziosa quanto surreale. Percorse a grandi passi la sala fino ad arrivare ad un grande tavolo nel fondo. Era il più appartato, semi nascosto da un parte del muro della taverna.

Si sedette in attesa, allungando le gambe sotto al tavolo e arrotolandosi un sigaro di erbapipa. Una debole fiamma gli illuminò il viso, teso e attento, nascosto dall’ombra del suo cappello. Ampi sbuffi di fumo si alzarono verso il soffitto, agitandosi caoticamente trasmettendo tutta l’impazienza che lo alimentavano.
Non venne nessuno a chiedergli se prendesse qualcosa, il che lo fece sentire ancora più a disagio. Toccò con la mano destra l’elsa del suo stocco, rilassandosi leggermente sapendo che nei peggiori dei casi poteva contare sul suo prezioso ferro. Vero, era da solo e poteva facilmente essere circondato in quell’angolo privo di vie di fuga. Tuttavia se il messaggio diceva il vero, era un rischio che doveva correre se voleva informazioni preziose.

Si era domandato più volte su chi potesse essere questo “vecchio amico”. Ormai sapeva che molti dei suoi amici e contatti erano o morti o fuggiti come lui, in cerca di fortuna.
Forse era un maldestro modo per catturare la sua attenzione, attirandolo in una trappola. Ma era un rischio che doveva correre, perché per quanto ne sapeva la vita del suo mentore era in pericolo.
Passarono decine di minuti, ma nulla si mosse. Qualche avventore si alzò ciondolando e dirigendosi a tentoni verso l’uscita, amplificando con la sua assenza l’immensità e il silenzio della sala.
Daryos tamburellava le dita della mano sul tavolo di legno. Una bottiglia di liquore, che faceva parte della sua riserva personale, era ormai inesorabilmente vuota. Alcuni segni di bruciatura e mozziconi di sigaro erano sparpagliati davanti a lui, segno dell’impazienza che montava rapidamente.
Stava per alzarsi dal tavolo quando una voce lo fece trasalire, rischiando per poco di farlo cadere sotto al tavolo.

Si voltò di scatto, portando istintivamente la mano sull’elsa del suo stocco. Si fermò di colpo quando vide meglio chi aveva davanti a sé. Un largo sorriso si disegnò sul suo volto, scoppiando poi in una sincera risata.


“Ma cosa… Varik? Sei tu!”


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“…. Si rivede!”

Aveva davanti a sé un giovane uomo, più giovane di lui. Non portava la barba e i suoi lineamenti ne risaltavano la cura e la bellezza. Un semplice cerchietto dorato gli adornava la fronte con i capelli lunghi e corvini che gli scendevano fin quasi alle spalle. I suoi occhi azzurri spiccavano per l’intensità dello sguardo, con cui era solito osservare attento e calcolatore. Un flebile sorriso si disegnò sul suo volto quando Daryos lo riconobbe.

“Figlio di buona donna! Che ci fai qui? Mi hai spaventato sai?”
Varik si sedette comodo, vicino all’amico che non vedeva ormai da tempo. Osservò il disordine sul tavolo scuotendo appena il capo.

“Vedo che dopo tutti questi anni la pazienza non è tra le tue virtù. Ancora ti ostini a bere quello schifoso liquore?”
“Ah… vero, ora il signorino è dei piani alti della città. Per lui solo vino dunque?”
Gli domandò Daryos lanciandogli una frecciatina con lo sguardo, ma pronto ad alzarsi per prendere una bottiglia di vino per l’amico.

“Non ti preoccupare vecchio mio. Siediti, e dimmi che hai combinato dall’ultima volta che ci siamo visti.”
Daryos si rimise a sedere, prendendo un altro sigaro dalla sua sacca. Lo arrotolò con cura continuando a guardare Varik.

“Bè sai com’è… Mi sono dato da fare! Principalmente per mare.”
“Mmmh… certo. Ricordo come ti davi da fare quando eravamo ragazzi. E a giudicare da quel che ho sentito, vedo che almeno in quello non hai perso il tuo tocco. Ovunque ci sia un guaio di qualche tipo, sicuramente Daryos sarà presente… Volente o meno. Giusto?”
Daryos fece alcune smorfie contrariato, accendendosi il sigaro subito dopo. Ambi sbuffi di fumo fuoriuscivano dalla bocca, volteggiando poi verso l’alto.

“Mh, non so di cosa tu stia parlando. Ormai ho messo quasi la testa apposto sai? Cerco di stare lontano dai guai… poi se sono i guai a trovare me non posso farci nulla!”
Gli rispose l’uomo con finta aria innocente mentre mordicchiava il suo sigaro.

Varik scosse nuovamente il capo conoscendo bene l’uomo che aveva davanti. Avevano trascorso la loro infanzia tra piccoli furti e piani improbabili. Indimenticabili le fughe rocambolesche tra gli stretti vicoli dei bassifondi.

“Ho letto di un tuo messaggio nella bacheca cittadina. Ti è andata bene, ora ti sei messo a fare anche il messaggero?”

“Ah quello…”

Daryos agitò appena la mano, come per allontanare qualche probabile rimprovero in arrivo.


“Un incontro strano, vero. Ma cerco di rimanerne fuori. Ho già i miei problemi…”
“So anche di questo, sì.”
Gli rispose Varik osservandolo seriamente.
Daryos spense il sigaro ormai consumato sul tavolo, aggiungendoci così l’ennesima bruciatura. SI sporse in avanti verso l’amico osservandolo attentamente.


“Dunque il “vecchio amico” del messaggio sei tu?”
Varik incrociò le braccia poggiandosi leggermente al tavolo. Continuava ad osservare il suo vecchio amico sondandolo con il suo sguardo freddo e calcolatore. Dopo tutti quegli anni, era ancora capace di trafiggere con il solo sguardo qualsiasi persona gli si parasse davanti.

“Esatto. Vedo che hai ricevuto la mia lettera. Ammetto che non mi fidavo così tanto del mio piccolo messaggero.”
“Bè mi è costato dieci monete… ma sembrava un ragazzo in gamba. Perché usare un ragazzo per avvicinarmi? Non era meglio venirmi a trovare di persona? Avrei risparmiato qualcosina anche…”
Varik rifletté sulle parole dell’amico, scoppiando a ridere subito dopo. Nel vedere la faccia perplessa dell’uomo aggiunse.

“Ah Daryos sei sempre stato ingenuo. Avevo già pagato il ragazzo per consegnarti il messaggio! Lo hai pagato un’altra volta? Ah… fortunato chi fa affari con te, vecchio mio… Sicuramente non ci rimetterà mai!”
Daryos sbuffò appena, maledicendo a bassa voce il giovane ragazzo che gli aveva consegnato il messaggio. Si poggiò al muro cercando di elaborare una possibile scusa.

“Comunque…”
Continuò Varik addolcendo il suo sguardo verso l’amico

“Ho preferito usare un messo. Non avevo il tempo di venirti a trovare. Ho numerosi impegni che mi tengono occupato al momento. E poi volevo fare una rimpatriata qui nei bassifondi, dove ne abbiamo passate tante, assieme.”
“Sì… ricordo le nostre scorribande notturne… Bei tempi… quando eravamo giovani e ignari dei veri problemi. La nostra unica preoccupazione era avere qualche soldo da spendere, e nel non farcelo rubare a nostra volta.”
Varik annuì appena, spostò il suo sguardo verso l’uscita della locanda con fare pensieroso, poi si rivolse nuovamente all’amico.

“Vieni… andiamo fuori. Ti ho promesso delle informazione nel messaggio, ma non qui. Facciamo due passi!”
“Come? Ora? A quest’ora della notte?”
Domandò Daryos perplesso.

“Ora certo! Sarà un po’ come ai vecchi tempi. Nessun piano improbabile Daryos, nessuna fuga rocambolesca per le strade dei bassifondi questa volta, solo tu ed io ricordando i vecchi tempi.”
Appena finì di parlare Varik si alzò lentamente dirigendosi verso l’uscita della locanda.
Daryos rimase alcuni istanti seduto, meditando sul da farsi.


“Aaahh… è sempre così, con lui anche una semplice passeggiata può trasformarsi in qualcosa di grosso e pericoloso…”
Si alzò lentamente, prendendo le sue cose e incamminandosi verso l’uscita della locanda.
Borbottò tra sé, tra smorfie e imprecazioni. Sul suo volto si disegnò però un sorriso ampio e sincero, pregustando già l’ennesima guaio in cui si sarebbero cacciati.
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#51910
“Una Passeggiata Tranquilla”

Due figure avanzavano lentamente tra gli stretti vicoli avvolti dalla notte. Le loro sagome infatti si fondevano con le ombre proiettate dagli edifici, bui e silenziosi. Evitando quasi istintivamente la debole luce proveniente da alcune finestre e dalle torce.
Torce, che tuttavia non bastavano ad illuminare completamente le strade, ma che con la loro luce creavano comunque un alone che infondeva sicurezza; come tanti piccoli fari ad indicare un porto sicuro in un mare nero e profondo.

Vi erano anche pochi rumori nell’aria. Il debole e ritmico suono delle onde, proveniente dal porto, riempiva il tutto. Accompagnando, con il suo dolce suono, il riposo degli abitanti.

Arrivarono ad un piccolo bivio, dove le strade si dividevano in varie direzioni. Il piccolo crocevia era presidiato dalle guardie della città. Le loro armature riflettevano debolmente la luce delle lanterne che portavano con se, parlottando tra di loro palesemente annoiate. Vicino vi era anche un semplice barile, usato come rudimentale tavolo per giocare a carte nel tentativo di ingannare il tempo. Una di loro trangugiava avidamente da una bottiglia, barcollando sorridente.

I due si fermarono istintivamente. I lunghi anni passati ad evitare le guardie ancora gli risvegliava un particolare istinto: come di una potenziale preda in pericolo, che deve fare del silenzio e del non essere visto, la sua migliore arma.

Varik scrutò la situazione in silenzio. Difficile dire cosa la sua abile mente stesse architettando, sicuramente nulla di buono. Si voltò poi verso l’amico, sussurrandogli qualcosa all’orecchio.
Daryos sgranò gli occhi sbuffando dalle narici come un toro iracondo. Il suo sguardo si accese mostrando tutta la sua contrarietà.

“Avevi detto niente avventure o cose idiote… E ora mi proponi di fare cosa?”


“Shh! Ti sentiranno! Andiamo… non è nulla di pericoloso, cosa vuoi che ci facciano per così poco? Nel peggiore dei casi, ho il borsello pieno di monete! Basterà quello per fargli dimenticare l’accaduto.”


Gli rispose Varik a bassa voce, controllando attentamente i movimenti delle guardie che sembravano non averli notati.

“Ciò non toglie che sia un’idea idiota! Rischiare la nottata in cella per… per una cosa così inutile e che possiamo avere in altri modi senza problemi? ”


Gli rispose Daryos ancora visibilmente contrariato. Fece per voltarsi e tornare sui suoi passi, quando sentì la mano dell’amico sulla sua spalla.

“Capisco… Bè sì, forse hai ragione. È una pessima idea… ormai cominci anche ad avere una certa età e sei palesemente fuori forma… perfino quelle guardie annoiate potrebbero risultare ostiche da gestire…”


Lo incalzò Varik. Conosceva bene il suo compagno di avventura, riuscendo ancora con maestria a punzecchiarlo nell’orgoglio pur di convincerlo.
La figura di Daryos infatti si fermò di colpo. Rimase immobile per alcuni lunghi istanti, come se fosse combattuto. Da una parte il buon senso, molto poco certo, ma in parte presente. Dall’altra invece il suo istinto che lo spingeva ad affrontare le situazione di petto, quando non era intento a scappare per salvarsi la vita.
Poi, si voltò di scatto posando i suoi occhi grigi sull’amico. Sotto i baffi e la barba malamente tenuta si formò un sorriso sprezzante e malizioso.

“Per le tette di Danu… Che devo fare?”



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“Fuga nei vicoli, con rima!”

Le guardie erano intente a parlottare tra di loro. Sul barile che usavano come tavolo vi erano varie carte da gioco e dadi. Una di loro barcollava tenendo in mano una bottiglia. L’altra, lo osservava ridendo e borbottando qualcosa sulla noia.
Daryos fece alcuni passi verso la zona illuminata dalle torce. Poggiava una mano sulla tesa del cappello cercando di celare il suo viso. Le guardie si voltarono di scatto verso di lui, allarmate e colte alla sprovvista.


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Una di loro gli si avvicinò con una lanterna in mano e la spada sguainata nell’altra. Si fermò a pochi passi da lui intimandogli qualcosa.

“Tu! Fermo! Fatti riconoscere… subito!”


Daryos non alzò lo sguardo ma si fermò mantenendo una certa distanza. Inclinò leggermente la testa per adocchiare la guardia senza farsi riconoscere. Poi rispose.

“Nella notte vago, con dubbi assai agitati
Nelle strade interrogandomi…
chi possa placare i miei pensieri tormentati.
Perché un dubbio mi attanaglia e mi preme nella mente
Chi tra le guardie è più stupido?
Quelle dei bassifondi? Probabilmente…”


Le due guardie si guardarono con espressione interrogativa. Osservavano l’uomo davanti a sé senza capire chi fosse e cosa volesse. Quella più vicino cercò di replicare.

“Sei ubriaco? Fatti riconoscere subito! Altrimenti…”


Daryos, ancora cercando di celare il suo viso da sotto il cappello, replicò incalzandolo.

“Ed ecco la conferma! Non ho più dubbio alcuno…
minacciano, ma con espressione ebete…
Spaventare? Con quella faccia? Proprio nessuno…”


L’espressione della guardia mutò lentamente in una smorfia infastidita, si voltò verso il compagno in un cennò d’intesa. L’altro estrasse la spada, tastando a tentoni per cercare la sua lanterna sopra il barile pur di non perdere di vista quello strano tizio.
Daryos li osservò attento, maledicendosi per aver seguito Varik in un altro dei suoi stupidi piani. Varik, che uscì dalle ombre appena dietro la seconda guardia trattenendo a stento le risate. La sua mano si allungava sopra al barile delle guardie nel tentativo di prendere qualcosa, ma con movimenti troppo lenti. Cosa che fece agitare Daryos.

“Evidentemente qui c’è qualcuno che ha bisogno di una lezione… poco male, ci stavamo giusto annoiando…”


Minacciarono le guardie che si muovevano lentamente senza perderlo di vista. Il loro piano era quello di circondarlo e probabilmente malmenarlo come si deve.
Daryos cercò di mantenere la calma, improvvisando altre strofe in rima per guadagnare tempo.

“Ora ne spunta un’altra, ancora meno intelligente della prima…
Minaccia anche lei? Non vi è forse piaciuta la mia rima?
Tentare di aggirarmi, che cosa assai banale!
Tenervi occupati tutto il tempo… quello sì, era il piano originale.
Del mio aiutante non vi siete nemmeno accorti?
Belle guardie… A saperlo, invece di perder tempo con voi…
Potevo far visita direttamente alle vostre belle consorti!”


“Figlio di un cane! Vieni qui!”


Una guardia si gettò nel tentativo di prendere Daryos al volo, che però la evitò con agilità, iniziando a correre a perdifiato tra i vicoli bui dei bassifondi. La mano teneva stretta il cappello calcato a forza in testa per non perderlo, mentre il cuore gli batteva con forza nel petto. La luce di Nut brillava intensa illuminandogli la via, aiutandolo ad evitare ogni forma di ostacolo: Barili, carretti lasciati in mezzo la strada e sporcizia.

La fuga fu rocambolesca e piena di imprevisti. Molti vicoli erano cambiati dalle sue ultime scorribande. In alcuni punti dovette pure arrampicarsi sopra qualche balcone pur di sfuggire alle guardie che lo braccavano come cani da caccia.
Si infilò in un vicolo stretto ma che ricordava portasse al porto. Rimase al buio in ascolto. Il respiro era pesante ma l’adrenalina spingevano i suoi muscoli a scatti agili ed esplosivi. Vide una sagoma nera e ricurva spostarsi per la strada. Uscì dal vicolo andandogli incontro, controllando ossessivamente ogni direzione per paura delle guardie. Era il suo compagno di avventura, Varik.
Lo spinse vicino a dei barili per il pesce, nascondendovici dietro

“Dei, sei tu! Cos’era quello? Hai sorpreso anche me! Hai cercato di attirare la loro attenzione… in rima?”


Varik trattenne a stento le risate mentre Daryos controllava la zona con attenzione.

“Bè! Mi hai detto di improvvisare... Sei almeno riuscito a prenderla?”


“Ho il bottino con me, tranquillo. Dividiamoci e troviamoci al porto. Non farti beccare questa volta, o chissà quante altre rime dovrai inventare per uscire di prigione!”


Varik si alzò di scatto correndo a perdifiato verso sud, infilandosi agilmente in qualche vicolo. Daryos imprecò a bassa voce continuando a controllare la strada. L’alone di luce si faceva sempre più intenso, segno che le guardie erano ormai vicine. Si rialzò cominciando a correre, maledicendosi più volte.
Aveva imparato che alcune cose erano cambiate durante la sua assenza, ma seguire Varik in uno dei suoi piani… portava sempre inevitabilmente a improbabili fughe per le strade dei bassifondi.


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“Come ai vecchi tempi”

Daryos arrivò finalmente al porto ormai senza fiato. Delle guardie non vi era alcuna traccia ma decise di rimanere comunque vigile per alcuni minuti. Cercò con lo sguardo il suo amico Varik, ma di lui non vi era nessuna traccia. Si guardò allora attorno, riprendendo fiato.
Alcune navi ondeggiavano al lento movimento della marea. La luce della luna illuminava il mare, riflettendosi anche nel pontile di pietra inumidito. Gli mancavano il mare e i porti stranieri in cui ormeggiare. Le peggiori bettole dove andare a riposarsi dopo un lungo viaggio, in compagnia di canaglie di ogni sorta e di abili cortigiane da cui farsi derubare.
Si incamminò lentamente arricciandosi i baffi, come era solito fare quando era perso nei suoi pensieri. Dopo la recente disavventura gli erano tornati alla mente i motivi che lo avevano spinto a lasciare la capitale, ormai 15 anni fa.
Si poggiò ad un semplice muretto in pietra, in attesa. Poco dopo dalle ombre ecco emergere il suo amico.

“Ah… finalmente ti ho trovato. Pensavo al peggio. Come ai vecchi tempi, vero? Non dirmi che non ti mancavano queste nostre scorribande…”


Daryos sbuffò appena, scuotendo il capo.

Varik frugò da sotto il suo mantello, mostrando il tanto agognato bottino preso alle guardie. Si trattava di una semplice bottiglia di liquore, la stessa che le guardie stavano bevendo. La porse a Daryos con un leggero sorriso di trionfo.
L’uomo la prese e la agitò appena. Se la portò vicino al viso annusandola, ritraendosi indietro subito dopo con aria schifata.

“Per le tette di Danu! Sembra piscio… È proprio vero, le guardie dei bassifondi sono le più stupide. Neanche un liquore decente sanno procurarsi.”


Dopo alcune esitazioni tuttavia ne trangugiò alcuni sorsi, incurante di che tipo di liquore potesse trattarsi.
Porse la bottiglia a Varik che però rifiutò ma si appoggiò, per nulla affaticato dalla recente fuga, posando i suoi occhi azzurri e indagatori sull’amico. La sua espressione mutò leggermente facendosi più seria.

“Ricordi la nostra ultima fuga in questi vicoli Daryos? Quella volta andò molto diversamente…”


Daryos sospirò appena. Sul suo viso, varie smorfie prendevano forma mentre con la mente ritornava a quegli eventi di ormai 15 anni prima.

“Quella notte non ce la facevo più a correre, con le guardie così vicine. Ti avevo detto di lasciarmi lì e invece, testardo come sempre, ti sei voluto gettare contro le guardie…”


“Dovevo farlo, avrebbero preso entrambi. Tu eri più gracile di me, la prigione ti avrebbe piegato. Io ormai ero abituato.”


Daryos trangugiò un altro sorso con aria schifata, pulendosi poi malamente con la sua mantellina.
Varik si voltò osservando il mare. Il suo sguardo si perdeva lontano, verso l’orizzonte buio e indefinito.

“Perché Daryos… perché te ne sei andato? Senza dire nulla, così all’improvviso? Pensavamo ti fosse successo qualcosa. Cass ed io eravamo anche disposti ad assaltare la prigione, se necessario… Prima di scoprire che non eri lì.”


Daryos poggiò la bottiglia sul muretto voltandosi anche lui ad osservare il mare. Sentiva la brezza marina accarezzargli i capelli, come una dolce e sensuale amante.

“Ero stanco Varik… Stanco della vita che facevamo, stanco della gogna e delle prigioni. Stanco di rubare per non morire di fame. Non l’avevo previsto. Quando mi hanno catturato mi stavano portando nelle prigioni. Pensavano fossimo legati alle lame silenti. Quella volta facevano sul serio Varik, gliel’ho letto in faccia!

Sfruttai un attimo di esitazione per scappare, senza voltarmi. Ero intenzionato a tornare al porto, come sempre ma il destino ha voluto diversamente… la Dea ha voluto diversamente.
Mentre scappavo con le mani ancora legate, per evitare un’altra ronda mi buttai in una nave carica di merci.
Fu lì che conobbi Gustav. Il vecchio aveva intuito subito cosa stesse succedendo. Avrebbe potuto consegnarmi alle guardie ma invece mi nascose. Poi mi offrì di diventare mozzo. Non sapevo che la partenza era imminente… ma forse è stato meglio così.”


“Ma potevi tornare! Una volta che la situazione si era calmata… Perché non sei tornato?”


“Non volevo farlo… Sapevo che alla fine mi avreste convinto a tornare a quella vita. Non volevo farvi preoccupare o...”


“Ci hai abbandonati Daryos. Eravamo una famiglia e ci hai lasciati! Tra tutti i membri della banda proprio tu! Il più idealista! A Cass sembrava gli avessero trafitto il cuore… E io… Ti ho odiato molto sai?”


Daryos non rispose, incassando i rimproveri dell’amico, proprio come aveva fatto con Cassandra.

“Speravo potessimo tornare ai vecchi tempi Daryos… Ma ora vedo che sei cambiato, forse siamo cambiati entrambi.”


Varik tornò con il suo sguardo verso l’amico. I suoi occhi azzurri brillavano di una luce particolare, ma sempre fredda e controllata. Si ricompose assumendo un’aria nobile e dignitosa.

“Ti ho promesso delle informazioni. Non sono molte ma è già un caso che ne sia venuto a conoscenza.
Un mio contatto, che controlla chi entra e chi esce dalla città per conto mio, mi ha detto di aver visto uno strano tipo, ormai molte settimane fa. Dai modi ricordava il tuo Gustav. Aveva urgenza di prendere due cavalli freschi, a suo dire per Amon.”


“Amon… Gustav odia Amon! Si farebbe tagliare le palle pur di metterci piede… Sei sicuro di questa informazione? Voglio parlare con il tuo contatto!”


Varik agitò appena una mano, come a voler allontanare la richiesta dell’amico.

“No Daryos, conoscendoti attireresti le guardie con le tue domande e metteresti nei guai anche me. Ma… Se mi dai tempo posso indagare meglio.”


“Gustav potrebbe essere in pericolo, ho già perso troppo tempo!”


“Allora parti per Amon e vai a cercarlo, se è andato veramente lì avrà lasciato qualche traccia.”


Daryos si passò una mano sul viso provato. Dopo la rocambolesca fuga, l’adrenalina che lo aveva alimentato ora lasciava il suo posto alla fatica e alla stanchezza.

“Amon… credo sia una falsa pista. Ma non ho altro… Proverò a cercare informazioni da quelle parti, ma… Porco Akkron! Proprio nel territorio di quei rompi palle dei leoni doveva andarsi a cacciare? Appena farò domande vorranno perquisirmi anche i peli del culo!”


Daryos riprese la bottiglia di liquore trangugiandone abbondanti sorsi. Lasciò che il suo gusto forte e orribile si facesse strada nella gola e nello stomaco, contorcendogli le budella.
Varik lo osservò con aria fredda e impassibile, abituato alle sfuriate colorite dell’amico.

“Mentre tu cerchi informazioni lì, io le cercherò qui. Magari sei fortunato. Ma ti costerà sai?”


“Non mi importa… devo trovare quel vecchio. Se non è morto… lo ucciderò io con le mie mani!”


Sul volto impassibile del suo amico comparve una leggera espressione di curiosità. Gli occhi azzurri brillavano illuminati dalla debole luce della luna, che si apprestava ormai a tramontare.

“Perché ostinarti tanto nel cercarlo? Ormai sarà probabilmente morto, che senso ha rischiare per lui?”


Daryos si voltò lentamente. I suoi occhi grigi erano stanchi ma ancora alimentati da una luce intensa, carichi di una profonda determinazione.

“Il vecchio mi ha preso con se, quando poteva tranquillamente lasciarmi al mio destino. Mi ha insegnato tutto quello che sapeva. Ha un pessimo carattere e a volte vorrei spaccargli la faccia per quanto è testardo.
Ma… non mi ha mai abbandonato. Io farò lo stesso con lui. Se è morto voglio dargli una degna sepoltura… e fare a pezzi i responsabili!”


Varik annuì appena, voltandosi lentamente incamminandosi verso la città.

“Capisco… Buona fortuna allora. Se avrò altre informazioni ti manderò a cercare. Non metterti nei guai nel frattempo.”


Si incamminò lentamente seguendo le strade trascurate dei bassifondi, fino a scomparire alla vista.
Daryos si voltò nuovamente verso il mare, perso nei suoi pensieri. Agitò appena la bottiglia che conteneva ormai solo alcuni sorsi di liquore.
Versò il contenuto sulle onde, che cominciavano ad agitarsi con il cambio della marea. Mentre un nuovo giorno prendeva lentamente forma all’orizzonte.
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#53962
“Una forzata assenza”


Era notte ormai inoltrata e insieme al buio era sceso anche il silenzio più completo. Non si sentivano nemmeno le onde del mare, segno che la marea quella notte era calma e placida.
All’interno del locale solo poche luci erano ancora accese, con la cera delle candele ormai quasi del tutto consumata. L’oste russava bellamente appoggiato al bancone, contorcendosi solamente per qualche smorfia del viso e borbottando parole incomprensibile.
Pochi altri avventori erano presenti nella locanda, ma perlopiù erano viaggiatori o disperati in cerca di un posto caldo e asciutto dove passare la notte.

In un angolo del locale però, appartato e malamente illuminato, si agitava una figura con un pesante cappello a tesa larga che gli copriva il volto. Sbuffi di fumo gli fuoriuscivano da sotto il copricapo, preceduti da una debole fiammella che gli illuminavano appena i contorni della bocca.
Era stravaccato su una panca di legno dando le spalle al muro, agitando nervosamente il piede per l’impazienza. Alzava spesso il cappello per scrutare l’entrata, come fosse in attesa di qualcuno di importante.

Non dovette aspettare molto, perché dopo pochi minuti un’altra strana figura, ammantata da un pesante mantello di colore rosso scuro, fece il suo ingresso in locanda. Il pesante cappuccio gli copriva il volto ma si percepiva il suo pesante sguardo sondare con attenzione ogni angolo della locanda. Una volta posato il suo sguardo verso l’uomo con il cappello, gli si avvicinò lentamente mantenendo però un portamento cauto e vigile.

Gli si sedette accanto senza voltarsi a guardarlo, poi incrociando le braccia parlò a bassa voce:

“Allora non sei morto… Ho quasi paura a chiedertelo ma, che fine avevi fatto?”

L’uomo al suo fianco alzò il cappello, lasciando che la debole luce della candela sul tavolo gli illuminasse la faccia. Era magra e provata, con la barba incolta ad accentuarne lo stato.
Mordicchiava nervosamente un sigaro di erbapipa, sbuffando pesanti nuvole di fumo dalle narici. Nel suo sguardo si celava malamente un fuoco selvaggio che ribolliva dalla rabbia.

“No… Non sono morto, ma ci sono andato vicino. Credo di avere una predisposizione per finire nella peggiore merda che ti possa capitare!"

Spense con forza il sigaro sul tavolo di legno, poi si voltò verso la figura incappucciata.

“Sono stato… “forzatamente” trattenuto da alcuni figli di puttana. Che gentilmente mi hanno ospitato in qualche buco di cella chissà dove. Oh ma non era male sai… il rancio era discreto… la cella puzzava anche meno di quelle di Hammerheim.

L’uomo incappucciato dondolo leggermente la testa ascoltando il racconto dell’uomo al suo fianco.

“Daryos… calmati e spiegati meglio. Cosa ricordi esattamente? Cosa è successo dopo il nostro ultimo incontro?”

Daryos si poggiò stizzito con la schiena contro il muro, accendendosi nervosamente un altro sigaro preso al volo dalla sua bisaccia.

“Dall’ultima volta che ci siamo incontrati volevo andare ad Amon per cercare informazioni. L’idea non mi entusiasmava ma le informazioni che mi avevi dato portavano lì.

Tornato a Nosper sono partito per la Guerriera. Arrivato però al ponte sul fiume Eldrin della via del Re incontro due figure. Ho rallentato e le ho tenute d’occhio pronto al peggio.

Appena superate ero pronto a galoppare verso nord quando sentii un dolore alla gamba. Mi avevano conficcato un dardo, forse avvelenato perché caddi da cavallo come un sacco di patate.”

Daryos si agitava nel descrivere l’accaduto, ispirando e sbuffando pesanti nubi di fumo dalla bocca.

“Insomma da quel momento ricordo poco e nulla. Era buio. Mi rimisero in sella ma non potevo fare nulla, il mio corpo era come paralizzato. Anche i suoni sembravano ovattati.
Ho l’impressione però di essere stato portato a nord. O forse era ovest… mmh, in ogni caso mi sono ritrovato poi in una cella.”


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L’uomo incappucciato si portò una mano al mento pensieroso.

“Curioso non ti abbiano ucciso e derubato, anche se al massimo potevano rubarti i debiti che hai con le peggio persone del mondo! In quel caso ti avrebbero pure fatto un favore… Ricordi qualche dettaglio che possa far capire chi fossero? Forse gli stessi che ti avevano assoldato per quel carico, no?”


“Esatto! Non avevano segni particolari o altro. Almeno per quel poco che ho visto. Un tizio però è venuto ad interrogarmi un paio di volte.
Mi ha fatto domande sul carico e su che fine avesse fatto. Ma non gli ho detto nulla. Anche volendo… è vero, non ne so nulla!
E comincio a capirne sempre meno… Una cosa però mi ha colpito, parlavano di quello che sembrava il loro capo a cui dover portare risposte… l’hanno chiamato il “vecchio G”.”


“Il vecchio G? Non conosco nessuno che si fa chiamare così… Tu hai qualche idea?”

Daryos annuì appena spegnendo con forza l’ennesimo sigaro sul tavolo di legno.


“I guai, non finiscono mai!”


I due uscirono, sotto la notte buia illuminata malamente da qualche stella nel cielo. Le luci delle abitazioni erano spente ma da qualche finestra si potevano ancora notare deboli fasci di luce, con ombre contorte che le attraversavano: I Bassifondi e i loro “affari” non dormivano mai…

“Ora cosa farai? Da solo ti farai ammazzare, unisciti a me e insieme troveremo una soluzione. Mi farebbe comodo il tuo aiuto sai?”

Daryos si calcò il pesante cappello sulla testa, arricciandosi il baffo come era solito fare.

“No Varik, grazie ma stai già facendo troppo. È una cosa che devo risolvere da solo… Se è veramente come penso allora è diventata una cosa personale…”


“Non mi hai detto come sei riuscito a fuggire. Hai dovuto combattere?”


“No, è questa la cosa ancora più strana. Dopo essere stato picchiato con forza per l’ennesima volta, mi sono risvegliato in mezzo ad un bosco con addosso solo alcuni stracci.”


“Sono felice per te ovviamente ma… perché non ucciderti?”


“Perché quei cani pensano che li porterò alla consegna che dovevo fare, pensano io l’abbia nascosta e che la storia di averla “perduta” in un assalto sia falsa.”


“Ed è vero? L’hai nascosta?”


Daryos alzò lo sguardo verso il cielo buio come a volerlo contemplare. Si arricciò il baffo per alcuni istanti, poi si voltò verso l’amico. Sulle sue labbra si disegnò un leggero ghigno prima di congedarsi con un rapido cenno del capo e scomparire nelle ombre dei vicoli bui e malfamati dei Bassifondi


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#54029
“Notti insonni”


Spirava un vento leggero e freddo. Le chiome degli alberi ondeggiavano al suo tocco con fare lento e sinuoso simili a una danza. Il rumore delle onde, che si infrangevano sulle coste intagliate e modellate dalla forza del mare con perizia e pazienza, riempivano l’aria notturna.
Poche luci illuminavano le zone circostanti. Quelle all’interno delle case umili ma accoglienti dei contadini, erano ormai spente da tempo.

Il cielo tuttavia era limpido e contornato da una moltitudine di stelle; capaci di prendere le forme più strane quanto assurde con la giusta dose di fantasia e conoscenza. Forme che rievocavano miti e leggende, ma capaci anche di essere una solida guida, per chi rischiava di perdersi nella nera oscurità.
Daryos era disteso sull’erba sotto un grande albero ai confini del villaggio di Nosper. L’ora era tarda ma non riusciva a prendere sonno, assalito da pensieri vorticosi capaci di attanagliarlo nel profondo.
Ripensava ossessivamente alla sua forzata prigionia. Non tanto per le angherie subite, a quello era abituato ormai, ma agli strani eventi che potevano averla messa in moto.

Sapeva di avere debiti con la gente sbagliata, sapeva anche che aveva una particolare abilità nel cacciarsi nei guai più assurdi e più grandi di lui, ma questa volta si sentiva a disagio. Per ora solo una sensazione, forse alimentata dal suo istinto, ma capace di metterlo in allerta verso qualcosa di ancora ignoto.
Mordicchiò il sigaro di erbapipa che teneva stretto tra le labbra e sotto una corta barba mal curata. Sbuffi di fumo si alzavano nel cielo fondendosi lentamente con le tenebre. Osservava le stelle sovrappensiero, rimuginando su quanto gli era accaduto, e alla sua prossima mossa.
Non aveva molte scelte. Se voleva veramente capire in quale guaio si era involontariamente cacciato dove raccogliere altre prove. Ma doveva farlo da solo. Troppo rischioso coinvolgere altre persone. Anzi, il dubbio insinuava persino il dover guardarsi anche dai suoi “amici” di vecchia data… Quelli rimasti vivi almeno.

Ripensava alla conversazione avuta tra due dei suoi carcerieri. Quel “Vecchio G” lo tormentava e allo stesso tempo lo insospettiva.
Possibile che “il vecchio G” fosse il suo mentore Gustav? Possibile ci fosse lui dietro le sue recenti disgrazie?
Il vecchio aveva molti difetti e molti debiti… ma l’uomo che aveva conosciuto anni prima non lo avrebbe mai coinvolto in questa faccenda. Ma le persone possono cambiare… Non sempre in meglio.

“Il vecchio G… Gustav non si farebbe mai chiamare così. Conoscendolo avrebbe trovato qualche nome idiota degno di lui. Tipo… “Il domatore di onde e baldracche”, oppure… “Il signore del mare di grog”… o ancora… “L’uomo dal “remo” possente”.

Ma l’ho conosciuto veramente? Possibile io abbai conosciuto una persona diversa? In che situazione si è cacciato se ha dovuto tradire anche i suoi uomini in questo modo…”

Daryos mordicchiava nervosamente il suo sigaro, che ormai rischiava di sbriciolarsi. Poco dopo lo sputò con noncuranza verso l’erba per poi alzarsi velocemente tornando al villaggio.



“Serve testa e preparazione!”



“Ecco quello che ci vuole… testa e preparazione! La testa è ancora attaccata al corpo, ed è un bene, vuol dire che posso usarla per pensare ad un piano. Quanto alla preparazione… merda! Serviranno soldi e allenamento… e un posto tranquillo dove poter stare per un po’.

Se voglio esplorare bene le zone circostanti devo prima raccogliere informazioni. Ma chiedere troppo in giro non è saggio. Probabilmente verrò osservato e seguito, devo muovermi con cautela.”

Borbottava tra se, ondeggiando in sella al suo ronzino di colore grigio. La povera bestia era vecchia e mal allenata, ma quando c’era da correre per salvarsi la vita sapeva il fatto suo. Certo, questo non garantiva di svignarsela con il suo cavaliere ancora in groppa!

Durante la notte aveva pensato a una specie di piano d’azione. Fare progetti ed elaborare piani non era il suo forte, preferiva agire, ma per quella particolare situazione doveva soppesare bene i suoi prossimi passi.
Decise di cerca un posto tranquillo e relativamente vicino alle zone che doveva esplorare alla ricerca di indizi. Un posto capace di offrigli riparo senza subire troppe domande, ma che fosse anche fonte di informazioni e ritrovo di viaggiatori.

Alcuni piccoli villaggi potevano fare al caso suo, ma lì uno straniero venuto dal nulla poteva diventare fonte di pettegolezzi e dicerie. Meglio puntare a qualcosa che non dia troppo nell’occhio… e che possibilmente abbia una buona taverna.


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Alte mura di pietra lo sovrastavano, ma non incutevano timore bensì sicurezza. Dietro le bandiere sventolanti dai colori accesi si ergeva alta e maestosa una rocca in parte scavata nella montagna.
La Fortezza reggeva non solo il peso di una grande storia alle sue spalle, ma anche il fardello di un profondo ideale. Difendere gli indifesi e ergersi contro i pericoli del mondo.
Un intento nobile, senza dubbio, ma quel genere di cose non interessavano a Daryos, anzi. Se vi era qualcuno disposto a prendere mazzate, contro qualsiasi cosa gli Dei adirati scagliavano sul mondo, al posto suo, Daryos non aveva nulla da obbiettare.

L’ospitalità dei cavalieri era nota, come la loro pazienza. Bastava non tirare troppo la corda. Un posto perfetto insomma dove stare tranquillo per un po’ e portare avanti le sue indagini in santa pace, senza troppe domande.

Ebbe anche occasione di scambiare qualche parola con i cavalieri, in particolare con il Lord Cancelliere. Un tipo strano pensò Daryos. Un elfo in terre umane che combatte in un luogo sacro per gli umani, eppure cordiale e sempre vigile, come tutti i cavalieri dal manto color fiamma: Simbolo dei loro ideali così come il fuoco che alimenta la loro fede.


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Il lord cancelliere lo informò di alcune novità che il buon Daryos si era perso durante la sua forzata assenza. Strani eventi scuotevano il sud delle terre umane. Amon, la guerriera, ruggiva come al solito, ma pare ci fosse anche un nuovo gruppo di potenziali ribelli, forse intenti nell’ennesima rivolta.
Nei pressi del trivio invece, strane voci riferivano di misteriose fanciulle che girovagavano mezze nude attirando gli uomini a se. Ma la felicità di Daryos venne spenta molto in fretta, perché pare che queste particolari fanciulle attrassero sì gli uomini, ma per ucciderli…

“Eh… ti pareva! Abbiamo visto Deva dal cielo e demoni dal culo… e ora pure appartarsi nei boschi con qualche fanciulla può risultarti letale! Dei… manca solo che mi chiudano tutti i bordelli!”

Borbottò Daryos a denti stretti, mordicchiando il suo sigaro e dirigendosi sconsolato verso la taverna del monastero.
Tuttavia non era lì per divertirsi o affogare i suoi dispiaceri nell’alcol, in quel caso sarebbe andato a Tortuga o a Tremec, ma per compiere una missione ben precisa.
Trovare Gustav, o il bastardo che si spacciava per lui, e farlo a pezzi.
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#54099
“Tortuga”

Daryos aprì lentamente gli occhi. Il mondo attorno a lui era strano e nebuloso, ma soprattutto non la smetteva di girare!
Ci mise alcuni minuti prima di capire chi era e dove fosse. La testa appoggiata al bancone con la bocca aperta priva di sensibilità. Un rigagnolo di bava che gli scendeva dal lato della bocca.
Alzò molto lentamente la testa, aiutandosi con una mano. Le tempie gli scoppiavano e lo stomaco si contorceva dentro di lui quasi avesse vita propria.
Il tutto non la smetteva di girare vorticosamente, ma lentamente ricominciò a definire meglio i dettagli dell’ambiente che lo circondava.

La sensibilità alla bocca stava tornando, permettendogli di sbiascicare qualche suono vagamente familiare e simile a una parola.
Era alla taverna di Tortuga, ma in un primo momento non ricordava come ci fosse finito esattamente lì.
Barcollò con alcuni passi verso una panca, lasciandosi cadere sopra come un sacco di patate. Si resse per chissà quale miracolo, evitando di scivolare fin sotto il tavolo.
Fuori dalla taverna, attraverso i vetri sporchi e unti, filtrava la luce intensa del giorno che gli bruciavano la vista peggio di tizzoni ardenti.

“Per le tette di Danu… cosa è successo? Non ricordo più nulla...”

Qualche ora dopo Daryos uscì dalla taverna ancora provato dalla notte precedente. SI guardò attorno coprendosi gli occhi con laano, costantemente feriti dall’intensità della luce. Barcollò verso un sentiero fangoso che puzzava di alcol e piscio, stando molto attento a non caderci di faccia.
Percepiva diversi suoni. Il rumore delle onde, lo strano richiamo di qualche uccello tropicale e il vociare della gente in lontananza.
Insieme ai suoi sensi ricominciò a percepire un dolore alla testa. Le fitte erano come lampi di luce, capace di fargli ricordare cosa fosse successo la sera prima: come tante e brevi scene che si susseguono ad un ritmo sempre più veloce e violento.

Ricordava il suo viaggio verso la Tortuga. Il vento che gonfiava le vele della sua nave, le onde che esplodevano contro la chiglia della nave trasformandosi in tante piccole gocce; che come tanti piccoli gioielli brillavano illuminati dalla luna.
I contorni tipici dell’isola, e le sue luci ad adornarla come una corona: Regina, tra le città che facevano del vizio e del capriccio la propria vocazione. Ma non solo… nel suo grembo un sentimento di libertà, quasi anarchia! Che richiamava a se i pazzi, i disperati e i sognatori sedotti dal desiderio di doverla raggiunge.

Forse per questo Daryos ne fu da sempre attratto. Per quanto l’isola in se non fosse altro che un covo di tagliagole e disperati, nella sua anima si celava un sentimento travolgente. Che faceva della libertà, insieme alle conseguenze che essa comporta, il suo faro nella notte. La sua fiamma mai sopita. Il fuoco che divora stolti e gli ingenui.


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Rammentava i pesanti passi nella strada fangosa. Il fruscio del suo mantello a contatto con il terreno. La pesante cappa di umidità e caldo che attanagliava i vicoli sporchi e bui. Risate e grida che si mescolavano al suono del mare, che costantemente lambiva con il suo tocco le coste.
Le immagini dei ricordi si fecero sempre più vive e intense, susseguendosi velocemente come un fiume in piena.
Vedeva la gente della Tortuga, che come la loro terra erano trasandati e con modi grezzi. Ma nel cui sguardo traspariva orgoglio e fame di indipendenza.

Sentiva nella sua testa l’eco di nomi e voci nuovi, che nella sua mente si mescolavano ai ghigni e alle risate di sfida! Sguardi torvi e penetranti lo scrutavano, soppesandone volontà e abilità.
Agitazione e baldoria, opportunità nell’imprimere il proprio nome nella sabbia e nel mare.

Ma anche un’ombra massiccia e solitaria, luce intensa di una lama assetata. Neve e ghiaccio nel profondo sud, con affari loschi e pericolosi siglati nella notte.
Duello nel mezzo della foresta, con un colpo violento alla testa! Dolore e sangue… Il prezzo da pagare per la caccia?
Ritorno alla “civiltà” con lingue taglienti e prove di abilità. Una semplice firma… vincolo di appartenenza e speranza di una nuova vita?

Daryos arrivò nella piazza della cittadina, dove un alto edificio dall’aria importante la dominava con la sua presenza. Il centro del potere dell’isola; ma che doveva guardarsi dalle avide mire delle ciurme. Un pappagallo lo accolse con il suo gracchiare, il cui verso gli risuonò violentemente nella testa.
Alzò lo sguardo verso il pennuto, maledicendolo. Ancora confuso, la sua attenzione venne rapita da uno strano tizio, dall’aspetto tutt’altro che rincuorante.

Sentiva il suo sguardo addosso, intenso e profondo come il mare. Poi, da sotto una folta barba mal curata e ribelle, un largo ghigno si disegnò sul suo volto. La sua voce risuonò con impeto, e le sue parole lo travolsero come violente onde contro gli scogli.



“Ahoy Daryos, benvenuto alla Tortuga! Benvenuto a casa… compare!”

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#54295
Un lungo viaggio

Le vele si gonfiavano impetuose al dolce richiamo del vento del sud. Le corde erano tese e a stento ne trattenevo l’impeto. Lo scafo della nave ondeggiava, impaziente di solcare le onde e l’infinità del mare.
Daryos sistemò le ultime cose sulla stiva della nave, pronto per la partenza.
Si voltò un’ultima volta verso l’isola che lo aveva ospitato e di cui ormai sentiva di fare parte. Tuttavia, per quanto una parte di lui desiderasse rimanere lì, a godersi le gioie e i dolori della vita come tutti, lontano da autorità fastidiose e pompose, aveva una questione personale lasciata in sospeso.

Non aveva dimenticato quello che aveva passato, ne tanto meno chi poteva esserne il responsabile.
Nutriva tuttavia dei dubbi: Gustav, il suo mentore, colui che molti anni prima lo aveva di fatto salvato non solo dalle guardie cittadine, ma anche da un destino misero nei bassifondi di Hammerheim, ora lo coinvolgeva in qualcosa di pericoloso e molto più grande di lui!
Daryos sentiva dentro di se che qualcosa non quadrava, ed era proprio il rispetto che nutriva per il vecchio che lo spinse a partire da quel luogo. Luogo, che stava lentamente cominciando a chiamare casa.
Prese il mare in direzione nord, verso le terre umane.
Il vento gli accarezzava il viso e i capelli, mentre le onde che si infrangevano violentemente sullo scafo della nave in tante piccole goccioline, lo travolgevano.

Un flebile sorriso si formò sul suo volto, assaporando la libertà che solo il mare poteva dargli. Davanti a se una lunga ricerca lo attendeva, con esiti tutt’altro che chiari. Tuttavia aveva ormai scelto.
E mentre il suono delle onde lo accompagnavano nel suo lungo viaggio, si lasciò andare cantando una piccola canzone per farsi compagnia:


“Nel mare le onde vado a solcare,
Ma cosa mi aspetta? Difficile da immaginare.
In un isola, nel lontano sud, sogno di tornare
Ma quanto è lunga la strada… prima di riposare…

Eppure, ecco che il mare mi accompagna.
Nelle sfide e nei problemi che ho alle calcagna!
Perché di intense gioie e neri abissi la vita sembra abbondare
Com’è facile farsi travolgere e lentamente, affondare…

Sempre vigile rimani, ma avanti non indugiare!
In un coltello nel buio però fai attenzione!
O ci rischierai di inciampare!”
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