Qui i giocatori di The Miracle lasciano imprese, poesie, narrare eventi e grandi avventure avvenute e in svolgimento su Ardania. Linguaggio strettamente ruolistico.
“Dal mare arrivarono in cerca di terra da conquistare!
Sei padri il mare solcano guidando la loro gente…
Freddo e ghiaccio non temono, sangue pronti a versare
Dominatori degli elementi e con spirito ardente!”
Estratto dall’edda poetica nordica
Il cielo era nero e inquieto. Sprazzi di luce lo attraversavano violentemente, seguiti poi da un ruggito violento e minaccioso. L’aria era pervasa dall’odore di salsedine con onde agitate e impetuose che ghermivano, come informi mani, la sagoma scura e confusa di una nave.
La forma sinuosa tagliava le onde irrequiete alzando violenti spruzzi e facendo svettare poi, nel nero cielo, la sagoma stilizzata e minacciosa di una testa di drago.
Urla lontane scandivano il ritmo di grandi remi che si allungavano dallo scafo agitandosi come grandi ali scheletriche.
All’improvviso una grande onda prese forma dietro la figura della nave. Un’onda immensa e sovrannaturale guidata da una volontà spietata quanto volubile.
Tutto divenne buio per un tempo indefinito.
Le ombre ripresero lentamente vita, ma questa volta mostrarono forme strane e confuse. Aliene ma allo stesso tempo esotiche e terrene. Contorni di terre sconosciute attiravano a sé ammaliando con strani suoni e profumi. Mari più caldi e placidi bagnavano bianche spiagge quasi coccolandole con il loro ritmico moto.
Poi la visione mutò ancora accentuata da una sensazione di vuoto e sgomento.
I contorni si fecero più spigolosi e minacciosi, il dolce profumo diventò l’aspro odore di salsedine e sangue mentre il mare aumentò la sua forza tingendosi di rosso. Una luce calda e intensa cominciò a brillare, quasi bruciando la vista. Dalle sue spire sinuose emerse la figura della nave.
Là, dove prima sembrava maestosa e indomabile, ora giaceva sul fianco in una spiaggia nera e granulosa.
Alte fiamme la divoravano ghermendo avidamente le alte vele che fino a poco prima avevano imbrigliato il vento con tenacia e superbia. Sembrava una creatura delle leggende che si contorceva disperata, agitando e perdendo i lunghi remi. La polena a forma di drago si lamentava ferocemente, in un rantolo disumano capace di far raggelare il cuore.
Dietro di lei, come a contornarla, la tempesta infuriava gioiosa. Il suono di una risata riempì l’aria. Una risata fredda e crudele, compiaciuta della sua brutale vittoria.
UN BRUSCO RISVEGLIO
Si svegliò di colpo, con la testa pulsante per il dolore.
Un piccolo fuoco ardeva nel camino di pietra grezza, proiettandone la luce tremolante sulle pesanti travi del soffitto che lo sovrastavano.
Fuori dalla finestra, un vento freddo smuoveva grossi fiocchi di neve che cadevano pigramente dal cielo grigio e ancora buio. All’orizzonte una luce pallida e fredda cominciava però a farsi largo nell’oscurità, annunciando un nuovo giorno.
Una pesante porta di legno si aprì lasciando spazio a una figura curva e lenta nei suoi movimenti. Due occhi stanchi ma brillanti ancora di una vivace luce azzurra, si posarono su di lui. Occhi che dovevano aver visto molte cose ma che portavano con sé anche il peso di eventi terribili e difficili.
“Vedo che sei già sveglio…come va con la ferita alla testa? Ti fa ancora male?”
Una voce gracchiante ma calda e gentile riempì la stanza, spazzando via come bufera i rumori del sogno che ancora rimbombavano nella testa di Valgard.
“Ja vecchia… il dolore alla testa sta passando…ma la nebbia avvolge ancora i miei pensieri e ricordi. Non capisco il perché ma l’eco di strane visioni affollano la mia testa. Più mi sforzo però, e più non riesco a ricordare chi sono e da dove vengo. Ho solamente ombre confuse! Sto impazzendo!”
L’anziana donna annuì controllando con le sue dita lunghe e ossute la ferita profonda sulla testa del nordico.
“Hai preso una bella botta, e quando ti hanno portato da me eri più morto che vivo. Ma evidentemente non era ancora giunta la tua ora. Forse il Wyrd ha ancora qualcosa in serbo per te. Non dovresti sforzarti nel riacquistare la tua memoria. All’inizio non ricordavi nemmeno come ti chiamavi… Poi col tempo hai ricordato. Devi solo avere pazienza.”
Il nordico annuì appena, non nascondendo una certa agitazione interiore.
“Comunque…”
continuò l’anziana donna
“I sogni che continui a fare, forse sono legati al tuo passato. È il tuo spirito che cerca di guidarti e riplasmarti. Come questa terra ci ricorda ogni giorno.”
Lo sguardo della donna si soffermò sulla pallida luce esterna del nuovo giorno, come intenta a rievocare nella sua mente ricordi lontani ma ancora nitidi.
Valgard la contemplò attentamente, percependo il peso che quella donna portava con sé.
Poi confuso, le domandò.
“Che vuoi dire, donna?”
L’anziana si spostò verso il piccolo fuoco, gettandone qualche ciocco per ravvivarlo. Era curva e lenta nei suoi movimenti ma ancora capace di sopportare con dignità le fatiche della vita.
“Ho vissuto più di settanta inverni giovane nordico, e ognuno di loro mi ha lasciato un segno indelebile. Non solo nel corpo ma anche nello spirito. Questa terra è piena di meraviglie ma richiede un grande pezzo da pagare. Ho perso due figli nelle guerre tra nord e sud. Uno contro il Regno di Hammerheim, l’altro mentre difendeva i confini della Baronia dalle incursioni dei predoni, guidati al tempo da un condottiero di nome Rorik. Mio marito invece è morto di recente. Non voleva morire di vecchiaia nel suo letto…voleva morire in battaglia come un vero nordico! Mi lasciò l’anno scorso, contro i predoni del sud che si fanno chiamare Teschi. “
Valgard ascoltò l’anziana donna pazientemente, poi lentamente le rispose.
“Mi spiace per le tue perdite donna, ma dovresti essere fiera della tua famiglia. Hanno lottato e combattuto per questa terra, guadagnandosi così il loro posto nel Valhalla!”
L’anziana donna annuì con un flebile sorriso.
“Dici il vero giovane nordico, e questo è il prezzo che dobbiamo pagare per vivere in queste terre. Ho vissuto eventi strani e oscuri nei miei anni di vita. Stelle cadere dal cielo e capaci di distruggere intere città, il buio assoluto avvolgere tutte le terre, covo di creature mortali e fatte di ombre. Guerre, razzie e carestie e nuovi culti nascere e affermarsi. Ma sono ancora qui, anche se verso la fine dei miei giorni.
Ma tu… tu hai ancora la possibilità di lasciarti plasmare da questa terra. Il passato ci aiuta a rammentarci chi siamo, le scelte che abbiamo compiuto… Ma è il presente che deve avere la nostra attenzione. Tu hai avuto una seconda possibilità, cosa rara nelle terre dei ghiacci. Se veramente ti sta a cuore, cerca le orme che hai lasciato sulla neve…ma ricorda che il passato non torna e che devi sempre guardare avanti e vivere il presente. Forse…
Sì! Forse l’Antica Via che sta riprendendo forma qui al nord può aiutarti.”
“Antica Via? Di cosa parli?”
Gli domandò il nordico.
“Anche se è tutto ricoperto di ghiaccio, questa terra è viva e muta continuamente. Da un po’ di tempo, dopo l’ultimo Jol, eventi strani si sono susseguiti. Alcuni parlavano anche dell’imminente Godderdamerung. Le guide del clan Huathbàn ci hanno aiutato mostrando l’Antica Via. Una consapevolezza che avevamo perduto e dimenticato, ma che ci sta aiutando a comprendere meglio queste terre e le forze che le governano."
L’anziana donna finì di gettare gli ultimi ciocchi sul fuoco, poi con un flebile sorriso lasciò il nordico da solo a riposare, uscendo dalla stessa pesante porta di legno da cui era entrata.
Il silenzio calò nuovamente nella stanza, rotto solamente dal crepitio del fuoco rianimato dalla nuova legna che gli era stata gettata. Valgard ne osservò le fiamme. Alte e luminose, animate da nuova vita. Forse l’anziana donna aveva ragione. Proprio come quel fuoco, ora aveva la possibilità di bruciare nuovamente e di plasmare nuovamente il suo futuro.
"Halfdan, del Picco" "Vegurinn til Valhallar"
Michael604/Halfdan#3185
Egli fu: Einar Isvargr, "Neve e Sangue"
Valgard, "Il Figlio dell'Onda" (incompleto)
Daryos, "Un coltello nel buio"
“Alta e imponente, la Rocca dalla fredda terra si erge.
Di roccia e legno ha le ossa, di sangue e valore la sua carne!
Essa vigila attenta… sul mare di nevi eterne che la circonda.”
HELCARAXE
Il mare era agitato, cercando con le sue onde e i suoi vortici di ghermire il piccolo traghetto che faceva da tramite per le due isole principale del regno dei ghiacci.
Il sole stava tramontando lontano a ovest, permettendo all’oscurità di accrescere la sua morsa su quelle terre; avvolgendo avidamente qualsiasi cosa trovasse sul suo passaggio. I contorni spigolosi e grezzi dell’isola venivano deformati fino a creare l’illusione di avere davanti a sé una creatura aliena e gigantesca, caduta in un sonno eterno e immobile.
Alte e minacciose nubi prendevano invece forma verso nord.
Il vento accarezzava il volto di Valgard, che spostandosi a prua del traghetto, osservava pensieroso davanti a sé. La ferita alla testa gli pulsava costantemente, procurandogli però un costante fastidio più che un vero e proprio dolore. La sua attenzione tuttavia non era rivolta all’ambiente o alle ferite dovute alla sua condizione, bensì cercava avidamente con i suoi occhi grigi una forma particolare e inequivocabile, capace di rivaleggiare con le alte montagne e dominare, di conseguenza, tutto il paesaggio.
“Eccola!”
Esclamò infine.
Helcaraxe era il cuore del Regno dei Ghiacci. Nella sua rocca alta e austera dimorava il Konungur, signore assoluto del regno.
Gli edifici della città seguivano tutti uno stile architettonico particolare, richiamando le forme del paesaggio del nord. I tetti spigolosi seguivano le forme delle rocce, aguzze e aspre, mentre le case erano più basse rispetto al continente, in parte anche scavate nella terra. Questo permetteva al calore di non disperdersi verso l’alto garantendo un ambiente accogliente e molto meno rigido rispetto all’esterno.
Ai piedi della rocca vi era la piazza. Molto meno sfarzosa delle città del sud ma non meno importante. Fonte di ritrovo per viandanti e cittadini dell’isola.
Guerrieri alti e robusti con sguardo attento pattugliavano le strade fangose della città, indossando con orgoglio il copricapo a testa di orso tipico dei Vargos. Il mantello caldo di pelliccia con il colore del sangue invece cingeva le spalle di molti, simbolo indissolubile del legame tra quelle terre e i suoi abitanti. La pena per chi ne trasgrediva le leggi, e i valori su cui il regno stesso aveva le sue fondamenta, era l’infamia. Il marchio del Nidhing.
Valgard percepiva strane sensazioni all’ombra della rocca dei ghiacci, ma non riusciva a darne una forma ben precisa. Una parte di lui sentiva di appartenere a quel mondo, ma la città con i suoi profili e i suoi dettagli gli erano estranei. Vedeva e capiva il simbolismo di quella terra, ma in parte non lo rappresentavano. La stessa statua di Kurdan , poco lontano, gli rievocavano nella mente l’eco di antiche battaglia e gloriose gesta… vivendole però come semplice spettatore e incapaci di accendere in lui la fiamma dell’orgoglio.
Cominciò a sentirsi estraneo e solo, ma questo non abbatté il suo spirito, anzi!
Riaccese in lui la curiosità e la voglia di scoprire e vivere quel mondo. Di immergersi completamente nel cuore di quella terra che sentiva sua.
Ne ebbe l’occasione quando incontrò, quasi per caso, una donna. La sua chioma rossa si fondeva perfettamente con il mantello di Kurdan mentre un lupo enorme e dal manto chiaro la seguiva rapido e vigile.
Qui Valgard conobbe Julie dei Kraben.
L'ANTICA VIA
I due scambiarono alcune parole nel vicino focolare. Julie ascoltò curiosa le vicissitudini che avevano coinvolto il nordico ma non poté aiutarlo nella ricerca del suo passato.
“Tuttavia… posso raccontarti gli ultimi avvenimenti. Visto che sembri un figlio dei ghiacci è giusto che tu sia consapevole del cambiamento che questa terra sta vivendo.”
Si spostarono nella più accogliente locanda, dove alla luce di un caldo fuoco Julie cominciò a narrare gli strani e incredibili eventi avvenuti dopo l’ultimo Jol.
“Devi sapere che molte lune fa i Syskar fecero un grande rituale ai piedi dell’Yggdrasil. Il sacro frassino infatti aveva cominciato a germogliare e fu proprio da questi germogli che si aprirono strani portali dove fuoriuscirono Jotnar di ghiaccio e di fuoco! Il loro assalto fu brutale… E vicino a quei portali i nostri guaritori subivano uno strano effetto, le loro energie venivano come prosciugate!"
Julie gettò alcuni ciocchi di legno nel fuoco, ravvivandolo di nuova energia. La sua luce illuminò i due mentre continuava il suo racconto.
“Dovemmo ritirarci dalla piana, ma qui incontrammo un ribelle Huatban. Fu lui a spiegarci che gli Jotnar provenivano da un altro mondo, rispettivamente da Aengin e da Danahim. Fu poi grazie al Kunnigr di quel clan che riuscimmo a comprendere l’Antica Via”
“Dunque le voci che ho sentito erano vere… Ma cos’è questa Antica Via?”
Domandò il nordico.
Julie sorrise appena, fece per parlare ma si fermò di colpo, come colpita da un’idea migliore quanto improvvisa. Gli fece cennò di seguirla.
YGGDRASIL
Valgard seguì la sagoma della nordica lungo uno stretto sentiero che si scavava in parte anche sul fianco della montagna. Alla sua destra uno strapiombo di alcuni metri, con il mare agitato che si infrangeva violentemente sulla roccia. Il nordico provava un certo timore vicino al mare e strinse con forza le briglie del suo cavallo.
Lungo la strada dovettero affrontare varie creature, ma grazie a Julie e alle sue capacità, oltre che alla sua guida, arrivarono incolumi ai piedi di una strana montagna.
Qui i troll vi avevano costruito le loro tane ma Julie condusse il nordico in uno stretto sentiero che si sviluppava verso l’alto.
Arrivato in cima, la sua sorpresa fu enorme.
“Dei…”
Esclamò a bocca aperta Valgard, meravigliato dalla vista che aveva di fronte.
Un alto e bianco frassino svettava solenne nel cielo grigio e nuvoloso. Le sue fronde erano enormi e sembravano quasi infinite, forse capaci anche di toccare ogni angolo del mondo.
Le sue radici scavavano la dura terra, annodandosi e fondendosi con essa.
Una strana aura lo avvolgeva pulsando di vita quasi impalpabile, ma capace di incutere rispetto e devozione.
Julie si avvicinò al frassino, poggiando poi la sua mano su di esso. Sorrise, forse consapevole della grande meraviglia a cui i due nordici stavano assistendo. Poi con voce calma ma solenne disse:
“All’inizio dei tempi non vi era nulla, ma solo abisso. Un baratro oscuro e senza fondo…Il suo nome era Ginunngagap il vuoto cosmico.
In quel nulla si fece volontà Yggr, il Signore del Tutto. Lì rimase a contemplare il nulla oltre che se stesso.
Creò quindi Aengin, e con fuoco e terra plasmò i suoi pensieri.
Creò poi Danahim e nell’acqua e vento vi immerse le sue creazioni, donandogli la vita.
Creò Altheid, un mondo selvaggio, dove la vita potesse crescere rigogliosa e senza freni.
Tuttavia, poiché non tutto ciò che aveva creato era giusto ed in armonia con il resto, creò un luogo di declino e sofferenza, detto Awaider, dove riporre i suoi errori.
Infine creò Ardahin in cui piantare il seme della sua più maestosa creazione, Yggdrasil.
Nel seme introdusse parte della sua energia vitale, facendolo sbocciare, e la gemma si fece fusto e dunque foglia. Yggr allora comprese che la sua creazione non poteva esistere senza di lui. Si fusero dunque assieme.
All’interno di Yggdrasil, Yggr decise di premiare le sue migliori creazioni spostandole su Ardahin. In particolare Alvar da Altheid e Dverg da Aengin. Poi creò i Mann, gli uomini, che subito iniziarono a espandersi.
Gli uomini che andarono a sud trovarono gli Alvar e da loro appresero la magia, ma la usarono in modo improprio, abusandone e consumando le energie di Yggdrasil. Chi andò a nord invece trovo i Dverg, che saggi e onorevoli, insegnarono agli uomini l’arte della forgia e della guerra.
I Mann del nord trovarono Yggdrasil e iniziarono a venerarlo. Yggr si commosse e dalle sue lacrime creò la neve, dono ai i suoi figli prediletti per temprarne lo spirito e il corpo.
La morte non esisteva al tempo, ma bugie, sospetto, rancori e odio crebbero, generando le prime guerre e scontri destinate però a durare in eterno.
Yggr allora creò altri quattro luoghi. Due celati sotto le oscure radici di Yggdrasil. Oghdain e Vashaneir.
Oghdain venne creato per custodire i ricordi dei defunti, affinché tale sapere non venisse dissipato dal tempo. Ma anche come punizione, per chi abusava dei poteri della magia.
Vashaneir fu destinato agli animi empi, ai defunti disonorevoli e a coloro che in vita non si erano mostrati degni di una vita oltre la morte. Vagando per sempre tra le sue nebbie.
Gli altri due, Cromdahil e Valhalla li pose nei rami più alti di Yggdrasil.
A Cromdhail decise di affidare invece la memoria di coloro che avevano vissuto nel giusto e i cui valori potessero risplendere per sempre.
Infine creò Valhalla, un immenso palazzo dorato destinato a chi in vita si è distinto per le sue capacità. Sia come artigiano, si come guerriero. Premiando così l’operosità e il valore. E così sarà fino al Gotterdamerung.”
Valgard ascoltava rapito quel racconto. Mai avrebbe immaginato un mondo così complesso, frutto di potenze primordiali così grandi da risultare incomprensibili. L’Antica Via dunque, mostrava la vera creazione del mondo? Il vero significato di tutte le cose che lo circondavano?
Non lo sapeva, ma una cosa era certa. Il bianco frassino che si ergeva immenso davanti a lui era una prova tangibile di forze a lui sconosciute, e di consapevolezze che ancora gli erano celate.
"Halfdan, del Picco" "Vegurinn til Valhallar"
Michael604/Halfdan#3185
Egli fu: Einar Isvargr, "Neve e Sangue"
Valgard, "Il Figlio dell'Onda" (incompleto)
Daryos, "Un coltello nel buio"
“Dal fuoco e ghiaccio lasciati temprare,
calca le nevi con orgoglio, dal dubbio non farti afferrare.
Questa terra chiede sacrifico, a lei va la tua devozione.
Che le tue gesta parlino, e le tue orme sulla neve ne siano testimone”
NUOVI INCONTRI
Un piccolo fuoco ardeva nella spartana piazza, sovrastata dalla costante e vigile presenza della rocca dei ghiacci. La figura del nordico era avvolta in un pesante mantello di pelliccia, mentre le deboli fiamme gli illuminavano i contorni del volto.
Volto, solcato però da piccole smorfie di dolore.
La ferita alla testa pulsava e bruciava. Un dolore sopportabile, ma continuo e fastidioso.
Da quando era arrivato a Helcaraxe la sua testa era diventata un turbinio di pensieri e dubbi. Non solo la perdita della memoria lo turbava, ma anche la scoperta dei grandi avvenimenti in atto nelle terre del nord.
Dopo l’incontro con Julie dei Kraben, Valgard non poté negare a se stesso il grande mutamento che stava scuotendo violentemente le stesse fondamenta di quella terra. Se veramente era un figlio del nord, come Julie gli aveva detto, e come tale si riconosceva, allora quello stesso cambiamento lo riguardava e presto avrebbe dovuto prendere una decisione importante.
Era assorbito dai suoi pensieri quando un’imponente figura avvolta in una tunica dai colori chiari fece il suo ingresso nella piccola piazza.
Valgard lo seguì con lo sguardo, studiandolo e domandandosi chi potesse essere.
Si sedette su una panca poco lontana, scostando il pesante mantello color cremisi, segno di appartenenza a quella terra, e poggiandosi a un robusto bastone di colore bianco.
Il nuovo arrivato squadrò attentamente la figura di Valgard da sotto il pesante cappuccio. Poi con voce calma ma ferma gli disse:
“Un volto nuovo vedo…”
“Un volto nuovo dici?… Peccato, speravo che qualcuno in questa terra mi riconoscesse”
L’imponente uomo rimase in silenzio per alcuni istanti. Da sotto il cappuccio si potevano intravedere ciocche di capelli di colore bianco che contornavano un volto marchiato dalle condizioni aspre di quella terra. Anche alcune cicatrici lo segnavano, ma quello che più colpì Valgard era la mancanza dell’occhio sinistro.
Con l’occhio rimasto però, sondava e studiava attentamente la figura del nordico che aveva di fronte a sé, celando abilmente i suoi pensieri.
“I tuoi capelli corvini…e i tuoi occhi mi ricordano qualcuno… Da quale parte della Baronia vieni?”
Gli domandò.
Valgard fu sorpreso da quella domanda. Forse dunque c’era una possibilità di riscoprire un tassello del suo passato?
“Mmh… È una bella domanda, a cui però non riuscirei a rispondere. A parte le poche settimane dal mio risveglio, non ricordo nulla.”
Il suo occhio buono si strinse leggermente, forse per mettere meglio e a fuoco il nordico, o forse per cercare di carpire più in profondità l’animo di chi aveva davanti.
“Ah…ti riferisci a quella?”
Gli disse indicando con un cenno della mano la ferita profonda che segnava la testa di Valgard.
“Sembra che tu sia scampato alla morte…Odal ti dev’essere stata propizia.”
Valgard si toccò leggermente la ferita, ricordando rapidamente tutte le sensazioni che aveva provato al suo risveglio.
“Ja…dici il vero. Anche se… Non ricordare il proprio passato può essere visto come una condanna.”
La figura incappucciata annuì, reggendosi con forza al bastone e senza mai distogliere lo sguardo dal nordico.
“Se non si conosce il proprio passato è difficile crearsi il proprio futuro. È una lezione che qui a Helcaraxe abbiamo appreso più volte”
“Ti riferisci forse agli ultimi avvenimenti? Ne ho parlato recentemente con Julie dei Kraben. Mi ha aggiornato sugli ultimi eventi che hanno riguardato questa terra.”
Rispose Valgard incuriosito ora da quel vecchio nordico.
“E cosa ti è stato raccontato dunque?”
Lo incalzò subito dopo, sempre con il suo occhio vigile e indagatore puntatogli addosso.
Valgard riordinò le idee per alcuni istanti, poi gli rispose.
“Bè… Degli strani eventi avvenuti dopo l’ultimo Jol… L’Yggdrasil che sboccia misteriosi fiori e da essi portali da cui sono fuoriusciti gli Jotnar fatti di ghiaccio e fuoco. Infine, l’aiuto del clan Huathbàn nel riscoprire l’Antica Via”.
Da sotto il pesante cappuccio il vecchio nordico annuì. Con voce calma disse poi a Valgard di seguirlo
NUOVE VERITÀ
Lo seguì per le strette stradine fangose della città, che si inerpicavano lungo i costoni della roccia. Puntarono verso nord seguendo per alcuni tratti la stessa strada percorsa in precedenza con Julie. Tuttavia non uscirono dalle mura, ma svoltarono invece verso la scogliera a est.
Qui si fermarono vicino a un vecchio tempio. Si potevano scorgere le rifiniture elaborate e le decorazioni legate alla mitologia del nord. Alti tetti spioventi e decorati richiamavano le asperità che caratterizzavano quella terra. Le colonne invece erano incise con sacre rune, o a volte, serpeggiavano dal basso verso l’alto incisioni che avevano lo scopo di raccontare e tramandare le grandi gesta compiute. Che grande visione doveva essere un tempo, testimonianza della maestria con il legno di quel popolo.
Ora invece non ne rimanevano che poche tracce, risparmiate dal morso famelico del fuoco divoratore. Un ammasso informe di detriti, con le alte colonne simile a ossa gigantesche che ne contornavano le spoglie.
“In questi ultimi giorni Helcaraxe è cambiata profondamente. Le stesse fondamenta del regno sono state scosse. Un tempo questa veniva chiamata la valle degli Dei. In onore di Aengus e Danu.
Il vecchio nordico indicò poi verso il mare. Il terreno ero solcato da strani segni, come se qualcosa di estremamente pesante vi fosse stato trascinato. Valgard si stava domandando il motivo di quei solchi quando sotto la superficie del mare, appena visibili vide le sagome di due enormi statue in pietra.
“Ma quelli sono…”
“Gli Dei che veneravamo… Ci hanno voltato le spalle. Pregando loro abbiamo firmato la nostra condanna! Attirando gli Jotnar del fuoco e del ghiaccio e fuoriuscendo dall’Yggdrasil come solo udito nelle leggende.
E l’unica cosa che ricordo è che la mia fede al Dio della guerra era forte. Ma più lo invocavo, più quelle creature mi strappavano le forze con artigli di ghiaccio.
La nostra fede è stata la nostra rovina.
Ma grazie al clan Huatbàn abbiamo scoperto la verità. Gli unici rimasti puri al credo di Yggr. I nostri avi si sono fatti traviare dai Mann del sud.
C’è più di quanto pensi e se vorrai ti insegnerò i dettami dell’Antica Via. Come figlio del nord è mio dovere farti conosce la verità. Yggr vuole a sé i suoi figli prediletti e il tempo dell’ignoranza è finito.”
Valgard rimase colpito e turbato da queste parole. Il suo sguardo si soffermò sulle statue gettate nel fondo del mare. Un tempo venerate e invocate, ora erano relegate come simbolo di un passato ormai morente.
Si prese alcuni attimi per riflettere e senza spostare il suo sguardo dal mare, esclamò
“È un passo importante… Forse è il Wyrd che mi ha voluto qui, privo della mia memoria e con un cambiamento così importante in atto al nord. O forse è solo un caso. Tuttavia… Non è forse grazie alle orme che abbiamo lasciato che oggi siamo qui? Rinnegarle del tutto…a cosa può portare?”
Lanciò un’occhiata al vecchio nordico, continuando a incalzarlo.
“Hai detto che un tempo veneravi il dio della guerra, e immagino anche tu abbia combattuto molte battaglie. Se sei qui ora, non è forse merito anche di quella devozione? Alle scelte che hai compiuto, guidate da essa?”
La figura incappucciata lo osservò con l’occhio buono, poi con la stessa calma gli rispose.
“L’illusione di credere in qualcosa che non si conosce ne con mano, ne con occhio è una pratica dell’uomo. Invero ho combattuto molte battaglie in suo nome. Ma come ho già detto, invocando il suo nome la risposta è stata la morte e la distruzione. Ad opera di quelli che pensavamo fossero Dei, ma che in verità non sono. Figure… a forma di uomo, ma la verità è un’altra. Vi è un solo Dio e il suo nome è Yggr.”
“Se quello che dici è vero. Che la verità è una sola e tangibile. Allora mostramela! Concreta come la neve sotto i nostri piedi e come l’acqua del mare.”
Il vecchio non rispose subito, ma si scostò lentamente da Valgard. Appoggiandosi al suo bastone posò nuovamente il suo occhio sul nordico, poi lentamente aggiunse.
“Vi sono forze e doni rimasti celati… e nascosti tra il clan Huatbàn per inverni interminabili. Ora però, L’Antica Via è stata rivelata!”
Cominciò una strana litania, aiutandosi anche con alcuni gesti rituali. Valgard lo osservò perplesso, non immaginandosi neanche lontanamente quello che di lì a poco sarebbe successo.
Un’ombra cominciò a espandersi sempre di più vicino al vecchio nordico.
Non riusciva a capire cosa fosse, o se era all’opera qualche strano sortilegio. Ma poi sobbalzo allarmato e spaventato dalla figura enorme piovuta dal cielo al richiamo di quella preghiera.
Bianche scaglie riflettevano la pallida luce del giorno come fosse argento. Zampe forti e con muscoli nodosi terminavano con grandi artigli ricurvi. Le grandi ali membranose lasciavano filtrare un po’ di luce, mostrando una fitta rete di venature. Il lungo collo sorreggeva una testa da rettile con due occhi delle stesse tonalità del ghiaccio, che si posarono su di lui.
“Il guardiano dell’Yggdrasil mi concede parte della sua forza. Echi… Echi di forza, Echi di mondi.
Alcune persone, più dotate di altre, riescono a chiamare a sé questi Echi. Ma la verità… è che questi doni, come chiamati dai Mann del sud, sono l’energia stessa dei mondi.
Mondi creati da Yggr stesso. Ora io percepisco un’energia diversa e una comprensione diversa del tutto. Un giorno anche tu capirai... ma per ora credo tu abbia molto su cui riflettere.
Vieni, torniamo indietro.”
Ancora incredulo per quanto accaduto lo seguì in silenzio. La ferita alla testa gli pulsava per il dolore, alimentata dal turbinio frenetico dei suoi pensieri.
"Halfdan, del Picco" "Vegurinn til Valhallar"
Michael604/Halfdan#3185
Egli fu: Einar Isvargr, "Neve e Sangue"
Valgard, "Il Figlio dell'Onda" (incompleto)
Daryos, "Un coltello nel buio"
“Di fuoco e con impeto deve bruciare il tuo ardore
Il tuo corpo tempra! Nella fatica e nel dolore.
Negli avversari ricerca la forza e il coraggio,
Impara da loro! Questo è l’inizio del tuo viaggio…”
COME LA BUFERA
La mattina era fredda e grigia. Alte nubi ne coprivano il cielo con un forte vento proveniente da nord.
Il mare era agitato, riversando la sua forza contro le coste scavate e rocciose che tentavano stoicamente di resisterne alla furia.
Abbondanti fiocchi di neve cominciarono a cadere; prime e timide avvisaglie della bufera che da lì a poco si sarebbe scatenata.
Dentro la calda locanda invece la situazione sembrava migliore. I pochi avventori che la popolavano, rimanevano per lo più in disparte, parlando a voce bassa tra loro. Difficile dire se per rispetto o solamente provati dall’ennesima nottata brava a bere e a raccontarsi gloriose gesta. Inventate o meno.
Valgard invece sedeva in una panca di legno vicino al fuoco. Le sue fiamme gli illuminavano il viso, tirato e provato dall’ennesima notte agitata. La mano massaggiava costantemente la testa dolorante, dove la ferita pulsava e bruciava.
Il suo sguardo stanco vagava per tutta la grande sala, forse in un disperato tentativo nel cercare un sollievo, anche se temporaneo o fittizio, per la sua situazione.
Le alte fiamme della sala comune danzavano allegre, muovendosi sinuose verso il soffitto intrecciato da grandi travi di legno. Valgard le osservava appena, distratto dal tentativo di mettere ordine ai suoi pensieri.
In poco tempo aveva potuto toccare con mano il cambiamento che stava avvenendo al nord. Ma dentro di lui si sentiva ancora vuoto, incapace di dominare le ombre e le sensazioni che gli turbinavano nella testa.
Più si sforzava e più si sentiva stanco e provato, con il dolore alla testa che cresceva. Sembrava finito in un vortice senza fine, capace di eroderlo pian piano…
Sbatté il pugno sulla panca di legno così improvvisamente e con tale impeto che la maggior parte degli avventori sussultò fin quasi a cadere dalle sedie. Tranne coloro i quali avevano perso la battaglia con l’idromele! Nel loro ronfare non si accorsero di nulla.
“Ora basta!... Devo uccidere qualcosa!”
Furono le sue ultime parole, prima di alzarsi di scatto per uscire come bufera fuori dalla taverna.
VERSO SUD
Il massiccio destriero nordico trottava nel sentiero fangoso in mezzo alla foresta ricoperta di neve. Al suo passaggio qualche uccello scappava dalle fronde degli alberi bassi, scomparendo poi nel cielo grigio. La figura del nordico era leggermente piegata in avanti, come impaziente di scorgere tra le nevi qualche preda da attaccare. Il tremolio alle mani tradiva la sua impazienza, alimentata da un istinto vorace e brutale.
Non si accorse nemmeno di essere arrivato al passo dell’aquila. Uno stretto e impervio sentiero che taglia la catena montuosa confinante con le terre verdi.
Fermò di colpo il suo destriero, rimanendo per alcuni istanti fermo a riflettere. L’impeto che lo aveva travolto fino a poco fa, ora mutava rapidamente in curiosità e desiderio di percorrere quella strada. Chissà dove lo avrebbe portato e cosa avrebbe trovato alla sua fine.
Dopo alcuni attimi di esitazione, spronò il suo cavallo lungo il sentiero in discesa.
Seguì il fiume procedendo verso sud, finché non intravide da lontano la sagoma di alte mura con rossi stendardi sulle sommità.
Varcò un pesante cancello in ferro, sotto l’occhio indagatore di alcune guardie.
A differenza di quelle di Helcaraxe non indossavano copricapi, ma vestivano armature scintillanti e uniformi ben tenute. Il loro sguardo tuttavia rimaneva vigile, pronti a intervenire rapidamente in caso di necessità.
Valgard si guardò attorno, non nascondendo un certo disappunto sullo stile architettonico di quella cittadina. Erano costruite in solidi mattoni, ma mancava quell’armonia nelle forme che si fondevano con il territorio stesso, come invece avveniva al nord.
La sua attenzione cadde poi in un piccolo edifico vicino il cancello principale, dove un indaffarato custode stava servendo uno strano uomo.
“Ehi tu… Che posto è questo?”
Gli domandò il nordico con un certo impeto.
L’uomo si girò lentamente posando i suoi occhi verdi su di lui. Un leggero sorriso divertito si disegnò sul suo volto.
Qui Valgard conobbe Askeladd il mercenario
L’uomo si avvicinò guardandosi attorno. Con voce calma e decisa rispose al nordico, non tradendo una certa curiosità nei suoi confronti.
“Che posto è questo? Bè… Ti trovi a Eracles, cittadina sotto il controllo dell‘Impero di Amon.”
Valgard annuì appena continuando a guardarsi attorno spaesato.
Il Suver finì di sistemare le sue ultime cose dal custode, poi si avvicinò al nordico continuando a studiarlo con il suo sguardo.
“Un uomo del nord deduco…Non se ne vedono molti in giro, soprattutto qui al sud. Mi fa piacere vedere che ogni tanto qualcuno decide di lasciare le bianche nevi per conoscere anche altre terre. Cosa ti porta qui?“
Gesticolava mentre parlava senza mai perdere il suo leggero sorriso, tuttavia la sua mano sinistra era costantemente vicino al fodero della sua spada, che gli penzolava sul fianco. Un dettaglio che colpì il nordico.
“Mh… Sono venuto qui per allenarmi… Picchiare qualcosa di diverso dai soliti lupi o troll. Il mio corpo ha bisogno di temprarsi con la fatica dello scontro.”
“Ah, capisco. Temprarsi nello scontro dici… Uhm, forse posso aiutarti. Conosco un po’ di persone qui attorno che potrebbero mostrarti le basi, e… Perché no? Anche qualche trucchetto che forse ti sarà utile. Seguimi!”
Valgard rimase sorpreso dalla familiarità con cui il suver gli si rivolgeva. Aveva sentito che le genti del sud erano subdole e ingannatrici, ma la curiosità era troppo forte. Poteva essere l’occasione ideale per visitare posti nuovi e sconosciuti. Decise tuttavia di andarci cauto e di mantenere una certa distanza di sicurezza da quell’uomo.
“Bene dunque…fa strada!”
Furono le ultime parole prima di ripartire al galoppo insieme a quello strano individuo.
ALLENAMENTO
I due cavalcarono verso ovest, seguendo la catena montuosa. Il Suver aveva lasciato cadere il suo cappuccio sulle spalle, mostrando i capelli biondi. Ogni tanto si voltava per controllare che il nordico lo seguisse senza perdersi, mostrando sempre il suo mezzo sorriso divertito.
C’era qualcosa nei suoi modi di fare che non convincevano il nordico. Il modo di porsi del Suver era calmo e pacato ma continuamente all’erta, in più riconosceva alcuni modi di fare tipici del nord.
“Io mi chiamo Valgard comunque… Ma perché mi stai aiutando Suver, siete tutti sempre così disponibili al sud?”
L’uomo si volto appena, poi gli rispose.
“Piacere di conoscerti Valgard. Io sono Askeladd, o come mi chiamano le belle fanciulle: il biondo e affascinante avventuriero. Audace mercenario e amante senza eguali!
Perché ti aiuto? Bè perché ti ho visto palesemente spaesato… e perché non avevo nulla di meglio da fare in realtà. Chissà! Magari questa nostra piccola gita potrebbe trasformarsi in qualcosa di più emozionante. Con voi uomini del nord non si può mai sapere…”
Scoppiò in una fragorosa risata continuando a guidare il nordico verso ovest.
Visitarono di sfuggita il monastero dell’alba. Dove le guardie esitarono nel far entrare i due, specialmente il nordico.
Si spostarono nuovamente verso est, superando Eracles ed entrando nella capitale di Amon. Valgard tuttavia non ebbe modo di ammirarla al meglio, solo una rapida occhiata al maestoso mastio dove alcuni scalpellini e costruttori si stavano dando da fare.
Alla fine i due tornarono a Eracles, nello stesso punto in cui si erano conosciuti poche ore prima.
“Bene Valgard, ora che hai appreso le basi che ti servivano, che ne dici di allenarci anche con le armi? Un uomo del nord non può certo andarsene in giro senza saper impugnare un’arma decentemente… non trovi?”
Sul volto del suver si dipinse un sorriso malizioso e arrogante, forse pregustando un certo piacere nel dare una lezione al nordico.
Si spostarono poco più a sud vicino agli ultimi tendoni colorati che contraddistinguevano la cittadina di Eracles.
Askeladd passò alcune armi di legno al nordico, che lo guardò con un certo disappunto.
“Queste sono armi di legno…”
disse Valgard.
“Già… immagino tu voglia tornare al nord con le tue gambe…credo.”
“Che arrogante figlio di…”
furono gli ultimi pensieri del nordico prima di essere investito da un colpo rapido e preciso sulla faccia.
“Coraggio uomo del nord, mostrami di cosa sei capace!”
disse il Suver stuzzicandolo nell’orgoglio.
Si allenarono per alcune ore. Askeladd riusciva a colpire rapidamente e con precisione, dimostrando un’agilità e marzialità degne di un guerriero. Il nordico invece era impacciato e lento, non riuscendo a muovere il suo corpo come desiderava e lasciando spesso i fianchi scoperti, colpendo anche con poca incisività.
Tuttavia l’allenamento stava dando i suoi frutti. Con il passare del tempo Valgard riuscì a prevedere i colpi del suo avversario e a sfruttare i pochi attimi in cui si lasciava scoperto. Si accorse che in qualche modo il suo istinto lo guidava, come se già in precedenza il suo corpo e il suo spirito fossero stati temprati per il combattimento.
La sera calò rapidamente, allungando le sue ombre su quasi tutto ciò che toccava. Le luci di Eracles si accesero risaltandone i colori tipici dei suoi tendoni. Valgard alzò una mano ormai esausto chiedendo di riposare.
Numerosi lividi lo deturpavano, tuttavia sembrava soddisfatto.
“Per oggi basta così… Sono esausto.”
Askeladd sorrise appena, poi rispose.
“Bene… Possiedi già alcune basi del combattimento, devi solo rifinirle. Come riscaldamento non è andato male. Domani andremo in Baronia. Lì vedremo di che tempra sei fatto veramente.”
Si congedò con un cenno del capo, dirigendosi verso Eracles con calma. Nonostante le ore di allenamento sembrava ancora pieno di forze e energie.
Valgard lo osservò allontanarsi. Sputò un po’ di sangue dalla bocca, poi sorrise.
“Ah! Arrogante figlio di buona donna! Ma… Non male per un Suver.”
"Halfdan, del Picco" "Vegurinn til Valhallar"
Michael604/Halfdan#3185
Egli fu: Einar Isvargr, "Neve e Sangue"
Valgard, "Il Figlio dell'Onda" (incompleto)
Daryos, "Un coltello nel buio"
“Una spada si tempra due volte.
Con fuoco e ghiaccio prende la sua forma,
nel sangue della battaglia trova la sua essenza.”
Proverbio nordico
LA BARONIA
Grandi vallate scavate nelle catene montuose. Fitte foreste oppresse dalla neve e dal forte vento. Creature letali e mosse dagli istinti più brutali. Ecco come si presentava quella terra chiamata da molti, Baronia.
Una terra difficile, ma capace di plasmare i suoi abitanti nella dura lotta alla sopravvivenza. Eppure capace anche di grandi meraviglie.
Le mattinate umide e fredde, con la nebbia capace di avvolgere tutto nella sua morsa, rendevano quella terra magica e surreale. Le alte e inaccessibili vette delle montagne, perennemente coperte dalla bianca neve, riflettevano la pallida luce del giorno. Tingendosi poi di un colore più caldo durante il tramonto.
Ogni anfratto e ogni caverna poteva nascondere pericoli, o l’accesso a grandi sale scavate dal ghiaccio e dall’acqua. Che con infinita pazienza e meticolosa maestria ne avevano modellato le forme.
Queste erano le considerazione che Valgard si era fatto di quella terra. Terra, che per un po’ avrebbe chiamato casa.
Il nordico seguì i passi del mercenario, Askeladd, che lo precedeva avanzando rapido e sicuro lungo il sentiero.
Non c’era dubbio che conoscesse bene quella terra, ma come e perché quel suver ne fosse in grado, incuriosiva il nordico.
“Ti muovi bene in queste terre Askeladd. E qualcosa nei tuoi modi ricorda la mia gente… “
Il mercenario si voltò appena, facendo trasparire il suo solito mezzo sorriso.
“Diamine! Non ti sfugge nulla vedo…”
Disse con tono ironico che tuttavia sfuggì al nordico.
“Sì, sono nato in queste terre, e qui mi sono temprato…esattamente come vuoi fare tu.”
Valgard annuì, ma la sua curiosità non si placò. Anzi, lo spingeva a scoprire ogni dettaglio del suo compagno di viaggio.
“È una terra aspra e difficile Ja, ma credevo che solo la mia gente ne apprezzasse lo spirito.”
Askeladd si fermò controllando il sentiero fangoso e guardandosi attorno per orientarsi. Non rispose subito, forse concentrato sul seguire qualche traccia, o forse, per soppesare con cura le sue parole e le informazioni che avrebbe potuto dare. Dietro quel suo modo di fare affabile e aperto infatti nascondeva una lucidità e freddezza che abilmente celava.
“In parte è così. Infatti per metà ho il tuo stesso sangue, se così si può dire.”
“Per metà dici… Se è così perché non sei andato a nord, seguendo il richiamo di Helcaraxe?”
Il mercenario sorrise appena, ma si mantenne vago sulle sue risposte.
“Diciamo che preferisco la libertà, il scegliermi da solo la mia strada. Senza simboli o vincoli sulle spalle.”
Valgard annuì appena, stranamente colpito da quelle parole.
Libertà.
Un concetto semplice, eppure complesso da realizzare. La vera libertà esisteva veramente, o era solo un’illusione? Magari creata per soddisfare un capriccio o un egoismo fine a se stesso?
“Per quanto sia abile e cresciuto in questa terra, ha pur sempre sangue suver.
Forse è quello che lo spinge a non avere vincoli. Ma nel mio sangue scorre il ghiaccio! Può il ghiaccio esistere lontano dal nord?”
Furono i suoi ultimi pensieri prima di tornare a seguire i passi del mercenario.
OMBRE E TIMORI
Passarono alcuni giorni, dove nel mentre Valgard si trasferì al Picco dell’Aquila.
Era un villaggio semplice, abitato per lo più da boscaioli e cacciatori. Qualche straniero vi faceva visita per riposarsi dai suoi viaggi al nord. O per avere l’occasione di incontrare uno dei famosi saggi, Gartax. Tuttavia raramente si faceva vedere al villaggio.
Aveva preferito lasciare l’isola di Helcaraxe per starsene da solo e avere così l’occasione di riflettere.
Due cose riuscivano a turbarlo. La prima era ovviamente la situazione al nord. Grandi cambiamenti stavano mutandone le fondamenta, e ben presto avrebbe dovuto compiere una scelta importante.
La seconda era la sua amnesia. Questo lo ossessionava al punto tale da assorbire gran parte delle sue energie.
Come poteva compiere delle scelte, se non ricordava chi era? O quali erano i suoi desideri o le sue ambizioni?
Nella sua mente c’erano soltanto ombre e sensazioni, ma troppo fumose e intangibili per dargli solide radici a cui aggrapparsi. Si sentiva in balia degli eventi, incapace di domarli.
Tuttavia il nord è una terra insolita. Strane forze la animano e ne determinano il destino… e di conseguenza anche quello dei suoi figli.
IL FABBRO E IL TORO
Valgard osservava sconsolato la sua armatura, ormai logora e rovinata. In alcuni punti il metallo era non solo rovinato, ma pericolosamente mancante.
Stava quasi decidendo di liberarsene quando all’improvviso arrivò uno straniero.
Era un tipo strano, ma a questo il nordico ormai era abituato. Portava una bandana di colore rosso in testa con una pesante mantellina di pelliccia sulle spalle.
Qui Valgard conobbe Vays di Eracles.
Lo straniero gli si avvicinò lanciando un’occhiata curiosa all’armatura rovinata
“Ha visto sicuramente giorni migliori… il metallo sembra stia per cedere in questo punto…e in quest’altro, vedi? Ma nulla che non si possa riparare!”
Valgard lo osservò stupito, poi gli rispose.
“Ja, questa terra sa mettere a dura prova uomini e armature. Vedo che te ne intendi!”
“Bè me ne intendo abbastanza, come se ne intenderebbe uno che ha dedicato tutta la sua vita al caldo richiamo della forgia. Così come insegna il divino Aengus!
Vedo anche che alcuni pezzi hanno la mia firma… se vuoi posso riparartela.”
“Ehm… Ja non potrei chiedere di meglio…Odal mi è propizia se…”
Furono interrotti dall’arrivo di un altro strano individuo. Al contrario del precedente però aveva i lineamenti tipici del nord, con una statura alta e imponente. Impugnava un grande martello ma non aveva l’aria minacciosa. SI fermò per alcuni istanti a osservare i due, poi con voce cavernosa si rivolse al fabbro.
“Ah Vays, onorato di rivederti. Perdona il mio stato ma ho appena fatto incetta di orchi.
Quei cani, in particolare i loro capi guerra, hanno estratti a me utili. Abbiamo anche sferrato un attacco al loro forte, io e il mio clan poco tempo fa. Questa è la vendetta che li aspetta se feriscono uno di noi!
Sarei felice se ti unissi a me nella prossima impresa. Il grande gigante di fuoco ci attende e sarebbe utile averti con noi. Avere così il favore del signore di Aengin, il grande padre della guerra Aengus!”
Valgard osservò il nordico attentamente. La sua stazza colpiva per imponenza e forza, ma era il suo spirito che attirava maggior attenzione. Descriveva con naturalezza e spontaneità grandi imprese, compiute e future, ma non per vanto. Bensì con compiacimento, come se avesse dimostrato, più a se stesso che agli altri, di aver raggiunto la sua vera forma. La sua vera essenza.
Lo sguardo del nordico si posò su Valgard, incuriosito dalla sua presenza.
“Kveda Syskar…”
“Kveda a te… Non vedo il manto di Kurdan sulle tue spalle. Immagino di non essere l’unico che ama viaggiare.”
Lo straniero si controllò con un rapido sguardo le spalle, poi adocchio quelle di Valgard.
“Lo noto anche io… Ja, circa due cicli fa io e il mio clan rispondemmo alla chiamata di Kaek per difendere il nord. Ma ora il nord non ha più bisogno dei nostri servigi. Così io e il mio clan abbiamo ripreso il largo. Il che dovresti sapere, è nella nostra natura… Il guadagnarsi un posto nel Valhalla! E non lo si ottiene stando chiusi in quattro mura…”
Valgard annuì appena prima di rispondergli.
“Vero, eppure si dice anche che la neve deve cadere su altra neve, prima di diventare duro ghiaccio.”
“Duro ghiaccio… Ja, conosco bene questa frase, ma al nord si dicono molte cose. Ma, è farle che fa la differenza!”
Valgard sorrise appena, annuendo alle sue parole.
Non poteva negare che con quello straniero c’era un’intesa. Nonostante non portasse il manto di Kurdan sulle sue spalle, era fiero e orgoglioso di essere un figlio del nord e cercava di dimostrarlo al meglio. Era la fiamma delle sue passioni che Valgard invidiava, e che sentiva mancare dentro di lui da molto tempo.
Il nordico si voltò verso Vays indicando poi con il suo martello Valgard. Con un gesto che stupì i due porse al fabbro una saccoccia piena di monete.
“Sembra ambizioso. Dice che ama viaggiare e voglio scommettere su di lui. Vediamo se sarà in grado di scrivere le sue gesta. Ma per farlo gli servirà un equipaggiamento. Consideralo un anticipo e armalo al meglio! Il nord ha bisogno di eroi e se lo diventerà, allora avrò fatto un affare.”
Poi si rivolse a Valgard lanciandogli un’occhiata indagatrice
“Quanto a te… Non lasciare che le tue ambizioni vengano frenate! Seguile e vivile, ti porteranno alla gloria!”
Si scostò dai due, montando sul suo destriero nordico, imponente quanto lui. Lanciò un’ultima occhiata a Valgard, carica di aspettative e speranze, prima di congedarsi e sparire nel tortuoso sentiero del Picco dell’Aquila.
Qui Valgard conobbe il Maknar degli Uruznidir
"Halfdan, del Picco" "Vegurinn til Valhallar"
Michael604/Halfdan#3185
Egli fu: Einar Isvargr, "Neve e Sangue"
Valgard, "Il Figlio dell'Onda" (incompleto)
Daryos, "Un coltello nel buio"
“Arduo può essere il cammino che ti attende
Sii vorace e deciso, ma anche paziente
Dalle sfide e dalle scelte lasciati guidare
E dalla Terra, che è maestra, sii avido d’imparare”
IL TORTUOSO SENTIERO
Il sentiero serpeggiava ripido e tortuoso sul fianco della montagna. Da un lato un enorme muro di roccia incombeva minaccioso, allungando la sua ombra con il sopraggiungere della sera. Dall’alto lato un profondo baratro, che si gettava ripido nelle valli scure sottostanti.
Al passaggio del purosangue nordico, alcuni ciottoli del sentiero rotolavano e cadevano verso quell’abisso fatto di ombre e forme indefinite; che come fauci spalancate sembravano attendere pazientemente la caduta di qualche sventurato.
Ma quel sentiero testimoniava anche la determinazione di un popolo. Nato dal freddo grembo di quelle terre, cresciuto dalle sue costanti sfide, e ora plasmato dai suoi insegnamenti.
Con fatica e sacrificio scavarono la montagna, strappando dalle sue carni rocciose una lingua di terra.
Con astuzia ricavarono ponti e passaggi, sfruttando gli scheletri legnosi dei grandi alberi del nord.
Infine, con il sangue e sudore scavarono gallerie che si addentravano fin nel cuore delle impervie catene montuose.
Alcune portavano a valli imbiancate dalla neve, territorio di caccia di pericolose creature. Altre invece risalivano fino alle misteriose cime delle montagne.
Una galleria in particolare portava invece a un’immensa grotta, dove ghiaccio e roccia si fondevano in un adamantino abbraccio.
Da qui, sfidando i freddi mari del nord, era possibile salpare per raggiungere l’isola di Helcaraxe
RITORNO AL NORD
Valgard arrivò a sera inoltrata. Nel freddo nord il pallido sole svaniva in fretta e l’unica fonte di calore e luce veniva dalle numerose torce costantemente tenute accese.
La rocca dei ghiacci sovrastava con la sua imponenza tutti gli altri elementi del paesaggio, rivaleggiando anche con le sagome poco lontane delle fredde vette del nord.
La piccola piazza sembrava aver subito una leggera trasformazione. Rivelando un basso passaggio scavato nelle radici della rocca, ora adibito a mercato.
Il falò della piazza attirava i viaggiatori stanchi con la sua luce e il suo calore; come piccolo faro di speranza e riposo, in un mare fatto di neve e freddo.
Da alcuni giorni pare vi fosse fermento al nord, dove alcune notizie frammentate parlavano di una valle scavata e plasmata con il compito di ospitare e accogliere la devozione per l’Antica Via.
Valgard non poté frenare la sua curiosità nell’ammirare una tale meraviglia, anche se nel suo cuore l’Antica Via non aveva messo radici. Legato ancora alla vecchia visione del culto del nord.
Nella sua visione delle cose, forse perché lo colpivano personalmente, il passato e tutto ciò che ne derivava erano fondamentali. Radici capaci di sorreggere scelte e ambizioni future.
Come si potevano affrontare l’ignoto futuro e le sue sfide senza una solida base, senza sapere il principio da cui tutto aveva inizio?
Perdere queste radici, per scelta o anche involontariamente, non significava forse rimanere in balia degli elementi e del fato?
Una massima molto famosa al nord recitava:
“Il fiocco di neve deve cadere su altra neve, solo così allora diventerà duro ghiaccio!”
Ghiaccio, che si era formato anche dalle gesta e dai sacrifici alimentati da quelle stesse figure, legate al vecchio culto, che ora venivano accantonate e spogliate del loro significato.
L’Antica Via poteva divenire un nuovo modo di vedere le cose? Una nuova consapevolezza, un nuovo ghiaccio che prendeva forma?
Per Valgard era difficile rispondere, ma per ora nel suo animo la fiamma del vecchio culto era ancora viva. Unica radice rimastagli del suo passato e a cui aggrapparsi nel disperato tentativo di resistere, e non essere travolto, dai tumultuosi mutamenti della sua terra.
LA VALLE DEGLI DEI
Il Gothi chiamò a sé tutti i presenti. Alcuni volti erano nuovi per lui ma tutti portavano il mantello di Kurdan sulle loro spalle.
Si spostarono brevemente verso nord, dove giacevano i resti del vecchio tempio ormai abbandonato e in rovina. Quello che colpì i presenti però furono la presenza di grossi massi a bloccarne il passaggio, forse dovuto alle pesanti frane causate dagli elementi.
Quella terra sembrava voler metterli alla prova, testandone la determinazione e la loro devozione al nuovo culto.
Furono portati dei pesanti picconi e sotto la guida del Gothi iniziarono a colpire con forza.
Scintille scaturivano dal ferro che impattava violentemente sulla roccia.
Roccia che però sembrava accusare lievemente i colpi, scalfendo appena la sua pesante corazza.
Se i nordici volevano raggiungere la nuova valle e testimoniare così la loro nuova devozione, avrebbero dovuto farlo pagandone un prezzo.
Mentre aiutava, Valgard si trovò a riflettere inconsapevolmente su quanto stava vivendo.
Lui non seguiva l’Antica Via e quindi non era obbligato a prendere parte a quella processione. Anzi, forse avrebbe dovuto vedere in quegli ostacoli una sorta di segno. Un ultimo avvertimento proveniente dagli Dei, le cui statue giacevano umiliate nel fondo del mare tumultuoso a pochi passi da lui.
Eppure, ad ogni picconata si sentiva più leggero e spronato con forza ad affrontare quell’ostacolo così resistente che gli si parava davanti.
Sapeva che quella terra ha strani modi per insegnare ai suoi figli grandi verità e consapevolezze. Se per le genti di Helcaraxe quelle pietre rappresentavano un ostacolo da superare, con fatica e devozione, dimostrando così il loro nuovo legame con quella terra.
Per Valgard invece rappresentavano tutti gli ostacoli che avrebbe dovuto affrontare nel ritrovare il suo passato. Ogni picconata gli costava fatica e dolore, ma a ogni colpo avanzava verso il suo obiettivo.
Alla fine di quella valle non vi erano Dei o Antiche Vie ad attenderlo ma quello che più bramava e desiderava.
La riscoperta di chi era veramente. Il suo fuoco, la sua essenza.
"Halfdan, del Picco" "Vegurinn til Valhallar"
Michael604/Halfdan#3185
Egli fu: Einar Isvargr, "Neve e Sangue"
Valgard, "Il Figlio dell'Onda" (incompleto)
Daryos, "Un coltello nel buio"
“Il mare nero e agitato tagliano come lame affilate.
Vele large e gonfie, di orgoglio e tenacia
Scafo duro come scaglie gli elementi non temono, quale audacia!
Come corona, di drago la forma. Le teste adornate“
LA VECCHIA YGRID
La fredda luce del mattino faticava a imporsi sul terribile giogo della notte. Il vento ululava trasportando pesanti fiocchi di neve, che turbinavano in una danza folle quanto caotica. Tuttavia all’interno della piccola capanna si respirava un’atmosfera calma e accogliente.
Un piccolo fuoco ardeva vigoroso nel camino di pietra, ormai segnata dal nero della fuliggine. Le fiamme danzavano vivacemente aiutando a creare ombre morbide e sinuose per tutta la stanza.
Alcune piccole piante erano appese al soffitto di legno, probabilmente messe li ad essiccare. Su un vecchio tavolo, ormai logorato dal tempo, vi erano strani alambicchi e mortai di pietra; strumenti essenziali per mani capaci e menti sapienti.
Valgard era seduto vicino al fuoco, lasciando che la sua luce gli illuminasse e scaldasse il viso. Il suo sguardo sembrava assente, come assorbito dal turbinio dei suoi pensieri. Non si girò neppure udendo la pesante porta di legno aprirsi alle sue spalle.
Una figura curva e infagottata entrava lentamente, lasciandosi la furia degli elementi alle spalle.
Sorrise appena, notando il nordico vicino al camino. Un sorriso caldo e materno, capace come quel piccolo fuoco, di riscaldare l’animo in quel clima così freddo e proibitivo.
Una voce gracchiante ma gentile ruppe il silenzio della stanza.
“Sei già sveglio? Ti alzi sempre così presto o non sei riuscito a chiudere occhio?”
Valgard si voltò, posando i suoi occhi grigi sull’anziana figura. Quella donna lo affascinava, così minuta e piegata dal trascorrere del tempo, eppure ancora capace di grande forza e energia.
“Nej donna, sono riuscito a dormire solo poche ore. Ma la mia mente è in continua agitazione, è sempre difficile per me darle pace. Si placa solo quando combatto…”
“Bè spero tu non voglia sfasciare la mia piccola casa per cercare di darti pace!”
Il nordico scoppiò a ridere. Una risata sincera che per alcuni istanti riuscì a fargli dimenticare i suoi problemi.
“Nej donna, tranquilla. Non ti romperò nulla. Piuttosto, fuori infuria la tormenta. Dove sei andata? Alla tua età dovrest…”
“Intanto arrivaci alla mia età, poi potrai darmi consigli giovanotto!”
Agitò il suo piccolo dito ossuto lanciandogli occhiate di rimprovero, sforzandosi di rimanere il più seria possibile.
“Sono andata qui fuori a mettere al sicuro le mie piante. Questo clima rischia di rovinarle ma sono utili per i miei rimedi. Io ho bisogno di loro, loro hanno bisogno di me.”
Valgard annuì alle sue parole, notando solo ora il pesante cesto nascosto sotto il mantello della donna.
“Dovresti averne più considerazione, è grazie a loro se sono riuscita a curare le tue ferite… Anzi fammi controllare.”
Posò rapidamente il pesante cesto vicino la porta, allungando e tastando con le dita ossute la ferita alla testa del nordico.
Valgard cerco di ribellarsi ma senza successo. Quella donna sapeva essere terribilmente testarda se voleva.
“Si è cicatrizzata completamente. Ieri sera mi ha raccontato dei tuoi incontri a Helcaraxe e i tuoi viaggi in Baronia. Devo dedurre che non hai ancora scoperto molto sul tuo passato?”
“Ja donna, non ho ancora avuto molto successo. È strano… Questa terra mi evoca sensazioni, ma sono fumose e contorte. Ho anche avuto occasione di conoscere l’Antica Via di cui mi hai parlato… ma è ancora una cosa che sento estranea.”
L’anziana donna annuì appena, ascoltando attentamente. Nei suoi occhi brillava una luce curiosa e indagatrice. Difficile dire cosa stesse rimuginando nella sua mente.
“Ho incontrato anche il Gothi… Incuriosito dalla mia situazione si è offerto di interpretare le rune per me.”
Una luce allarmata si accese nello sguardo della donna, che si mise a camminare su e giù per stanza con aria pensierosa.
Valgard la osservò curioso, ma in parte divertito da quei suoi modi tipici di fare.
Attenta e precisa nel suo compito di guaritrice, sorridente e accogliente con i suoi ospiti e capace di attingere a energie notevoli, sia mentali che fisiche, quando bisognava sbrogliare qualche problema particolare.
“Le rune… Devi fare attenzione ragazzo. Le rune possono nascondere insidie e inganni. Non dubito nelle capacità del Gothi, ma il loro messaggio è criptico.
A volte il loro messaggio è divinatorio, mettendo in guardia chi le consulta, o guidandolo. Altre volte però il loro messaggio prende forma solo quando è troppo tardi.
Sei pronto a seguire il sentiero che posso tracciare? O Ti perderai tra le fumose e ingannatrici nebbie legate al loro significato?”
Il nordico rifletté sulle sue parole, concordando sui rischi a cui una lettura o interpretazione superficiale potevano portare.
“Vale la pena tentare. Le rune posso indicarmi la via ma sono io che alla fine devo percorrere quel sentiero. Non mi lascerò fermare da qualche divinazione. Se le rune non mi indicheranno la strada, ne traccerò una da me!"
“Questo è esattamente quello che temo…”
Rispose a bassa voce l’anziana donna.
LA DRAKKAR BIANCA
La bufera allentò la sua morsa con il sopraggiungere del mattino. Il sole cominciava a riflettersi sulle bianche nevi, assorbendo le ombre della notte. Qualche raggio di sole riusciva anche a fare capolino dalle spesse finestre della capanna.
“Il Gothi però mi ha fatto una strana richiesta…”
Continuò il nordico, buttando il suo sguardo sul vicino fuoco. Che continuava voracemente a bruciare e a riscaldare la sala con il suo calore.
“Mi ha chiesto un dono… come pegno per la divinazione. Ma non ho la più pallida idea di cosa portargli.”
La vecchia Ygrid osservò il nordico celando abilmente le sue elucubrazioni e i suoi pensieri. Tuttavia poi scosse il capo lentamente.
“In questo ragazzo non posso aiutarti. Se vuoi consultare le rune devi portare un dono non solo come segno di rispetto, ma qualcosa che in parte ti rappresenti.
Un sacrificio, che possa richiamare su di te la divinazione. Dovrai scegliere saggiamente.”
Valgard annuì appena, con una leggera smorfia del viso. Iniziava già a immaginare la difficoltà nel trovare un tale dono.
“Ma stando qui seduto a osservare il fuoco non ti servirà a nulla. Le risposte che cerchi sono là fuori, da qualche parte. Potresti intanto aiutare una povera vecchia?
Devo consegnare quel cesto al curatore qui sull’isola. Lo troverai vicino al vecchio mercato.”
Valgard sorrise appena, rispondendole poi.
“Ho capito… È il tuo modo gentile per buttarmi fuori da casa tua! Va bene, lo porterò io.”
Uscì dalla pesante porta di legno, lasciando che il freddo e la tenue luce del mattino lo avvolgessero.
La neve a terra era fresca limitando i movimenti e a ogni passo i suoi polmoni si riempivano di aria gelida appesantendo il suo respiro.
Camminò lentamente tra le case di legno dell’isola dei cittadini. Più basse e robuste rispetto al sud per trattenere il calore e con tetti spioventi per non far accumulare troppa neve. Alcune erano illuminate da una piacevole luce calda, che invogliava gli infreddoliti abitanti a cercarvi riparo.
Ma un nuovo giorno stava iniziando e con esso una nuova sfida per la sopravvivenza in quella terra.
Valgard non si era mai fermato ad ammirare Grandinverno.
Con il suo dedalo di stradine fangose liberate dalla neve, le basse case dei cittadini e i moli di legno che come mani si allungavano nel nero mare del nord.
Era un insediamento semplice ma accogliente, proiezione della natura delle genti del nord.
Consegnò rapidamente le erbe al curatore, ponderando con calma i suoi prossimi passi, quando la sua attenzione fu catturata da un particolare monumento.
Non ci aveva mai fatto caso, forse assorbito come sempre dai suoi pensieri. Ma la figura bianca e imponente di una Drakkar riempiva la piccola piazza.
La sua forma, lunga e affusolata, richiamavano le onde del mare. Il legno scheggiato e rovinato dagli elementi, la adornavano come gloriose citrici. E la polena a forma di drago si ergeva fiera e terribile sulla sua prua.
Non era inusuale per quel popolo omaggiare uno strumento tanto importante quanto essenziale. Ma a Valgard rievocò ombre e sensazioni strane e sopite. Come le braci di un fuoco che improvvisamente vengono soffiate, alimentando così la loro forza e il loro calore.
Per alcuni attimi tutto attorno a lui si annullò. Esistevano solo la sua figura e quella nave.
Il rumore delle onde infrante lo richiamavano come dolce canto. Il vento sul suo viso lo accarezzava dolcemente, come una tenera amante. Il rumore delle vele gonfiate dal vento gli riempivano il cuore e i polmoni, accendendo in lui un fuoco sopito.
E Il tocco ruvido del legno sulle sue mani scatenavano in lui il desiderio di viaggiare, conoscere e conquistare.
"Halfdan, del Picco" "Vegurinn til Valhallar"
Michael604/Halfdan#3185
Egli fu: Einar Isvargr, "Neve e Sangue"
Valgard, "Il Figlio dell'Onda" (incompleto)
Daryos, "Un coltello nel buio"
“Incise nelle ossa sono le ventiquattro sorelle,
Le tre sorteggiate, il fato va svelando.
Dal doppio significato, uguali e opposte come gemelle
Sei pronto a conoscerne il destino? E le sfide che van determinando?”
IL GOTHI
I passi pesanti dei Vargos che pattugliavano la piazza, scandivano il tempo in quella giornata grigia e fredda. Sembrava ci fosse poca attività tra le genti del nord, ma a questo Valgard non dispiaceva.
Gli dava modo, dopo molto tempo, di godersi il vento freddo e il rumore del mare che si agitava poco lontano. Come se fosse riuscito, forse solo in parte, a placare quell’irrequietezza interiore che sentiva.
Ma era veramente così? O era solo una temporanea tregua dopo una nuova tempesta?
Assicurò con cura alcuni pesanti ciocchi di legna bianca sulla sella del suo purosangue nordico. L’animale invece sbuffava irrequieto, desideroso di calpestare la neve fresca e di sfogare il suo impeto cavalcando nelle terre selvagge e inospitali del nord.
Un animo forte e ribelle, incapace di godersi la pace di quel luogo perché alimentato da un fuoco vorace e implacabile, come il suo padrone.
Valgard passo la mano sul manto dell’animale, percependo la sua smania. Sorrise appena, prima di voltarsi al rumore di pesanti zoccoli sulla neve.
La figura alta e imponente del Gothi fece il suo ingresso nella piccola piazza di Helcaraxe, posando il suo sguardo attento e indagatore sul nordico.
“Kveda, Gothi, ti cercavo. Ho riflettuto sulla tua proposta. Vorrei interrogassi le rune per me.”
L’imponente figura incappucciata si piegò leggermente verso il nordico. Il suo occhio buono sembrò brillare per alcuni istanti e sentì il suo pesante sguardo su di sè.
Ma se fosse per un casuale riflesso della luce o se avesse veramente qualche strana capacità di saper leggere nell’animo delle persone, Valgard non lo sapeva.
Annuì appena alla richiesta del nordico. Poi con voce calma ma imperiosa gli rispose.
Il villaggio di Kaek era il cuore del clan Valdar e ogni cosa ne richiamava le caratteristiche. I modi rudi e a volte brutali, si proiettavano nell’architettura delle case e dell’enorme sala comune. Adornata con pochi sfarzi ma capace di trasmettere tutta la sua forza e influenza.
In un piccolo spiazzo però, ai piedi di un Menhir inciso, si trovava il runario.
Il Gothi si rivolse al nordico, intento ad osservare con curiosità il villaggio.
“Hai con te qualcosa da donare alle rune?”
Gli domandò con voce calma e autorevole.
Valgard annuì appena. Aveva scelto un dono preciso, suggeritogli più dall’istinto che da una precisa ponderazione. Fu la drakkar bianca a ispirarlo, in particolare il suo colore.
Prese dalla sella del suo cavallo la fascina di legno bianco che poi porse al Gothi.
“Ah… Legna pregiata del nord.”
“Pura come neve, resistente come ghiaccio.”
Il Ghoti annuì soddisfatto.
Estrasse un piccolo pugnale e accuratamente cominciò a incidere la corteccia del legno, ricavandone poi dal suo interno una più morbida e pura. Bianca come la neve.
Prese un piccolo mortaio e cominciò a sminuzzarla.
“Questa terra ti è cara, come ad ogni nordico. La sua vera essenza è racchiusa nel cuore di essa, nel profondo. Come questo ciocco.
Ora porgimi la tua mano.”
Valgard ascoltò con attenzione. Sorpreso dalla sua richiesta, gli porse la sua mano.
Il Gothi posizionò il mortaio sotto la mano. Poi con calma e decisione incise un taglio sulla mano del nordico.
Una leggera smorfia increspò il volto di Valgard, che osservava il suo sangue scorrere. Il liquido rosso scuro serpeggio tra le pieghe della pelle fino a raggiungere l’estremità della mano, accumulandosi poi in grosse gocce che caddero nel mortaio.
Il Gothi attese che il sangue si raccogliesse, poi lo mischiò al cuore della corteccia.
Prese con le due mani il mortaio e innalzò una litania a Yggr.
“Mio signore Yggr, concedimi ancora una volta il sapere celato dal velo del futuro e dall’intoccabile presente!
HRÖS TIL YGGR!”
Tuonò con solennità il Gothi. Poi versò il contenuto sul runario mischiandolo alle rune rune.
Si voltò verso Valgard posando il suo occhio buono su di lui. Si fece da parte e gli fece cenno di avvicinarsi.
Il nordico avanzò non nascondendo la sua titubanza. Un potere antico e immenso si nascondeva in quelle rune, capaci di svelare le intricate trame del destino.
Immerse la mano nel runario, mescolando le rune fino a quando le sue dita ne trattennero casualmente una.
La mostrò lentamente al Gothi, che la contemplò con attenzione.
“Ehwaz… Rappresenta l’eleganza, la nobiltà nei modi id fare e di agire… È anche usata ad indicare la libertà, la non rassegnazione agli eventi del fato. Ma… la tua rune è Ikke, capovolta.
Rimescola e prendi la seconda runa.”
Valgard riportò il suo sguardo sul runario. Questa volta con più decisione rimescolo le rune e ne estrasse la seconda.
“Kaunan… La runa del sacrificio. È utilizzata spesso dai guerrieri durante le guerre, affinché il loro sacrificio sia a vantaggio dei loro fratelli. Ma anche qui Valgard, la rune è Ikke.
Ho bisogno di un’ultima runa così che possa comprendere meglio..”
Il nordico ascoltò le parole del Gothi cercando di soffocare il turbinio di pensieri che volevano assalirlo. Poi prese l’ultima runa.
“Jera, il ciclo delle stagioni, la continua evoluzione delle cose. La runa dello Jol. Bene ora mi è più chiaro il tuo cammino.”
“Dunque… cosa dicono le rune?”
Domandò con enfasi il nordico.
L’occhio buono del Gothi si richiuse appena, come a cercare di mettere a fuoco qualcosa di lontano e intangibile.
“La prima runa indica il passato. Sembra indicare che calcavi questa terra con forza e tenacia… ma alimentata dalla brutalità. Legata alla seconda indica che questa brutalità ti è costata molto, ne hai dovuto pagare un prezzo molto alto.
Ma Jera indica una rinascita, o trasformazione. Un inverno si sta chiudendo e un nuovo ciclo di sfide si sta intravedendo.
Ascenderai a ciò per cui sei nato o ritornerai sui tuoi passi?”
Queste parole investirono come bufera la mente di Valgard che cercava di capire e trovare un senso al responso delle rune.
Che la perdita della sua memoria fosse dovuta alle conseguenze del suo passato? La runa Ehwaz gli mostrava la distruttività del suo impeto e della sua natura?
“Troppa violenza…ma, in che senso? Come…”
“La forza dell’orso è insita in ogni nordico… Alcuni più di altri rilasciano questa furia ferale. Alcuni la controllano ma altri…la lasciano scorrere liberamente…”
“La Berserkergangr…”
Il Gothi annuì alle sue parole, come se comprendesse bene la forza e il prezzo da pagare per un tale dono.
“Tu non hai controllo. La furia che ti scorre dentro richiama a sé il sangue di chi ti è di fronte. Rischiando di non far alcuna differenza tra amici e nemici, bestia o uomo… Quando essa scorre libera è solo la voglia di uccidere che chiama.
Se vorrai comprendere meglio quel richiamo dovrai comprendere meglio L’Antica Via e imparare come essa possa incanalare quella furia per essere brandita come arma…
Non c’è arma più letale di un obbiettivo da raggiungere e soprattutto… Di chi fa di tutto pur di raggiungerlo.
Ma fino a quando non accetterai questa realtà, rimarrai con la tua forza senza sapere cosa farne…o peggio, schiavo di essa.”
Con queste parole il Gothi si congedò, lasciando il nordico ai suoi pensieri.
Valgard era in un turbinio di pensieri, capaci di riaccendere il dolore della ferita sulla testa.
Le rune gli avevano svelato parte del suo destino, ma il messaggio era criptico e facilmente fraintendibile.
Le parole del Gothi però erano chiare. Secondo le rune il suo passato era segnato da una forza selvaggia e inconsapevole, e ora ne stava pagando il prezzo. I dettagli tuttavia dovevano ancora essere svelati.
Il vento soffiava leggermente, alzando piccoli sbuffi di neve dai tetti spioventi delle case. I grandi alberi del nord si piegavano dolcemente alla sua forza e il suono del mare faceva da sottofondo in quella giornata grigia e fredda.
"Halfdan, del Picco" "Vegurinn til Valhallar"
Michael604/Halfdan#3185
Egli fu: Einar Isvargr, "Neve e Sangue"
Valgard, "Il Figlio dell'Onda" (incompleto)
Daryos, "Un coltello nel buio"
“Di violenza e sangue può essere il suo richiamo
Del mare ha l’essenza, nelle sue onde cavalchiamo!
Si agita violento, come fuoco divoratore
Di passioni e istinti sopiti! È il nostro liberatore”
BERSERKERGANGR
Valgard strinse il pugno così forte che per poco non si ruppe da solo la mano.
Un tremito violento gli percorreva il corpo mentre cercava di dominare il subbuglio di emozioni che cercavano di assalirlo. Il respiro era pesante e accelerato. I muscoli gonfi pronti alla lotta.
Poteva sentirne il richiamo tumultuoso quanto violento. Oscuro e indefinito, ma capace di conferirgli una forza ferale.
Era la Berserkergangr, o forza dell’orso.
Il popolo nordico aveva maturato un’affinità sia con la terra dei ghiacci, quanto con le sue creature.
L’orso in particolare era un simbolo vivente di molte qualità che un nordico cercava.
Forza e prestanza fisica, brutalità e istinto. Il grande orso bianco era un predatore brutale, ma capace anche di usare questa forza per proteggere la sua prole. Incanalando così la sua furia verso un obiettivo più grande e complesso della mera sopravvivenza.
Ma quello che sentiva Valgard non era il suo richiamo. Non era un ruggito ferale riconducibile all’animale e alla sua forza.
Era qualcosa di più grande. Nero e profondo come la notte senza stelle, agitato e impetuoso quando sfogava la sua ira. Mortale, nel suo scuro e freddo abbraccio. Imprevedibile quanto l’entità che lo dominava.
Capricciosa e volubile richiamava a sé con il suo dolce canto, che risuonava nella testa e nell’animo di colui che lo ascoltava. Vasto era il suo abbraccio, stuzzicando l’istinto e la bramosia nei coloro i quali si celava una fiamma; che non brucia, ma è capace di agitarne lo spirito rendendolo vorticoso come il mare.
Danu signora dei mari, delle maree e delle stelle.
IL FAVORE PERDUTO
La leggera brezza gli accarezzava il viso, agitando appena il pesante mantello di pelliccia che lo proteggeva dal freddo.
Davanti a lui le onde si infrangevano con violenza. Alzando un muro di schiuma bianca che si perdeva poi nel vento. La terra nera e ghiacciata a stento poteva contenerne la forza, venendone plasmata con forme irregolari e sgraziate.
La luce del giorno si stava attenuando verso ovest, permettendo alle ombre della notte di allungare la loro morsa.
Lo sguardo del nordico si perdeva verso l’orizzonte, assorbito dai suoi pensieri più profondi. Fatti di ombre indefinite e sensazioni. La ferita alla testa gli doleva, ma ormai aveva imparato ad ignorarla.
Lanciò una piccola conchiglia verso il mare, che venne subito catturata dalle onde e portata nei suoi più profondi abissi.
Un piccolo omaggio ad una Dea che in quelle terre non aveva più posto. Spodestata con violenza da un’antica via, dimenticata e ostacolata. Ma che ora metteva nuove e salde radici, che scavavano avidamente nel cuore di quella terra.
La figura della vecchia Ygrid era appoggiata all’uscio della sua capanna. Osservava il nordico vicino gli scogli, intento ad osservare il mare.
Il suo sguardo era preoccupato ma non riusciva a capire cosa potesse agitare così tanto l’animo di quel nordico. Anche se completamente guarito una profonda ferita lo squarciava nel profondo, agitandosi violentemente come il nero mare del nord.
“Vieni dentro ragazzo, si sta facendo tardi e tra poco farà molto più freddo.”
Valgard la ignorò continuando a guardare dritto davanti a sé, in un punto lontano quanto indefinito.
Nella sua testa le parole del Gothi risuonavano con forza, ma ancora una volta lontane e indefinite. Incapaci di dare forma e sostanza alle sue sensazioni più profonde.
Comprendeva la pericolosità e la forza che portava dentro di sé, ma non poteva comprendere come essa poteva essere la causa della sua attuale situazione.
Da quando aveva consultato le rune, aveva percepito un cambiamento. La forza che lo sosteneva e che in qualche modo lo legava al suo passato, ora vacillava.
L’antica via stava plasmando quella terra ma Valgard gli resisteva. I cambiamenti che stavano avvenendo non trovavano in lui alcun appiglio. Yggr e i suoi nove mondi non interessavano al nordico, che invece percepiva ancora la forza del fuoco e del mare nella loro vecchia forma.
E proprio nel mare sentiva il suo richiamo. Dapprima solo come un flebile sussurro lontano e indefinito, ma ora capace di accendere in lui una fiamma vorace e famelica. Alimentata dal suo desiderio di esplorare e conoscere, ma anche di dominare quegli elementi che furono in grado di plasmare la sua gente fin dal loro primo arrivo in quelle terre.
Si voltò lentamente posando i suoi occhi grigi sulla vecchia donna. Poi, le sorrise appena.
Entrarono nella capanna, illuminata debolmente dal fuoco del camino. La vecchia Ygrid era indaffarata nel preparare strani unguenti, ricavandoli dal cuore delle piante che coltivava.
Valgard la osservava curioso, ammirandone la maestria. C’era una delicata armonia nei suoi movimenti, frutto dei numerosi anni di pratica, quanto della passione e cura che riusciva a metterci.
“Dunque hai consultato le rune… E dimmi, il loro responso ti è stato d’aiuto?”
Domandò la vecchia Ygrid, celando malamente il suo conoscerne già la risposta.
“Ja vecchia, il Gothi le ha interpellate per me. Sapevo che il loro messaggio poteva essere indecifrabile. Tuttavia, forse mi hanno mostrato più di quanto immaginavo. Ma i dettagli ancora mi sono oscuri e quindi il loro significato… incompleto.”
“Cosa farai dunque ora? Hai rinunciato alla tua ricerca?”
“Nej. Anzi, hanno riacceso in me la necessità di riscoprire le orme che ho lasciato in questa terra. Devo capire cosa è successo e perché… Ma qualcosa è cambiato. Lo percepisco …
Una forza si agita e preme con violenza ostacolandomi, alzando nebbie là dove voglio vedere. Ma richiamandomi a sé con voce suadente e ammaliante. Invitandomi ad entrare in un mare mutevole e ingannatore.”
La vecchia Ygrid si fermò di colpo, posando delicatamente il mortaio con cui stava lavorando. Si voltò guardandolo con espressione preoccupata.
“Devi fare attenzione Valgard. Strane forze plasmano questo mondo. Alcune possono sembrare innocue o lontane, ma capaci di prenderti e trascinarti in strani abissi. L’antica via può…”
“Basta! L’antica via non mi può aiutare donna, non voglio più sentirne parlare. Se c’è una cosa che ho capito da quando mi sono risvegliato è che io sono un figlio del nord, ma non di Helcaraxe.
Il mutamento che stanno vivendo non è il mio. Loro hanno ripudiato parte del loro passato. Io invece lo ricerco e voglio riprendermelo!”
La vecchia Ygrid abbassò lo sguardo, sospirando appena.
“Sei testardo come un troll! Io non ho intenzione di ricucirti nuovamente, sappilo!”
Valgrad scoppiò a ridere, in una risata calda e profonda che riempì la piccola capanna.
“Ah donna… Spero un giorno di avere la tua tempra e la tua saggezza… e il tuo modo di fare così spontaneo. Ma ormai ho deciso.”
“Dunque dove andrai ora? Dove continuerai le tue ricerche?”
“Non lo so ancora, mi lascerò guidare dall’istinto. Ho alcune faccende che voglio portare avanti e posti nuovi da conoscere. Ma non temere, tornerò a trovarti. Se pensavi di liberarti di me così facilmente, ti sbagli di grosso!”
“Ah… Quello ormai l’ho capito. Almeno non ti vedrò più poltrire davanti al mio fuoco! Ma… Se come dici Helcaraxe non è la tua casa, allora quale può essere?.... Aspetta, potrebbe…Nej…non credo che…”
Valgard la osservò curioso, sorridendo appena e accorgendosi solo ora di quanto potevano mancargli quei suoi modi di fare.
“Non credi cosa? Avanti donna, cosa ti è passato per la mente?”
“Uhm è solo un’idea ma… prima di intraprendere i tuoi viaggi dovresti riscoprire la storia del popolo del nord. Chiedi informazioni in città, dai sei clan fondatori a oggi. Se veramente vuoi conoscere il tuo passato, parti dalle radici comuni.”
Il nordico la ascoltò attentamente, meditando sulle sue parole. Si fidava del giudizio di quella donna anche se non riusciva a capire come potesse aiutarlo una tale ricerca.
“Bah, farò un tentativo, anche se non capisco come possa aiutarmi. Proverò a cercare informazioni in questi giorni dunque.”
“Bene… Ora se hai finito di lamentarti che ne diresti di andare fuori a spaccare un po’di legna? Con questo freddo il fuoco la consuma velocemente.”
Valgard uscì dalla pesante porta di legno, osservando la sera che ormai avvolgeva quella terra. In lontananza l’orizzonte era ancora illuminato da una luce calda e rossa. Stava per prendere la piccola accetta di ferro mettendosi al lavoro, quando il suono del mare catturò la sua attenzione.
Il rumore delle onde era ipnotico e nell’aria aleggiava il pungente odore di salsedine. Le onde si infrangevano con violenza, alimentate da una fredda brezza proveniente da sud. Mentre a ovest il cielo era limpido e colorato di rosso del tramonto, a sud alte nubi nere si andavano a formare.
Per un attimo, un solo piccolo istante, tra i rumori distanti dei fulmini e della tormenta imminente riuscì a percepire quella che sembrava una risata. Lontana e intangibile ma che già prima di allora aveva udito.
Nella sua mente ripresero forma la figura della tempesta e della pesante Drakkar che ne sfidava la potenza. Per poi finire arenata in una spiaggia nera e granulosa, con alte fiamme a divorarne la carcassa.
"Halfdan, del Picco" "Vegurinn til Valhallar"
Michael604/Halfdan#3185
Egli fu: Einar Isvargr, "Neve e Sangue"
Valgard, "Il Figlio dell'Onda" (incompleto)
Daryos, "Un coltello nel buio"
“Radici profonde che nella terra han scavato
Orme fresche e ricalcate, nel passato ritrovato!
Molti figli ha nel suo grembo, questa terra frammentata
Un fuoco vorace si agita, di libertà è sempre affamata”
ECHI DAL PASSATO
La stanza era piccola ma ben illuminata. Un odore pungente di muffa e pelle di pecora esiccata aleggiava nell’aria. Un odore nuovo e particolare per Valgard.
Un uomo dai capelli biondi colore del grano lo fissava con aria sorpresa e scettica. Il suo nome era Sigfrid ed era il custode della piccola biblioteca del nord.
Il popolo nordico non teneva molta traccia degli avvenimenti del suo passato, preferendo di gran lunga tramandare le antiche storie e leggende a voce, magari davanti a un bel fuoco caldo.
Tuttavia, alcune storie rischiavano di andare perdute e dimenticate. Così alcuni intrepidi decisero di raccogliere tutto il sapere in vecchi e polverosi tomi, che per la maggior parte del tempo stavano lì a marcire in quell’angusta sala.
Valgard non amava leggere. Dovette imparare a farlo durante la sua convalescenza per passare le interminabili giornate costretto a letto.
La vecchia Ygrid non aveva molti tomi, per lo più appunti e vecchi manoscritti, dove annotava e studiava la sua arte di guaritrice. Argomenti che annoiavano parecchio il nordico.
Fu quindi costretto a chiedere aiuto a Sigfrid, che fu però ben lieto di assisterlo.
Valgard non sapeva bene cosa stesse cercando. La vecchia Ygrid non era stata molto chiara a tal proposito ma si fidava del suo giudizio, quindi decise di lasciarsi guidare anche dall’istinto e dal fato.
Posò le sue dita tra le pagine rovinate e ingiallite di numerosi tomi, dove erano raccolte molte storie che riguardavano il nord. In particolare, alcuni tomi catturarono la sua attenzione.
Li sfogliò avidamente, non senza qualche difficoltà nella lettura. Alcuni tomi riassumevano la storia dei clan principali di Helcaraxe: I Valdar e i Kessel. Mentre in altri vi erano informazioni su alcuni clan meno conosciuti ma dalle origini altrettanto interessanti.
Setacciò tra le fila di libri ancora insoddisfatto delle informazioni che aveva raccolto, fino a quando la sua mano si soffermò su un particolare tomo. Si intitolava: I Clan Ribelli I, scritto da un certo Ragnar dei Kessel.
Lo lesse con attenzione, come attirato dalle parole che vi erano scritte. Conosceva i clan di cui il tomo parlava, ma non ci aveva mai dato troppo peso.
Tre clan sfidavano l’autorità di Helcaraxe in quella terra. Il clan Bergtatt che aveva le sue origini nella Baronia. Il clan Huathbàn che recentemente aveva aiutato Helcaraxe a riscoprire l’Antica Via e infine il clan Thongang.
Alzò appena il suo sguardo osservando un punto indefinito della stanza, come nel cercare di dare forma a un pensiero che si agitava nella sua testa. Poi tra sé esclamo.
“E se… Porco mondo! La vecchia aveva ragione!”
Chiuse di colpo il tomo, alzando una piccola nube di polvere. Infine, come se avesse una bufera di neve alle sue spalle, uscì rapidamente dalla piccola stanza in pietra diretto a Grandinverno.
LA DEA ADIRATA
La vecchia Ygrid era appoggiata la suo tavolo da lavoro. Con le braccia conserte e il volto preoccupato ascoltava il nordico mentre le riferiva le ultime vicende.
“Avevi ragione donna! I clan non sono solo a Helcaraxe, le mie radici potrebbero essere in uno dei clan ribelli. Questo spiegherebbe perché tutto mi è familiare ma allo stesso tempo lontano.”
“Ja, avevo il sospetto che potessi avere il loro sangue nelle vene. Ma hai pensato a come farai a scoprire da quale dei clan discendi? E poi…ha veramente così importanza? Non ti stai pian piano facendo una nuova vita?”
“Ah vecchia, ancora con questa storia! Nej, voglio sapere da dove vengo e cosa mi è successo. Solo allora potrò decidere veramente quale sarà il mio destino. Ma dici il vero…sarà difficile scoprire se realmente appartengo a quella gente.
Uhm, mi verrà in mente qualcosa. Tuttavia ho una questione urgente che mi preme di più…”
“Di cosa parli? Non hai finalmente una traccia da seguire? Cosa può esserci di più importante?”
“La Dea, vecchia… Ho perso il suo favore e non so perché, ma scoprirne il motivo potrebbe aiutarmi nella mia ricerca. Tuttavia qui al nord non troverò chi può aiutarmi. Devo andare a sud.”
“I vecchi Dei non ti…”
“Donna… È inutile che lo ripeti. Ho già deciso!”
Valgard finì di preparare le sue ultime cose. Si fermò davanti la pesante porta di legno della capanna, voltandosi poi con un sorriso verso la vecchia Ygrid.
“Mi hai aiutato molto donna e non lo dimenticherò.
Ha det Bra... Ygrid”
Richiuse la pesante porta alle sue spalle, facendo piombare la piccola capanna nel silenzio.
Ygrid abbassò lo sguardo non nascondendo un certo sconforto nel suo volto. Poi con un flebile sussurro aggiunse.
“Addio… Ragazzo.”
"Halfdan, del Picco" "Vegurinn til Valhallar"
Michael604/Halfdan#3185
Egli fu: Einar Isvargr, "Neve e Sangue"
Valgard, "Il Figlio dell'Onda" (incompleto)
Daryos, "Un coltello nel buio"
“Un fuoco divampa e arde con vigore
Come freddo ghiaccio si plasma, nelle gesta e con valore
Figlio devoto che radici han in questa terra
Lo sguardo verso l’orizzonte, brama… Il destino con decisione afferra!”
Alcuni fiocchi di neve cadevano dal cielo pigramente, sospinti appena da una leggere quanto fredda brezza.
Le serate erano tranquille al Picco dell’aquila, con qualche viaggiatore che faceva capolino dal tortuoso sentiero per riposarsi e rifocillarsi.
C’era qualcosa di speciale in quel luogo. Non solo perché vi dimorava uno dei grandi saggi, Gartax, ma lo si poteva percepire anche nell’aria; come una leggera aura di misticismo e mistero che permeava il tutto.
Per occhi e cuori capaci di percepire oltre l’apparenza delle cose, quel luogo poteva nascondere segreti in grado di attingere a connessioni con poteri e forze primordiali.
Il popolo del nord lo sapeva bene, tramandandolo non solo con parole o insegnamenti, ma riuscendo ad inciderlo nel loro essere.
Un vero figlio del nord doveva conoscere e capire quelle forze. Le stesse che gli permettevano di formarsi nel freddo e nella fatica quotidiana.
E questo, il clan Uruznidir lo aveva ben compreso.
Dopo la fine del loro accordo con il Konungur di Helcaraxe, presero il mare veleggiando verso sud. Verso luoghi esotici e molto diversi dal freddo nord.
Tuttavia, non avevano dimenticato le loro origini. Ne la necessità di omaggiare la loro terra e le forze che la alimentavano.
Fu qui che Valgard ebbe l’occasione di assistere ad una delle loro cerimonie in onore di Aengus, signore del fuoco e della guerra.
GLI URUZNIDIR
Arrivarono al galoppo come una tempesta del nord, alcuni cavalcando bestie strane ed esotiche.
In testa al gruppo vi era il Maknar del clan, Thorgun degli Uruznidir
L’imponente nordico guidò i membri del suo clan verso la statua di Aengus presente al Picco, ignorando tutto il resto.
Valgard fu sorpreso da quella inaspettata visita, ma non poté frenare la sua curiosità. Decise così di seguirli rimanendo però in disparte. Si appoggiò al tronco di un albero a braccia conserte, spostando il suo sguardo curioso tra i presenti.
Riconosceva la figura del Maknar e di un’altra persona, conosciuto ad Hammerheim, di nome Leonard. Tuttavia gli altri volti erano per lui estranei. Alcuni di loro però indossavano il kilt rosso del clan.
Thorgun si fermò di fronte alla grande statua di Aengus, che sembrava avvolgerlo come una figura guardiana. Con tono deciso poi, parlò ai presenti dando inizio a una strana cerimonia.
Le sue parole echeggiavano tra le rocce del picco, che ne amplificavano l’effetto. La grande statua dietro di lui sembrava prendere vita, mentre la luce di un fuoco acceso ai suoi piedi ne illuminavano i contorni.
“Colui a cui ci mostriamo fieri, è il grande padre. Il Gigante di Fuoco, Signore di Aengin e Padre dei guerrieri.
Egli che fiero guarda coloro che onorano il suo nome, nel sangue dei nemici. Rosso! Come il fuoco che pulsa nelle nostre vene.
Egli dona forza e vigore, a coloro che apprezzano i suoi doni. Che sia la sua luce a guidare le nostre gesta!”
La luce delle fiamme si riflettevano sullo sguardo grigio e pensieroso di Valgard, che ascoltava in rispettoso silenzio non negando di sentire una fiamma dentro di lui agitarsi.
Il clan Uruznidir era rimasto fedele alla vecchia fede e come lui seguivano un sentiero particolare, ricalcando le orme degli avi che avevano reso grande il nord con le loro gesta.
Il Maknar si rivolse ad uno strano individuo, grosso e massiccio quasi quanto lui che ne ascoltava le parole con devozione e rispetto. Teneva stretto nella sua mano un semplice martello da fabbro.
“Io, a nome del clan ti dono questo metallo sacro. Che rappresenta l’unione del ghiaccio e del fuoco.
Infuso nel sangue delle bestie che abbiamo combattuto, e che abbiamo reso sacro razziando e uccidendo qualsiasi ostacolo ci si ponesse davanti!
COME VALANGA!”
Gridarono all’unisono tutti i presenti facendo tremare persino le alte montagne innevate. Riempiendo l’aria fredda e silenziosa della notte con la loro forza. La runa Uruz, che dava nome al clan era più che meritata.
“Ora con questo metallo forgerai un’armatura degna di un Huskarl, indossata da ogni guerriero che si erge a bastione del proprio clan!”
Il Maknar si fece da parte, lasciando che il syskar modellasse con la sua maestria il metallo grezzo in un’armatura degna di un guerriero. I suoi colpi erano potenti e decisi, guidati da una volontà primordiale ma presente e tangibile come le fiamme che ne alimentavano la forgia.
Le scintille illuminavano il suo sguardo determinato, i suoi muscoli si contraevano richiamando tutta la forza e la precisione che ogni colpo doveva imprimere sul metallo, plasmandolo infine in un’armatura che portava con sé un significato preciso e profondo.
Poi, con devozione e orgoglio mostrò il risultato ai suoi fratelli.
“E ora…chi di voi è pronto ad indossare l’armatura e a tingerla di sangue nel ghiaccio e nel fuoco?
Conosco ognuno di voi e ne conosco anche il valore, tutti voi siete degni di indossarla.
Ma sapete anche che io do importanza al fato. E qui, questa sera vedo occhi curiosi… occhi avidi nel comprendere cosa stiamo facendo…”
Il Maknar posò il suo sguardo oltre i suoi fratelli proprio nella direzione di Valgard.
Il nordico ne sentì il peso, come una freccia scoccata all’improvviso capace di scuoterlo e riaccendere in lui la fiamma della sfida.
Si fece avanti mostrando il suo volto ai presenti. Strane sensazioni lo alimentavano. Sentiva i loro sguardi curiosi e carichi di aspettative. Chi era questo estraneo che poteva battersi per un tale onore?
Thorgun sorrise, indicando Valgard e presentandolo ai suoi fratelli.
“Ci siamo già conosciuti e la tua via ti porta a farti domande che vanno oltre le parole dei vecchi. Tu per come ti sei presentato, ti sei mostrato come un uomo che non si ferma di fronte agli ostacoli.
Ma che la sua ambizione lo porta a superarli, perché viaggi, perché chiedi… perché VIVI!
Ora, se il fato ti ha dato questa insolita occasione e i mie syskar sono d’accordo, sarà il Fato a dimostrarci se questo nordico è degno di bagnare con il suo sangue, o quello dei nemici, questa armatura!”
Valgard rimase incredulo per alcuni istanti, sentendo il peso degli sguardi dei presenti. Tuttavia il fuoco che alimentava il suo spirito si accese, facendogli ribollire il suo sangue nordico.
Ma non era rabbia o paura ad alimentarlo, ma la vera fiamma che alimentava quella stessa terra. Che si temprava nel suo calore prendendo poi forma, forgiando così uomini capaci di combattere e afferrare con forza le redini del proprio destino.
Annuì con decisione trattenendo a stento quella forza dentro di lui.
IL LAGO GHIACCIATO
Valgard e il clan degli Uruznidir si avviarono in un tortuoso sentiero che risaliva le vette del picco dell’aquila. Il passaggio era scavato tra alte pareti di roccia che sembravano voler schiacciare con la loro mole chiunque osasse affrontare quel cammino.
La via saliva ripida, stancando anche i corpi più allenati. Ma come quella terra insegnava, quella fatica era il prezzo da pagare per uno dei luoghi più suggestivi e mistici di tutto il nord. Il lago ghiacciato.
Davanti al nordico si estendeva un enorme lago ghiacciato, sferzato da venti gelidi e impetuosi. Alcuni alberi lo contornavano come una corona. Le alte vette delle montagne sembravano silenti guardiani, intenti ad osservare passivamente gli eventi del mondo.
Era un luogo affascinante, pulsante di vita e che trovava sfogo negli elementi tipici del nord.
Il gruppo si dispose sul ghiaccio spesso, pronti a sfidarsi in quell’ambiente estremo ma sacro; che come in un’arena spingeva i nordici a dimostrare il meglio della loro forza e devozione, sotto lo sguardo severo degli Dei.
La voce del Maknar echeggiò forte e decisa.
“Sarà la lotta allora che decreterà il campione. Togliete le armature!”
SI divisero a coppie di sfidanti. Valgard si dovette scontrare dapprima con un suver, non molto forte ma abbastanza agile da evitare buona parte dei suoi colpi e capace di rispondere con pugni ben precisi e mirati.
Il suo secondo sfidante fu Leonard, che aveva già avuto occasione di conoscere. La sua forza era indubbia, alimentata dal suo fervore religioso. Valgard dovette attingere alla sua Berserkergangr per trionfare, e anche con quella la vittoria fu incerta fino all’ultimo istante.
Il suo ultimo sfidante fu il fabbro che forgiò l’armatura agognata. Era alto e imponente, alimentato dal fuoco divino e da una ferrea determinazione.
Fu uno scontro difficile, con colpi sferrati con potenza e tederminazione. Anche se non apparteneva a quel clan, Valgard ne condivideva gli ideali ed era mosso dalla stessa fiamma che bruciava nei loro spiriti.
Tuttavia questo non bastò a decretarlo vincitore. Alla fine il suo avversario ebbe la meglio.
Thorkin del clan Uruznidir si era guadagnato infine il diritto di indossare quell’armatura. Con sangue, fatica e devozione era diventato il campione del suo clan.
Valgard si riprese dai pesanti colpi del suo avversario. La fiamma che alimentava la sua Berserkergangr lo scuoteva violentemente, ma anche se si trovava tra le più alte vette delle montagne del nord circondato dalle grida di giubilo dei syskar, nella sua testa sentiva solo un suono.
Violento e deciso, capace di scavare la roccia più dura. Capace di cullare con il suo dolce canto, quanto nel risvegliare antiche paure fatte di abissi neri e profondi.
In quel lago ghiacciato sotto lo sguardo degli Dei, Valgard sentiva solo il rumore del mare. Che lo chiamava a sé con voce suadente, alimentando in lui la fiamma che più di tutte lo spronava a continuare nella sua ricerca.
"Halfdan, del Picco" "Vegurinn til Valhallar"
Michael604/Halfdan#3185
Egli fu: Einar Isvargr, "Neve e Sangue"
Valgard, "Il Figlio dell'Onda" (incompleto)
Daryos, "Un coltello nel buio"
“La goccia è minuta ma scava con determinazione
La roccia più dura nulla può, contro la sua ambizione
Con i capricci di una Dea, tuttavia si deve scontrare
Il favore del mare, riuscirà infine a riconquistare?”
I DEVA
La freccia sibilò nell’aria conficcandosi nelle carni pallide della creatura. I suoi occhi brillavano di una luce intensa carichi di odio. Le strane sale dall’architettura aliena rimbombavano creando una cacofonia di urla.
“COME VALANGA!”
Urlavano con forza i syskar del clan Uruznidir, mentre il loro grido di guerra si mischiava alle urla di dolore e maledizioni di quelle strane creature alate.
Valgard non aveva mai visto creature di quel genere in tutta la sua vita, pensando che solo nelle leggende del suo popolo potessero esserne gli straordinari antagonisti. Ora invece le sue frecce e il filo delle sue armi ne laceravano le carni. Con il loro sangue che schizzava, imbrattandone le pareti e il pavimento.
Una montagna di corpi giacevano dopo il loro passaggio incapaci di arrestare la loro furia battagliera.
Seguirono di corsa un tortuoso labirinto di passaggi e porte, che si aprivano solamente dopo averne decifrato lo strano meccanismo.
Da una grande sala verso la cima dell’edificio però giungevano altre urla e grida di battaglia.
Si fiondarono come tempesta, insieme alla ciurma dei Teschi, contro una creatura strana quanto mortale.
Enormi ali lo avvolgevano e la furia dei suoi colpi lasciavano poche speranze di sopravvivenza.
Le frecce scoccate lo scalfivano appena, così come i colpi più potenti delle armi da mischia. Il suo battito di ali travolgeva come vento impetuoso e i suoi colpi penetravano anche la corazza più resistente.
Alla fine però, sotto quella pioggia di colpi, non poté fare altro che cedere.
Una creatura strana quanto potente, ma degna di guadagnarsi il rispetto marziale che Valgard solitamente concedeva alle sue prede più meritevoli.
“Solo una preda degna ti spinge al limite, facendoti guadagnare il Valhalla e l’immortalità nelle gesta!”
Era solito ripetersi durante gli scontri.
Grazie al clan degli Uruznidir, aveva riacceso dentro di lui la fiamma della determinazione. Pronto ad affrontare le sfide che il destino aveva in serbo per lui.
CONFRONTI E NUOVI INCONTRI
Il sole splendeva intenso in una giornata limpida e tranquilla. Le bianche nevi brillavano come tempestate di piccoli diamanti. Una leggera brezza spostava il pesante mantello di pelliccia del nordico, che seguito da un mulo, percorreva il sentiero fangoso che dal Picco dell’Aquila portava alle terre del sud.
I suoi allenamenti gli avevano permesso di raccogliere parecchia pelle e pellicce, da rivendere poi ai suver.
Arrivò davanti le porte massicce del villaggio di Eracles, la cui pesante grata fu fatta sollevare per consentirgli il passaggio.
Qui incontrò un suver con cui aveva ormai fatto amicizia. Il fabbro eracliano Vays.
La sua maestria nel plasmare i metalli era indiscussa e apparentemente molto ricercata. La sua devozione nel signore del fuoco, Aengus, era assoluta e bruciava intensamente nel suo sguardo e nei suoi modi di fare.
Quello che però non si aspettava quel giorno era l’incontro con una donna particolare.
Era esile e slanciata dimostrando circa trent’anni. La pelle pallida contrastava con il colore dei capelli, neri come la notte. I suoi occhi blu e vivaci erano intenti ad osservare con fare curioso.
Qui Valgard conobbe Lithe di Loknar.
Aveva già avuto modo di incrociare i suoi passi in passato, ma in quell’occasione si scambiarono solo brevi saluti e presentazioni.
Spesso intratteneva affari con Vays e fu proprio grazie a lui che ebbe modo di conoscerla più approfonditamente.
Da quel che gli aveva riferito il fabbro un tempo era molto legata alla Dea dei mari. Tanto da riceverne i suoi favori. Tuttavia ora seguiva i passi del Grigio, calcando il lungo e tortuoso sentiero per la conoscenza.
Il nordico e l’eracliano la aiutarono con alcuni piccoli affari, alla ricerca di ingenti quantità di reagenti.
Prima di congedarsi però il nordico le chiese alcuni istanti del suo tempo. Forse quella donna, in quanto legata agli Dei, poteva aiutarlo.
Si spostarono a nord verso la locanda. Un locale fatiscente ma abbastanza accogliente. Non avevano particolari pietanze ma ai due bastò; per un viaggiatore esausto anche pietanze semplici possono trasformarsi in un prelibato banchetto.
“Bene donna, cercherò di arrivare subito al sodo. Com’è tipico della mia gente. Volevo parlarti di una questione personale e importante, visto che… Da quel che ho capito, sembri essere in comunione con gli Dei.”
Gli occhi blu di Lithe si posarono sul nordico, non nascondendo una luce curiosa nel suo sguardo.
“Immagino avrai sentito le voci che vengono da nord. Riguardo L’Antica Via. Dimmi, tu cosa ne pensi?”
La donna roteò gli occhi osservando un punto indefinito della sala riflettendoci, forse colpita da quella strana domanda.
“Sì, ne sono a conoscenza. Ho studiato la questione e sono stata informata dal Gothi. Abbiamo avuto più di un confronto. Né io né Loknar ci siamo messi contro Helcaraxe, come invece hanno fatto le altre chiese del continente. Ma insomma… non ne siamo felici. Io penso che stiate prendendo un grande abbaglio.
Ho l’impressione che questa Antica Via abbia radici così profonde da risalire ad un tempo in cui si avevano meno conoscenze. Ho anche l’impressione vi siano concetti simili alla visione elfica.”
“Non ho modo di sapere se è un grosso abbaglio o meno. Per come sono io tendo a vedere le cose nella loro praticità. Quel che ho visto e toccato quando ero al nord è una consapevolezza andata perduta, che però dà i suoi frutti.
Ma ha richiesto anche un prezzo alto da pagare. Il loro passato”
“Loro?”
Domandò curiosa la donna
“Esatto, loro! Helcaraxe non è l’unica figlia del nord. Quella terra ha molti figli e non ha padroni. È indomita e ribelle e queste qualità vengono trasmesse ai suoi discendenti.
Anche se ho potuto toccare e vedere l’Antica Via ho deciso di non abbracciarla. Richiede un prezzo alto da pagare, un prezzo che non sono disposto ad accettare.”
Lithe lo ascoltò attentamente. Nei suoi occhi si agitava una luce avida di conoscenza, alimentata dalla sua curiosità innata.
“Non sei originario di Helcaraxe quindi?”
“Uhm bella domanda. Ci ho messo tempo prima di capirlo. Sono un figlio del nord ma non di Helcaraxe. Tuttavia non ne ho la certezza perché, come puoi notare dalla cicatrice, grazie a questa non ricordo nulla del mio passato. Solo piccoli frammenti troppo confusi.
Ma ho anche imparato che nulla avviene per caso, come il nostro incontro.”
“Lo credo anche io.”
Gli sorrise la donna
“Credo che neanche il motivo per cui cercavo il tuo confronto lo sia. Perché io come altri, sono ancora legato ai vecchi Dei.”
“E cosa ricordi della tua fede?”
“È difficile… Sono solo sensazioni. Ma sono forti e si agitano dentro di me. Spingendomi da un lato a viaggiare, conoscere e toccare con mano.
Come le acque del mare che tutto raggiunge. La sua vastità mi spingere a cercarne la libertà.
Dall’altro lato invece alimenta la mia Berserkergangr. E quando sono in quello stato il rumore del mare si agita dentro la mia testa, donandomi forza e vigore… Ma facendomi anche sentire come una Drakkar in balia della tempesta, che cerca di non affondare. “
“Penso siano sensazioni che proviamo un po’ tutti. Tranne forse quelli che pensano di avere la verità in tasca.”
Sorrise la donna amaramente.
“Uhm non è solo quello… Vedi, credo di aver perso il favore della Dea!”
“Forse è una prova a cui ti sta sottoponendo, testando la tua devozione. Oppure il tuo approcciarti all’Antica Via l’ha offesa. Ma perché pensi ti stia ignorando?”
Il nordico riflettè alcuni istanti alla sua domanda, cercando di dare forma ai suoi pensieri e alle sue sensazioni.
“Perché quando mi raccolgo in preghiera non percepisco più la sua presenza e il suo sguardo su di me. Quando tu preghi donna, riesci a sentire lo sguardo del tuo Dio? Senti la sua presenza avvolgerti?”
Lithe annuì alle sue parole cercando di comprendere i dubbi e timori dell’uomo che aveva davanti.
“Un tempo, prima degli eventi recenti di Helcaraxe, vi era un tempio bellissimo che fu dato poi alle fiamme. Dimora degli Dei al nord: Aengus e Danu.
Io mi ci recavo spesso perché nessun’altro luogo su Ardania riusciva a mettermi in comunicazione con la Dea come quel luogo. Sembrava completamente permeato dalla sua essenza. Sembrava di ritrovarsi nudi e inermi, metaforicamente parlando ovvio, di fronte a Lei. E finalmente riuscivo a leggere in me stessa.
Poi un giorno… Non è più successo. Avevo anche io la sensazione di essere stata abbandonata temendo di averla offesa. Ma non era stata Danu a cambiare, ero io a esserlo.
La vita mi aveva portato altrove. Avevo avuto un’evoluzione nel pensiero, nel modo di vivere. Tutto era cambiato intorno a me.
Sentivo anche io un fuoco che mi spingeva a comprendere, capire e studiare e fu così che scoprì la mia fede in Oghmar.
Tuttavia, la tua situazione è diversa. Mutando la mia fede non ho abbandonato la Dea, ne lei ha abbandonato me. La mia devozione ora va ai Sette.”
Valgard ascoltò le sue parole, rivedendosi in alcuni dettagli del suo racconto. In parte lo rincuorava sapere che altri nel vasto mondo stavano, o avevano, affrontato un percorso simile al suo.
Ma sapeva anche che ogni strada tracciata dal destino è unica e personale. Le risposte che voleva trovare non erano altro che frutto delle sue scelte: Lithe aveva mutato la sua devozione in qualcosa di più grande, comprendendo il ruolo dei Sette nella sua vita.
Forse una consapevolezza che Helcaraxe stessa stava similmente sperimentando.
Ma il nordico aveva già compiuto la sua scelta.
Forse l’Antica Via aveva messo radici nel suo spirito e ora stavano germogliando proprio come accaduto all’Yggrdrasil stesso. In quell’occasione le preghiere agli dei non servirono a nulla contro le creature fuoriuscite dai mondi, e questo decretò la decisone di Helcaraxe di rinnegarli e con essi una parte importante del loro passato.
Ma Valgard non voleva compiere una scelta simile. Perdendo i suoi ricordi infatti, aveva perso una parte importante di se stesso. E ora ne capiva l’inestimabile valore.
La devozione alla Dea del mare era l’unico frammento intatto del suo passato.E pur di riottenerlo era disposto a tutto.
Avrebbe lottato, con tenacia e pazienza, anche se si sentiva una piccola goccia del mare in balia di forze più grandi di lui.
Goccia, che però volendo era capace di scavare anche la roccia più dura.
"Halfdan, del Picco" "Vegurinn til Valhallar"
Michael604/Halfdan#3185
Egli fu: Einar Isvargr, "Neve e Sangue"
Valgard, "Il Figlio dell'Onda" (incompleto)
Daryos, "Un coltello nel buio"
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