Qui i giocatori di The Miracle lasciano imprese, poesie, narrare eventi e grandi avventure avvenute e in svolgimento su Ardania. Linguaggio strettamente ruolistico.
Ciclo di Gu (ovvero Granaio, A.I. 284) – Jungla di Waka Nui
Erano trascorsi diversi viaggi di Shoixal e Lhuixan dalla notte in cui Nukubame aveva attaccato il villaggio di Mombata, Waka Nui. Lingua di Serpente era solo un bambino allora, ma ricorda ancora il terrore che aveva provato nel vedere quei “fratelli” qwaylar che assalivano il villaggio con una foga a lui sconosciuta. Nei loro occhi era così facile scorgere l’odio ed il disprezzo che difficilmente non se ne veniva sopraffatti, cadendo prede di una paura quasi ancestrale. Seppur giovane, Lingua di Serpente comprese che la resa dei Qwaylar di Waka Nui fu l’unico modo per salvare le loro vite, dal momento che molti fratelli caddero in occasione dell’attacco di Nukubame, compresi suo padre e sua madre.
Eppure, nonostante sapesse che non avrebbe potuto fare nulla per cambiare le sorti di quello che era stato, nonostante comprendesse che combattere ancora i Nyoka sarebbe stata pura follia, nonostante si rendesse conto che – seppur fregiato di un soprannome da abile cacciatore – lui ancora non era altro che un bambino, Lingua di Serpente si sentì infinitamente in colpa. Nel buio della jungla, quella notte pianse. Alzando gli occhi al cielo non vide neanche la luce di Lhuixan, che spesso gli aveva fatto compagnia nelle notti trascorse a cacciare fuori dal villaggio con suo padre. Era solo, disperato, impotente ed impaurito, come uno spirito in Giza.
Fu una dura lezione per Lingua di Serpente, che fino ad allora si era sempre dimostrato esuberante e sentito in grado di affrontare qualsiasi pericolo. Ma più un fuoco brucia veloce, prima si spegne. Il suo animo venne quasi completamente annullato e così comprese, nel più atroce dei modi, che anche se ci crediamo invincibili possiamo cadere nel tempo di un battito d’ali. Per la tribù di Nukubame lui non era nulla, talmente innocuo che venne persino lasciato in vita, inutile e disprezzato. Arrivò persino a chiedersi se le sue preghiere raggiungessero Mawu o se rimanessero vuote, come il suo cuore in quel momento.
Nello sconforto però Lingua di Serpente fu investito da un’altra verità, oltre a quella dell’ineluttabilità della nostra sorte. Pensò alle storie che era solito sentire intorno al fuoco, quando con gli altri fratelli si narravano racconti e leggende della tribù: una delle sue preferite, seppur considerata triste e sventurata da molti, era quella della distruzione della città di pietra e della punizione di Wukamota. Ciò che lo aveva sempre affascinato era lo spirito di Mombata, la sua determinazione e la sua incrollabile forza. Nel delirio dell’attacco dei draghi verdi, Mombata era riuscito a guidare la sua gente verso la salvezza, dando poi vita a quel villaggio chiamato Waka Nui. Eppure Mombata era solo un uomo: un uomo che, al cospetto del giudizio di Mawu, aveva però lottato e cambiato un destino che pareva ormai segnato. Waka Nui era la dimostrazione della forza di un uomo e Lingua di Serpente, cresciuto a Waka Nui, avrebbe ereditato lo spirito di quel villaggio.
Rialzandosi, Lingua di Serpente corse nel fitto della jungla, giurando a se stesso ed a Mawu che sarebbe cresciuto senza mai arrendersi ed avrebbe compreso il vero significato dell’essere forti…
Lingua di Serpente aprì gli occhi, svegliato dal fruscio del vento tra le fronde degli alberi. Alzandosi, ripensò al sogno che aveva appena fatto. Più che un sogno vero e proprio in realtà era un ricordo di qualche anno prima, al tempo in cui fu costretto a lasciare Waka Nui ed a cercare rifugio nella jungla. Da allora era sempre rimasto solo, cacciando e pregando, imparando e sopravvivendo. Era ormai più che abituato alla solitudine, eppure per qualche motivo quella mattina si sentì a disagio. Tirò fuori da un involto una piccola radice verde ed iniziò a masticarla, mentre rimuginava ancora sul sogno ed i pensieri che ne erano conseguiti. Trascorse diverse ore in quello stato, scandendo il passare del tempo con il consumarsi delle piccole radici che amava masticare. Quando la sua mano si spostò in maniera automatica verso l’involto che conteneva le piante e non trovò nulla da afferrare, Lingua di Serpente parve destarsi da ciò che lo aveva tenuto concentrato fino a quel momento. Con un verso di disapprovazione osservò l’involto vuoto e scosse la testa.
“Inutile attendere ancora. Tempo di andare.”
Lingua di Serpente raccolse il suo arco e si incamminò con passo spedito verso il fiume. Aveva visto diverse volte dei Qwaylar arrivare con una zattera in quei pressi ed aveva intenzione di farsi accompagnare al loro villaggio; la carne fresca che si era procurato il giorno prima a caccia sarebbe stata sufficiente per lo scambio. Finora, ascoltando senza farsi notare e scrutando senza essere visto, aveva solo sentito parlare di Timata Ora: ora era finalmente giunto il tempo di vedere con i suoi occhi.
Volse un’ultima volta lo sguardo nella direzione in cui sapeva trovarsi Waka Nui, prima di andare avanti. In quel momento si chiese se il richiamo dei suoi fratelli sarebbe stato più forte di quello della jungla. Stringendo la mano sull’impugnatura dell’arco si girò verso il fiume e proseguì, proprio mentre faceva la sua comparsa una zattera con diversi qwaylar a bordo…
Ciclo di Gu (ovvero Granaio, A.I. 284) – Isola di Tortuga
La zattera scivolò per un breve tratto sulla sabbia presente a riva, prima di arrestarsi proprio nei pressi di una capanna che spuntava nel mezzo della fitta vegetazione presente sul limitare della spiaggia. L’aria e gli odori dell’isola di Tortuga erano molto diversi da quelli della jungla a cui Lingua di Serpente era abituato, ma in qualche modo la vista di tutti quegli alberi lo mise un po’ più a suo agio nonostante continuasse a sentirsi irrequieto e spaesato. Il pagaiatore gli fece cenno di proseguire all’interno dell’isola e così Lingua di Serpente si avviò lentamente su di un piccolo sentiero a lato della capanna, a malapena visibile.
Dopo aver camminato per breve tempo, il giovane intravide tra la vegetazione delle capanne e si preparò quindi a fare il suo ingresso nel villaggio di Timata Ora. Al suo arrivo, Lingua di Serpente si guardò intorno e per un istante gli sembrò di essere nuovamente a Waka Nui; ma, osservando meglio, si rese subito conto che non era così. Timata Ora pareva decisamente più piccolo rispetto al villaggio di Mombata ed i fratelli presenti non erano numerosi come quelli che ricordava esserci lì. Ad ogni modo, dopo anni trascorsi da solo nella jungla, sentire nuovamente le percussioni di uno djemba davanti al grande fuoco ed il vociare di altri qwaylar intenti a svolgere le loro attività quotidiane fece comparire un sorriso sul volto di Lingua di Serpente.
Mentre era ancora intento ad osservare le varie strutture dislocate intorno al grande fuoco, venne ridestato da una voce alle sue spalle:
“Kia Ora, non ti ho mai visto qui.”
Voltandosi, Lingua di Serpente si trovò davanti una giovane qwaylar di poco più bassa di lui ma che, a giudicare dalle occhiate che gli stava lanciando, sembrava guardarlo dall’alto in basso.
“Kia Ora”rispose“Sono appena arrivato, stavo cercando la capanna del Tlatoani.”
La ragazza lo squadrò ancora per un istante, prima di fargli cenno di seguirla. Proseguirono fino ad una grande capanna su due piani, alla quale si accedeva salendo una piccola scala fatta di canne. Alla fine della scalinata i due procedettero attraverso una porta che conduceva all’interno della grande struttura. La stanza nella quale Lingua di Serpente si ritrovò era molto diversa dalla capanna del Tlatoani che ricordava a Waka Nui: l’ambiente era a malapena illuminato, l’aria era densa di fumi rituali, le pareti ricoperte delle tradizionali decorazioni di ossa e pelli e sul pavimento si potevano notare diversi serpenti che strisciavano. Avanzando lentamente e quasi con timore, Lingua di Serpente si avvicinò ad uno scranno posto sul fondo della stanza, tanto in penombra da non riuscire a distinguere se vi fosse seduto qualcuno.
“Spire Nere, c’è un fratello appena arrivato al villaggio.”
La voce della giovane che aveva condotto Lingua di Serpente fin lì sembrò smuovere qualcosa ed il qwaylar vide un’ombra muoversi sulla grande sedia di legno di fronte a lui. Nell’oscurità fecero capolino due occhi che si posarono su Lingua di Serpente ed in quel momento lui fu come paralizzato: lo sguardo di quello che riteneva essere il Tlatoani, “Spire Nere”, era quasi ipnotico e lo fece sentire totalmente inerme. Nel frattempo la giovane che aveva accolto Lingua di Serpente si era avvicinata al capotribù, fermandosi alla sua sinistra, e con un movimento sinuoso della mano accompagnato da una cantilena incomprensibile fece divampare una fiammata improvvisa da un braciere posto lì vicino. Il bagliore del fuoco illuminò le due figure e Lingua di Serpente poté osservare per la prima volta il Tlatoani di Timata Ora: davanti a lui era seduta sul trono del capotribù una ragazza più o meno della sua età, non molto alta e dal fisico gracile, che continuava ad osservarlo con sguardo distaccato.
“Tutto bene, Tlatoani?”
Una possente voce maschile tuonò alle spalle di Lingua di Serpente, mentre un altro qwaylar entrava nella grande capanna ed incedeva con passo sicuro verso Spire Nere. Lingua di Serpente, sempre immobile, osservò l’uomo fermarsi alla destra del Tlatoani e lo guardò bene: un qwaylar adulto, alto più o meno come lui e dalla corporatura normale. Lingua di Serpente pensò che di certo non poteva essere uno dei migliori guerrieri del villaggio, vista la sua costituzione, così come la giovane alla sinistra di Spire Nere non poteva che essere un’apprendista. Eppure i due si erano disposti ai lati del Tlatoani. E proprio Spire Nere, così come era stata chiamata la Tlatoani di Timata Ora, era la figura che più incuriosiva Lingua di Serpente: come poteva una ragazzina del genere essere il capo della tribù? Come poteva aver guidato sinora gli esuli di Waka Nui e della jungla? Ma quello sguardo che gli aveva raggelato il sangue sembrava nascondere più di quanto gli occhi potessero scorgere.
“Kia Ora, giovane fratello. Io sono Spire Nere, Tlatoani di Timata Ora.” disse la giovane, con una voce fredda che pareva un sibilo.“Questi accanto a me sono Khewe, Hawakan di Timata Ora, e Zannargento, Wakan Pochteca di Timata Ora.”
Lingua di Serpente sgranò gli occhi nell’udire le parole del Tlatoani. Quei due qwaylar al suo fianco erano l’Hawakan e la Wakan Pochteca! Come era possibile che dei fratelli così giovani avessero già l’esperienza, il potere ed il carisma per assolvere a compiti tanto importanti? Osservandoli nuovamente, però, parve percepire una sorta di aura intorno a loro che sembrava capace di instillare un timore reverenziale in chi se li trovasse di fronte. Per non parlare di come si irrigidivano i muscoli al solo incrociare lo sguardo con Spire Nere.
“Se vorrai restare, sei il benvenuto qui a Timata Ora.”e, così dicendo, una lingua biforcuta fece capolino tra le labbra del Tlatoani.
In quel momento, deglutendo a fatica, Lingua di Serpente si chiese se avesse davvero fatto bene a lasciare la jungla per giungere in quel posto.
“Mawu, aiutami e guida i miei passi” pensò il giovane qwaylar mentre, accompagnato dai due Wakan, lasciava la capanna del Tlatoani. Chissà se sarebbe stato capace di adattarsi alla vita in quel villaggio. Non restava che scoprirlo…
Ciclo di Shoixal e Lhuixan (ovvero Lithe, A.I. 284) – Villaggio di Timata Ora
Già da diverso tempo Shoixal e Lhuixan si alternavano con la loro danza nel cielo, tempo che Lingua di Serpente aveva trascorso al villaggio di Timata Ora con gli altri esuli qwaylar. La comunità sembrava aver trovato un suo equilibrio su quell’isola e non aveva scorto alcun segno di rimpianto per aver lasciato la jungla di Waka Nui negli altri fratelli. In quanto a lui, forse perché ancora non si era nuovamente abituato alla vita in compagnia, perché il tempo passato a Timata Ora era ancora poco o semplicemente perché aveva nostalgia di quella che per anni era stata la sua casa, Lingua di Serpente si ritrovava spesso a pensare alla jungla ed a domandarsi se avesse fatto la scelta giusta a lasciarla per riunirsi con i suoi fratelli in un territorio a lui praticamente sconosciuto e nel quale si sentiva un estraneo. Quella parte di lui legata indissolubilmente a Waka Nui, ad un passato che difficilmente sarebbe tornato ed ai ricordi della sua infanzia era ardua da uccidere o quantomeno da soggiogare.
Con questi pensieri in testa, Lingua di Serpente vagava per il villaggio quando venne fermato da un giovane qwaylar che aveva più o meno la sua età. Era visibilmente entusiasta per qualcosa e con voce resa quasi stridula dall’eccitazione si rivolse a Lingua di Serpente:
“Fratello, stasera ci sarà l’adunata intorno al Grande Fuoco. Non vedo l’ora di sentire tutte le storie che la tribù ha da raccontare!”
Ecco dunque il perché di tanto entusiasmo. Quell’annuncio diradò per un attimo la malinconia nel cuore di Lingua di Serpente: era davvero da parecchio tempo che non si sedeva intorno al fuoco con i suoi fratelli ad ascoltare e raccontare storie, e la prospettiva lo mise di umore migliore di quello avuto finora. Forse avrebbe anche trovato qualche risposta nella saggezza delle antiche leggende qwaylar…
“…Ed è così che da quel giorno la pantera Lulla vaga per la jungla, proteggendola dagli invasori e divorando non vista chi osa profanare i nostri luoghi sacri!”
L’anziano terminò la sua storia, passando poi lo sguardo su tutti i presenti con i suoi occhi che sembravano due tizzoni ardenti illuminati dal bagliore del Grande Fuoco. Alcuni tra i più piccoli si strinsero tra le braccia delle madri, quasi spaventati dall’enfasi che il vecchio aveva messo nella sua narrazione. Quando il volto rugoso dell’anziano si aprì poi in un sorriso, tutti furono contenti di quanto avevano ascoltato ed anche i piccoli sino ad allora timorosi esplosero in un urlo di giubilo.
Praticamente tutta la tribù era riunita quella sera intorno al fuoco, compresi i Wakan e la Tlatoani. Fu proprio Spire Nere che, passando in rassegna tutti i presenti con quel suo sguardo glaciale, notò la presenza di Lingua di Serpente. In quel momento sollevò il suo bastone e ne diresse la punta verso il nuovo arrivato, trasformando il confuso vociare che c’era stato sinora in uno strano silenzio.
“Lingua di Serpente”disse “hai una storia da condividere con la tribù?”
Il giovane qwaylar dapprima si trovò spiazzato da quella richiesta, poi la sua mente fece emergere il ricordo di una storia che sua madre era solita raccontargli quando era piccolo:
*** Molto tempo fa tantissimi uccelli dalle forme e colori più disparati abitavano la jungla, così Mawu decise che voleva sapere quale tra questi fosse il più bello. Inviò allora Toniatuh, l’Occhio di Mawu che tutto vede, affinché chiamasse a raccolta tutti gli uccelli della jungla dicendo loro che tra tre cicli di Shoixal si sarebbero dovuti presentare dinnanzi a Mawu e mostrarsi in tutto il loro splendore, così che lui potesse decidere quale uccello fosse il più bello.
Tutti gli uccelli della jungla si diressero allora al Grande Fiume Serpente per lavare le loro piume e cercare la benevolenza di Mami Wata, che pure era considerata il più bello tra gli spiriti. Tre volte Shoixal e Lhiuxan fecero la loro danza nel cielo mentre i volatili si bagnavano nel fiume e lavavano le loro piume, e talmente tanta era la foga con cui lo fecero – al fine di apparire splendenti dinnanzi a Mawu – che moltissime piume dei più variegati colori caddero dai loro corpi. Giunse quindi il momento di presentarsi al cospetto del Grande Spirito e tutti gli uccelli volarono via per raggiungere Mawu.
Tra i molti uccelli che abitavano la jungla vi era però anche il corvo, che non poteva di certo competere con gli altri suoi simili per bellezza ma che sapeva di essere sicuramente il più scaltro. Per tutto il tempo egli era rimasto nascosto tra le chiome degli alberi, osservando gli altri uccelli affaccendarsi per essere i più appariscenti agli occhi di Mawu. Quando vide che gli altri volatili lasciavano il fiume per recarsi al suo cospetto, il corvo scese sulla riva e cominciò a rigirarsi nel fango: la melma di cui si ricoprì era così appiccicosa che, rotolandosi poi nel grande ammasso di piume rimaste lì ai margini dell’acqua, queste rimasero attaccate al suo corpo. Così conciato, il corvo volò veloce verso il luogo del raduno per comparire dinnanzi a Mawu.
Quando arrivò, si trovò davanti una distesa multicolore di ali che sbattevano, becchi che brillavano alla luce di Shoixal e versi e grida e canti emessi da ogni specie di uccello che si potesse immaginare. Apparve dunque Mawu, che fu compiaciuto nel vedere in quanti avessero risposto alla sua chiamata. All’arrivo del Grande Spirito, gli uccelli cominciarono a guardarsi intorno per vedere chi tra loro potesse essere il più bello e molti sguardi si soffermarono su un loro simile che nessuno sembrava aver mai incontrato finora: il suo piumaggio era talmente ricco ed i colori tanto brillanti e variopinti da far impallidire anche il più sgargiante dei pappagalli. Ma questi non era che il corvo, ricoperto dalla moltitudine di piume degli altri uccelli, che si impettì e si fece largo sino ad arrivare dinnanzi a Mawu come a voler decretare la sua vittoria. Toniatuh, che tutto vede e tutto sa e che quindi era a conoscenza dell’inganno del corvo, fece per parlare ma Mawu lo interruppe ed iniziò a parlare a sua volta:
“Avvicinati, uccello dagli infiniti colori. Tutti i tuoi simili pensano che la tua dote migliore sia la bellezza, ma invero la dote che più ti è cara è la furbizia. Ma furbizia non è saggezza ed inganno non è maestria, così come ciò che appare non è ciò che è!”
E così dicendo, le piume dai mille colori che ricoprivano il corvo caddero in terra, rivelando un uccello nero, brutto e sporco di fango. Mawu non amava gli inganni ed il corvo apprese la lezione nel peggiore dei modi: sfidare gli spiriti è la cosa più sbagliata che si possa fare.
Da quel giorno è rarissimo vedere un corvo nella jungla e questo volatile preferisce abitare nell’arido deserto dei Mangiasabbia piuttosto che essere schernito per la sua stoltezza – che credeva fosse astuzia – dagli altri uccelli della jungla. ***
Lingua di Serpente non sapeva per quale motivo gli venne in mente quella storia proprio in quel momento, ma non si sentiva ancora pronto ad aprirsi così tanto con gli altri qwaylar lì presenti.
“No Tlatoani, mi dispiace ma ora non ho una storia da condividere con la tribù.”
Spire Nere fece un lieve cenno di assenso, con la solita aria distaccata, e passò oltre chiedendo ad un giovane Chimalli di raccontare una nuova storia. Lingua di Serpente, ascoltando distrattamente il racconto appena iniziato, ripensò alla storia del corvo. Quando era bambino sua madre gli raccontava questa storia per farlo stare buono, dal momento che Toniatuh poteva vedere tutte le cose sciocche che facciamo, ma ora forse Lingua di Serpente intravedeva un significato diverso nel racconto: sfidare gli spiriti non è mai una buona idea, perché essi sono saggi e la loro guida deve essere accolta come un dono. In fondo si trovava a Timata Ora perché un sogno lo aveva guidato lì ed i sogni altro non sono che messaggi inviatici dagli spiriti. Quella sera Lingua di Serpente non aveva condiviso nessuna storia intorno al fuoco, ma forse aveva ugualmente trovato le risposte che cercava…
Ciclo del Naa’har (ovvero Antedain, A.I. 284) – Villaggio di Timata Ora
Mentre era intento a fissare delle punte di selce su alcune frecce, Lingua di Serpente notò uno strano fermento al villaggio di Timata Ora quel giorno: diversi fratelli e sorelle sembravano più affaccendati del solito e parevano affrettarsi ad andare in questo o quell’altro posto in un frenetico viavai. La spiegazione non tardò ad arrivare perché proprio in quel momento comparve l’Hawakan Khewe e, rivolgendosi a Lingua di Serpente, gli fece un cenno:
“Vieni, usciamo a caccia. Si va nella jungla.”
Non era la prima volta che il giovane qwaylar partecipava ad una battuta di caccia con la tribù di Timata Ora, ma in quell’occasione c’era qualcosa di diverso. Tutti i guerrieri ed i cacciatori chiamati a raccolta indossavano le pesanti corazze di ossa e pelli ed erano armati di tutto punto con lance, pugnali, archi e cerbottane. Lingua di Serpente capì che non si usciva per procurarsi pelli, carne o qualche altra provvista ma doveva esserci dell’altro sotto. Ad ogni modo, rifletté, quella era un’occasione perfetta per dimostrare il suo valore e compiere un passo avanti verso l’essere accolto nella tribù: sino a quel momento, infatti, Lingua di Serpente non era ancora ufficialmente entrato a far parte della comunità di Timata Ora – non sapeva dire se per una sua inconscia riserva o perché ancora non ritenuto degno – ma era ormai persuaso a voler proseguire il suo cammino nella direzione scelta per lui dagli Spiriti, e l’imminente caccia gli avrebbe fornito un ottimo pretesto per dimostrare agli altri fratelli la sua forza.
Finì di sistemare le frecce appena preparate nella faretra ed imbracciò il suo arco, diretto all’imbarcazione che li avrebbe condotti dall’isola di Tortuga alla jungla sul continente.
Il viaggio per mare non durò molto, ma quel lasso di tempo a Lingua di Serpente parve infinito. Si sentiva nervoso – anche perché non era ancora riuscito a scoprire il vero motivo di quella spedizione – e diverse volte il suo sguardo si soffermò sulle tre figure a prua, intente a scrutare l’orizzonte: l’Hawakan Khewe, la Wakan Pochteca Zannargento e la Tlatoani Spire Nere. Proprio quest’ultima era quella che metteva più in soggezione il giovane qwaylar, con quelle sue occhiate quasi distaccate che però erano sempre pronte a cogliere ogni minimo particolare, come a voler giudicare con superiorità ogni azione su cui il suo sguardo si posava. Lingua di Serpente pensò che Spire Nere era la persona più spaventosa che avesse mai incontrato, finchè non venne richiamato alla realtà dal grido di un suo fratello. Terra in vista, cominciava la caccia.
Il gruppo di qwaylar avanzava con prudenza nel fitto della jungla, senza distrarsi neanche per un attimo. Ultimamente l’ambiente sembrava pervaso da una strana frenesia, persino gli alberi parevano più irrequieti e le grida dei temibili draghi verdi che abitavano quei luoghi giungevano più forti del solito. Proseguendo per diverse leghe, il manipolo di cacciatori giunse nei pressi del Tempio di Mawu, ultime vestigia della città di pietra che la follia di Wukamota aveva condotto alla rovina: altro esempio di come fosse sciocco sfidare gli Spiriti ed il loro volere. Lingua di Serpente emise un sospiro ed il gruppo continuò nella sua avanzata, superando l’antico edificio.
Dopo molti passi e molti pericoli, i qwaylar giunsero infine all’estremità orientale della jungla ed alla loro meta. Lingua di Serpente aguzzò la vista e, quando scorse in lontananza quello che sembrava essere un piccolo accampamento, rimase sorpreso. Possibile che qualcuno si fosse stabilito in quell’angolo remoto di jungla? Man mano che ci si avvicinava e le figure divenivano più distinte, il giovane qwaylar comprese chi era stato così ardito da insediarsi in quel luogo: Goblin! Quei piccoli esseri deformi dalla pelle verdastra che amavano rifugiarsi sottoterra ed ammassare oggetti luccicanti. Cosa ci facevano lì?
Lingua di Serpente non ebbe neanche il tempo di riflettere su quel pensiero che in un lampo l’assalto cominciò: il gruppo di qwaylar fu implacabile nell’attaccare il piccolo accampamento e tutti i goblin lì presenti furono uccisi, molti dei quali senza nemmeno accorgersi di chi li stava colpendo e da quale direzione. Avanzando tra i cadaveri di quelle orrende creature, Lingua di Serpente non potè fare a meno di sentire, osservando i suoi fratelli, che la caccia era tutt’altro che finita ed anzi pareva iniziare in quel momento. Spire Nere indicò con la punta del suo bastone una scalinata di pietra che scendeva nel cuore della terra, praticamente invisibile nel mezzo della confusione di quell’accampamento goblin. Che fosse quello il vero motivo della spedizione? Lingua di Serpente lo avrebbe presto scoperto perché il gruppo, senza ulteriore indugio, stava ora scendendo attraverso la scalinata nelle viscere della jungla.
Arrivati in fondo, una volta che i suoi occhi si furono abituati al buio, Lingua di Serpente si guardò intorno: erano in una grotta molto ampia, nella quale era possibile notare segni della presenza di molti altri goblin. Il gruppo proseguì avendo cura di sterminare ogni creatura che gli si parava davanti, sterminio al quale Lingua di Serpente non mancò di dare il suo contributo: voleva ancora impressionare i Wakan e mostrarsi forte agli occhi della tribù. Le sue frecce erano veloci, precise e silenziose e raramente lasciavano scampo ai suoi bersagli.
Avanzando ancora per un’ampia galleria, il gruppo giunse dinnanzi ad un antico edificio di pietra che sembrava costruito nello stesso stile del Tempio di Mawu nella jungla. Lingua di Serpente pareva visibilmente sorpreso nel trovarsi di fronte ad una costruzione simile, soprattutto considerando che erano in una tana di goblin. In quel momento venne affiancato da Spire Nere che, con lo sguardo fisso verso l’edificio, spiegò al giovane qwaylar:
“Qui siamo esattamente sotto al Tempio di Mawu nella jungla. Anzi, questa che tu vedi non è che un’altra parte di quella stessa costruzione, edificata nel cuore di Mati Tata.”
Lingua di Serpente rimase incantato ad osservare la parte sotterranea dell’antico Tempio, emozionato come poche altre volte era stato nella sua vita. Dunque quella non era un rifugio di goblin e la spedizione era stata organizzata per raggiungere quel luogo e rendere onore a Mawu, purificando quel santuario dalla presenza dei profanatori.
“Purtroppo deve esserci una galleria che collega la tana di quelle orrende creature a questa caverna” continuò Spire Nere “perché più ne uccidiamo più ne arrivano.”
Chiunque avesse guardato la Tlatoani in quel momento avrebbe potuto notare l’espressione di puro disprezzo che era dipinta sul suo volto mentre proferiva quelle parole. Lingua di Serpente fu ugualmente colto da un sentimento simile, poiché si rese conto che avrebbe voluto uccidere ogni singolo essere che avesse osato lordare un luogo talmente sacro. Il gruppo di qwaylar, stanchi ma soddisfatti per la battuta di caccia, entrò dunque all’interno di quel tempio per ringraziare Mawu ed onorare gli Spiriti col tributo di sangue che era stato compiuto.
Dopo un breve rito officiato da Zannargento, i qwaylar si rilassarono e, sparpagliatisi all’interno dell’edificio, iniziarono a mangiare, cantare e suonare i tamburi per celebrare la loro vittoria. Mentre gli altri erano assorti nei festeggiamenti, Lingua di Serpente uscì senza essere notato dal Tempio e si diresse verso un mucchio di cadaveri di goblin che erano stati lì ammassati per essere poi bruciati. Il giovane si era comportato bene durante la caccia ed aveva lasciato a terra numerosi nemici quel giorno, ma non era sicuro di aver impressionato gli altri fratelli e così decise di cercare tra i resti dei goblin uccisi un’arma da donare all’Hawakan in segno di rispetto; non doveva essere un rozzo pugnale arrugginito ma una lama degna di un condottiero. Intento a frugare i corpi dei caduti, Lingua di Serpente non si accorse nemmeno dell’essere che era apparso alle sua spalle: un goblin rimasto nascosto sino a quel momento ed ora desideroso di sanguinaria vendetta. Il qwaylar – udito un rumore vicino, troppo vicino a lui – si voltò proprio mentre il goblin gli era a meno di un passo e sollevava il braccio pronto a colpire con un pugnale ricurvo. In quell’istante Lingua di Serpente rimase immobile, non perché impaurito ma perché si era reso conto di aver commesso un errore tanto stupido quanto fatale, e che la fine del suo viaggio stava arrivando. Rassegnato al suo destino, il qwaylar fissò per un’ultima volta i tetri occhi gialli del goblin che lo guardavano con odio e che, in un moto improvviso, si stavano spalancando in modo innaturale: in quel momento il volto della creatura si deformò ancor di più, per quanto possibile, in un’espressione di dolore e paura mentre la sua mano andava a toccare la freccia conficcatasi nella sua spalla. Il goblin emise un urlo feroce in un misto di rabbia e sofferenza, finchè la sua testa non esplose gettando sangue e pezzi di cervella su Lingua di Serpente. Il giovane qwaylar, assolutamente sconvolto, si volse guardando dietro di sé proprio mentre Khewe abbassava l’arco e Zannargento ritraeva la sua mano ancora luminosa e fumante.
Lingua di Serpente si sentì sprofondare. Sapeva di aver fallito.
Tornato al villaggio di Timata Ora, il gruppo di caccia venne accolto con grida di gioia dalla tribù rimasta a Tortuga e quella sera si sarebbe celebrata nuovamente la vittoria, stavolta intorno al Grande Fuoco che ardeva al centro del villaggio. Per tutto il viaggio di ritorno Lingua di Serpente non aveva proferito parola, con lo sguardo fisso sui suoi piedi ed assente, come svuotato da ogni emozione. Ora il giovane vagava senza una meta precisa per il villaggio, sperando di non incontrare nessuno che gli chiedesse della spedizione. Mentre Lingua di Serpente era in quello stato di assoluto sconforto, apparve Spire Nere che avanzò lentamente verso di lui. Il giovane qwaylar non sapeva cosa dire e si vergognava troppo ad affrontare la Tlatoani – che sicuramente era stata informata della sua stupidità – dopo quel che aveva fatto. Quasi balbettando, Lingua di Serpente disse:
“Tlatoani, io…”
Venne subito interrotto con un gesto della mano da Spire Nere, che continuava ad avanzare verso di lui.
“Imparerai.” disse la donna con tono freddo“Benvenuto a Timata Ora, che Mawu ti guidi e ti protegga.”
Così dicendo pose nelle mani di Lingua di Serpente un perizoma di colore verde, simbolo di appartenenza alla tribù. Il giovane osservò l’indumento, restando immobile mentre Spire Nere si allontanava. Avrebbe dovuto essere felice per quanto appena accaduto, eppure Lingua di Serpente era pervaso da una profonda amarezza: ancora una volta aveva avuto bisogno di essere protetto, ancora una volta non si era dimostrato forte…
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