Qui i giocatori di The Miracle lasciano imprese, poesie, narrare eventi e grandi avventure avvenute e in svolgimento su Ardania. Linguaggio strettamente ruolistico.
E’ la sensazione che provi al risveglio da un brutto sogno, in quei pochi attimi in cui non sei del tutto certo di trovarti nella realtà o ancora abbracciato da quelle emozioni notturne. Ti guardi intorno e le ombre che ti inseguivano per ghermirti e dilaniarti anima e carne sembra che siano ancora là, negli angoli bui della tua stanza, pronte a scattare come una pantera sulla preda.
Ma il privilegio dei più è che il terrore svanisce in brevi attimi, quando la tua mente diviene consapevole di esser tornata nei reami della veglia: stessa fortuna non è concessa a coloro che vivono in un incubo lungo anni o decenni e il cui ritorno alla normalità non è certo e di sicuro è altrettanto lungo.
Vivo i miei giorni scrutando gli angoli oscuri delle strade, le forme che la tenebra plasma nella foschia delle foreste e sulle onde del mare nel cuore della notte: ho la sensazione che lui sia lì e che la sua vendetta vorrà abbattersi su di me, io che l’ho abbandonato e ripudiato accusandolo di essere un padre che lascia i suoi figli alla mercé degli eventi. Mi aspetto che prima o poi quelle ombre nei vicoli diventino di carne e sangue e ferro di coltello e vengano ad estrarre la vita dalle mie membra per riconsegnarla a lui.
Il dio oscuro esige vendetta, ma anche io pretendo lo stesso: la strada verso l’equilibrio del Grigio è ancora lunga per me che sono al suo principio, sento ancora il sapore del sangue in bocca e il desiderio di distruggere gli idoli dell’ingannatore. Quando raggiungerò la pace?
Sono settimane che vago in cerca di tutto ciò che lo rappresenta, calando la mia ascia su ossa antiche e maledette, distorcendo l’aria intorno a spettri rancorosi con una melodia straziante: voglio distruggere le sue effigi, voglio dimostrargli che anche un singolo uomo può ferire un dio.
Eppure sento che questa mia sete deve essere presto placata o soddisfatta con altro, ogni giorno che vivo cercando vendetta è un giorno più lontano dal ricevere la grazia del Cieco Veggente.
Mi trovo ad ammettere che questa tragedia ha un suo lato positivo: inizio a studiare i meccanismi del mondo con occhi diversi, sento come se ciò che è bene e ciò che è male siano più chiari dinanzi a me. Forse il Grigio vuole indicarmi una strada da percorrere, osservare il mondo da un punto di vista nuovo per intravedere le imperfezioni che negano il giusto Equilibrio.
E ciò che osservo è palese, l’Equilibrio deve affermarsi nuovamente, ciò che mi circonda sta appesantendo la bilancia da un lato soltanto.
Osservare, apprendere, fare tesoro della conoscenza ed usarla come arma per ripristinare il giusto stato delle cose: che la mia sete di vendetta verso Vashnaar non sia già parte del piano del Cieco?
E’ notte e come al solito vago per i vicoli della città in cerca di qualcosa di non ben definito, come se confidassi nel trovare la risposta in un cumulo di spazzatura o nei comignoli fumanti delle case. Mi sento sempre più sicuro nel muovermi con il favore delle ombre, come se le mie paure iniziali stessero lasciando spazio ad una maggiore lucidità, o forse alla presunzione di poter esser migliore dei suoi assassini. Ma alla fine cado nella riflessione, forse mi do’ ben più importanza di quanta io ne abbia.
Dovrei abbandonare quel desiderio di vendetta, ripudiare la brama di sangue dei miei nemici, dei suoi figli, è qualcosa che non appartiene a me ma ad uno Zenon morto e sepolto. Ma non è facile correggere la propria natura in così poco tempo, per ignorare quella sete devo imparare ad ignorare altrettante sensazioni e sentimenti, concentrarmi solo sull’equilibrio e sulla ricerca del sapere.
La strada mi conduce dinanzi ad una piccola chiesa, mi soffermo ad osservare il rito serale di un sacerdote inserviente, ogni suo singolo gesto e parola, lo facevo prima con morboso interesse quando i miei piedi ancora calcavano la fredda pietra della Torre Nera, lo faccio con ancor maggiore interesse ora studiando quelle usanze che un tempo ripudiavo e volevo distruggere.
Torno sui miei passi, sorseggiando l’aspro liquore sul fondo di una bottiglia ormai morente, e quei passi mi conducono sulla spiaggia dove battelli dormono cullati dalle onde, rassicurati dalle cime che li tengono legati alla terraferma. La macchia di sangue sul fianco di uno di essi, testimonianza di una pesca grossa e fruttuosa, mi riporta alla mente i delitti che compivamo in nome del falso dio, indigeni raccolti in terre lontane e private del loro cuore pulsante solo perché sfortunati eletti da macellai come Draukner e Kurtz.
Sei ancora dentro la mia testa e ammorbi ancora la mia anima, e troverò il modo di sputarti fuori, ma per farlo dovrò distaccarmi da molti, troppi sentimenti.
E mentre mi convinco di ciò frugo nella mia sacca in cerca di altro spirito, tutto ciò che ne viene fuori è un paio di lunghi capelli bianchi, color della neve, e un guanto che profuma di lei.
Sorrido alla mia sconfitta e ad un’altra vittoria dei sentimenti, qualcosa mi dice che non ne verrò mai fuori facilmente.
Distogliere l’attenzione da ciò che ti conduce lontano dalla strada del sapere, per quanto i sentimenti siano importanti devo metterli per ora da parte e tornare al mio dovere: l’ho vista crescere su quell’isola dove la vita sa essere molto amara e le ho donato i primi insegnamenti per renderla più colta, più adatta crescere in luoghi migliori di quello, ho provato e provo amore di fratello - o è forse qualcosa di più? - ma devo saper raggiungere il distacco indispensabile per toccare l’Equilibrio.
Mi ritrovo seduto su uno scranno nella grande sala delle riunioni, nel cuore dell’Accademia, insieme ai Maestri esamino quel misterioso cristallo che per primo trovai, insieme al mio mentore Gerard, nelle viscere delle grotte dei minotauri: a volte penso che quel ritrovamento accidentale sia stato un segno di benevolenza del Grigio, perché è grazie a quell’evento che un nuovo sentiero di indagini si rivela dinanzi a me.
Quell’oggetto fluttuante concentra tutta la mia attenzione su di sé, il suo strano ed ipnotico movimento sembra volermi dire qualcosa: alzo la mano, in attesa che l’Arcimago Notch mi dia il consenso a parlare, ma subito la ritraggo tentando di dissipare ciò a cui avevo pensato, lo sperimentare le reazioni della pietra con le invocazioni di non morti. “Stupido!”, grido dentro la mia mente, qui non siamo più nelle Oscure Sale!
Rinuncio alla parola giustificando il gesto con l’ammissione che la mia idea era troppo strampalata. Ma quella sensazione resta dentro di me.
Attendo con ansia il termine della riunione, morbosamente attratto dall’idea di salpare ed indagare ulteriormente su quel cristallo, navigare nel cuore della notte e trovare le risposte. Ma quella sensazione sta montando come una tempesta: com’era più semplice la vita al servizio del falso dio vivendo di inganni, sangue e violenza.
Mi vengono in mente le parole di Daenar dinanzi alla valle dei morti nell’estremo nord di Ankor: “Nessuno può toccarci e tutti fuggiranno alla nostra vista disperandosi, noi siamo il Dio Oscuro”. E la gente fuggiva, implorava per la propria vita, non osava toccarci. Il potere del nome di un dio sulla bocca dei mortali.
Sento che ora sto cambiando, il vecchio Zenon matto sta lasciando spazio ad un uomo di ragione e freddezza, guardo gli altri che guardano me che sto mutando nelle azioni e nelle parole. Ma la risata oscura del giullare nero che ero un tempo continua ad echeggiare nella mia anima, beffandosi di me e dei miei dubbi, dell’amore che provo per lei e del mio titanico sforzo per raggiungere l’Equilibrio.
Ride di me ricordandomi che non se ne andrà mai dalla dimora della mia anima.
“Zenon, svegliati.”
La voce di mia madre, da anni non la sentivo, dall’infanzia eracliana trascorsa fra la tenda delle cartomanti e le carrozze-serraglio di Herem, il vecchio cacciatore di mostri. La donna era una veggente, rispettata e temuta anche per il pesante cognome di antenati smarritisi nella follia per aver desiderato troppo sapere.
“Zenon, svegliati, il Maestro è arrivato.”
Una madre che per anni dovette subire il tormento dell’esilio dalla sua gente per colpa dell’amore e del suo frutto, un figlio nato dal seme di uno di coloro che gli eracliani più anziani insistevano a chiamare “spiritelli maligni dalle orecchie a punta”, un appellativo su cui non esitavano a sputare.
Una madre che, malgrado la condanna, non privò il suo bambino di un singolo frammento d’amore, consapevole che la punizione sarebbe terminata dopo pochi anni, che tutto sarebbe stato dimenticato o quasi, così le carte affermavano.
“Zenon, svegliati, il Maestro è arrivato e chiede di te.”
La voce materna sembra scivolare nell’oblio mentre apro gli occhi e ancora preda del torpore vedo ergersi dinanzi a me una sagoma ben nota, Hanuras il Consacratore, colui che mi diede in dono sul Nero Altare nella notte in cui la luna fu divorata dalla Torre Nera.
“Zenon, svegliati, è il momento.”
La voce roca di Hanuras, segno di un’età indefinibile, e il sussurrare nelle ombre dei miei nuovi fratelli, il baleno della lama che avrebbe firmato il mio patto di sangue: come sono giunto fin qui? E’ ciò che anche i miei avi hanno vissuto pur di ottenere risposta alle loro suppliche, pur di attingere a fonti che avrebbero placato la sete di conoscenza?
“Zenon…non sei ancora sveglio.”
Strofino gli occhi con la mia mano guantata, incurante dei graffi che le vecchie borchie sul dorso potrebbero provocarmi, ma la voce che sento è diversa, è ancora più…vecchia.
Nessun sussurro nelle ombre ora, solo il crepitio del fuoco che si sta spegnendo ed il canto dei rapaci notturni: sono quasi avvolto dall’oscurità e non sono solo.
“Cosa stai facendo, Zenon?”
E’ un vecchio uomo che mi parla, ma non lo scorgo nelle tenebre, è come fosse intorno a me…o forse dentro di me.
“Ancora legato alle vestigia di una vita sepolta, ancora a tessere intrighi come un malefico ragno, ad ingannare gli altri con la tua maschera da buffone…ma quella vita non c’è più, lo hai dimenticato?”
Io, in bilico fra la follia del giullare e l’ossessione del sapere, vengo accusato di non aver scacciato da me il vecchio Zenon, non del tutto, continuo a dare vita a vecchie abitudini degne del Dio infame che seguivo un tempo.
“Zenon… svegliati.”
Il vecchio mi parla ancora, lo sento camminare a tentoni nel buio della foresta intorno a me, sembra ovunque intorno a me ma il suo passo è incerto, come di un uomo cieco. Eppure lui sembra vedere tutto molto meglio di me.
E mentre la sua voce si allontana insieme ai suoi passi incerti il sole inizia a far capolino tra le fronde, la foschia del mattino gli dà il bentornato.
Cosa sto facendo di me stesso? Prima vivevo in una notte eterna costellata di intrighi, insinuazioni e vite spiate dal buco della serratura.
Ora sono nell’alba, avvolto nel grigiore di quella foschia, so che intorno a me c’è un mondo da conoscere ma per farlo devo vagare in quei vapori, dissiparli dinanzi ai miei occhi consapevole che ad ogni passo ci sarà ancora altra nebbia, ma anche una risposta in più.
Un calcio per spegnere le ultime braci di una strana notte, raccolgo i miei averi, accordo amorevolmente il vecchio liuto, riempio i polmoni con la fredda aria del mattino.
E ricomincio il mio viaggio in bilico tra la follia del giullare e l’ossessione del sapere.
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