- Fri Jun 12, 2020 10:33 am
#21664
L’uomo posò appena uno stivale sul molo ghiacciato e mentre l’altra gamba era ancora nella barca, sputò a terra. Non aprì nemmeno la bocca, lasciando che quel rivolo di saliva fluisse dai denti aperti sul davanti e gli colasse lungo il mento, esprimendo tutto il suo sdegno per quel momento.
“E così è qui che finisce il mondo”, ruggì con voce rauca.
Dietro di lui un uomo avviluppato in pesanti pellicce scure gli fece eco.
“No, qui è dove comincia”, anche la voce del secondo uomo era dura e non lasciava spazio ad emozione alcuna.
“Lo hanno chiamato ultimo approdo, non primo approdo”, l’uomo sputò ancora, questa volta degnandosi di aprire la bocca.
“Punti di vista, tutto dipende da come la si guardi” fece una pausa ed aggiunse distratto “presumo.”.
“Sarà, ma la neve cade sempre verso il basso, punto di vista o meno”.
L’uomo pose fine alla discussione posando i suoi occhi azzurri sul compagno e contorcendo la bocca in un’espressione che non lasciava spazio a risposta alcuna.
Poi i due presero a scaricare le merci dalla loro piccola imbarcazione assicurata al molo. Un silenzio surreale incorniciò la scena, lasciando spazio unicamente all’infrangersi delle onde ed ai sussurri del vento gelido.
Una volta scaricate quasi tutte le provviste, il più grosso dei due si sporse sul ponte, afferrò una cima e puntellandosi con i piedi allo scafo tirò con tutte le forze. Qualcosa urtò contro lo scafo con un rumore sordo, piroettò sopra la sponda e cadde nelle acque gelide del mare. Un secondo strattone fece emerge un'altra figura appesa per i polsi sanguinolenti alla fune. L’umo si passò la fune sopra la spalla e prese ad indietreggiare, tirando verso di sé due fantocci avvolti in quei brandelli di stoffa ormai fradicia.
Una delle due sagome mosse la bocca come per parlare, ma il rantolo di dolore si perse nel soffiare impetuoso del vento. L’uomo rimase voltato e trascinò quegli esseri ormai prossimi alla morte lungo il sentiero che si snodava dal molo.
Infine assicurò la fune insieme ai loro averi ad una delle due slitte caricate oltremisura, e senza voltarsi prese ad avanzare nella neve alta sprofondando sino al ginocchio.
I due prigionieri si riprendevano a tratti, per poi svenire subito dopo. Nonostante le condizioni precarie sembravano ancora aggrappati alla vita, anche se non avrebbero retto per molto.
I corpi tumefatti erano lividi, escoriazioni e bruciature ne segnavano tutta la superficie, attraversando ematomi violacei. I volti erano maschere di sangue, gli occhi gonfi parevano un tutt'uno con le labbra. Alcune articolazioni erano slogate e gli arti presentavano segni evidenti di congelamento.
Osservandoli sembrava impossibile pensare a quelle due sagome come a corpi maschili.
I due camminarono a passo sostenuto nonostante la neve fresca per tutto il giorno. Infine raggiunsero una valle stretta tra due creste innevate. Lì iniziarono la loro discesa, muovendosi con più rapidità mano a mano che la neve lasciava spazio alla terra ancora congelata.
Raggiunsero il fondo di quella valle cieca ormai a pomeriggio inoltrato e con lo stesso silenzio in cui erano immersi da tutto il giorno, presero a scaricare i loro bagagli allestendo un piccolo campo.
I due poveracci vennero assicurati senza troppe precauzioni ad un vecchio albero, conciati in quel modo non si reggevano nemmeno in piedi, figurarsi tentare la fuga.
I preparativi del campo consumarono il resto del pomeriggio, e la frescura della sera prese a serpeggiare lungo la valle, infrangendosi contro le fiamme allestite dai due.
I due uomini vestiti di nero, non si erano più rivolti la parola da quel mattino, le parole che si erano abbaiati a vicenda erano con ogni probabilità le uniche che avevano proferito da chissà quanto tempo.
Mentre i due mangiavano, uno dei due prigionieri prese a lamentarsi sempre più spesso, complice il calore delle fiamme che ne rischiarava il viso tumefatto, sembrava essersi ripreso quel poco da permettergli di agonizzare. Un lamento sinistro, suoni tremendi che esprimevano la sofferenza più pura che come una morsa stringeva ogni parte del suo corpo.
Uno dei due si alzò, prese due pugnali ed usandoli a mo’ di pinza raccolse dal fuoco un tizzone incandescente grande quanto il suo pugno. Avanzò sino all'uomo e con un colpo devastante gli infilò il tizzone contro le labbra, questo spalancò la bocca sprigionando un odore di carne bruciata ed un fumo nerastro, permettendo al suo aguzzino di spingere ancora più in profondità il tizzone.
Il prigioniero svenne e sembrò strozzarsi con il moncherino che gli rimase al posto della lingua.
L’altro uomo si alzò, scocciato di vedersi interrotta la cena. Avanzò sino al prigioniero, gli inclinò la testa infilandoci la mano guantata e sistemò quello scempio, permettendo almeno all’aria di fluirgli lungo la gola e di farlo respirare.
“Ci servono vivi! Ora lasciali stare e spera che questi maghi schifosi non decidano di mollare la schifosa presa sulla loto altrettanto schifosa vita! Sono un dono, non sono per noi, non ancora”.
Come se nulla fosse tornò a sedersi accanto al fuoco e terminò di mangiare la sua cena. Da lì a poco anche l’altro uomo lo raggiunse, levandosi il pesante cappellaccio nero ed usandolo come cuscino si avvolse in una pesante pelliccia, girandosi su un fianco ed addormentandosi subito, lasciando il suo compagno a fissare con sguardo tremendo l’oscurità tutto attorno.
“E così è qui che finisce il mondo”, ruggì con voce rauca.
Dietro di lui un uomo avviluppato in pesanti pellicce scure gli fece eco.
“No, qui è dove comincia”, anche la voce del secondo uomo era dura e non lasciava spazio ad emozione alcuna.
“Lo hanno chiamato ultimo approdo, non primo approdo”, l’uomo sputò ancora, questa volta degnandosi di aprire la bocca.
“Punti di vista, tutto dipende da come la si guardi” fece una pausa ed aggiunse distratto “presumo.”.
“Sarà, ma la neve cade sempre verso il basso, punto di vista o meno”.
L’uomo pose fine alla discussione posando i suoi occhi azzurri sul compagno e contorcendo la bocca in un’espressione che non lasciava spazio a risposta alcuna.
Poi i due presero a scaricare le merci dalla loro piccola imbarcazione assicurata al molo. Un silenzio surreale incorniciò la scena, lasciando spazio unicamente all’infrangersi delle onde ed ai sussurri del vento gelido.
Una volta scaricate quasi tutte le provviste, il più grosso dei due si sporse sul ponte, afferrò una cima e puntellandosi con i piedi allo scafo tirò con tutte le forze. Qualcosa urtò contro lo scafo con un rumore sordo, piroettò sopra la sponda e cadde nelle acque gelide del mare. Un secondo strattone fece emerge un'altra figura appesa per i polsi sanguinolenti alla fune. L’umo si passò la fune sopra la spalla e prese ad indietreggiare, tirando verso di sé due fantocci avvolti in quei brandelli di stoffa ormai fradicia.
Una delle due sagome mosse la bocca come per parlare, ma il rantolo di dolore si perse nel soffiare impetuoso del vento. L’uomo rimase voltato e trascinò quegli esseri ormai prossimi alla morte lungo il sentiero che si snodava dal molo.
Infine assicurò la fune insieme ai loro averi ad una delle due slitte caricate oltremisura, e senza voltarsi prese ad avanzare nella neve alta sprofondando sino al ginocchio.
I due prigionieri si riprendevano a tratti, per poi svenire subito dopo. Nonostante le condizioni precarie sembravano ancora aggrappati alla vita, anche se non avrebbero retto per molto.
I corpi tumefatti erano lividi, escoriazioni e bruciature ne segnavano tutta la superficie, attraversando ematomi violacei. I volti erano maschere di sangue, gli occhi gonfi parevano un tutt'uno con le labbra. Alcune articolazioni erano slogate e gli arti presentavano segni evidenti di congelamento.
Osservandoli sembrava impossibile pensare a quelle due sagome come a corpi maschili.
I due camminarono a passo sostenuto nonostante la neve fresca per tutto il giorno. Infine raggiunsero una valle stretta tra due creste innevate. Lì iniziarono la loro discesa, muovendosi con più rapidità mano a mano che la neve lasciava spazio alla terra ancora congelata.
Raggiunsero il fondo di quella valle cieca ormai a pomeriggio inoltrato e con lo stesso silenzio in cui erano immersi da tutto il giorno, presero a scaricare i loro bagagli allestendo un piccolo campo.
I due poveracci vennero assicurati senza troppe precauzioni ad un vecchio albero, conciati in quel modo non si reggevano nemmeno in piedi, figurarsi tentare la fuga.
I preparativi del campo consumarono il resto del pomeriggio, e la frescura della sera prese a serpeggiare lungo la valle, infrangendosi contro le fiamme allestite dai due.
I due uomini vestiti di nero, non si erano più rivolti la parola da quel mattino, le parole che si erano abbaiati a vicenda erano con ogni probabilità le uniche che avevano proferito da chissà quanto tempo.
Mentre i due mangiavano, uno dei due prigionieri prese a lamentarsi sempre più spesso, complice il calore delle fiamme che ne rischiarava il viso tumefatto, sembrava essersi ripreso quel poco da permettergli di agonizzare. Un lamento sinistro, suoni tremendi che esprimevano la sofferenza più pura che come una morsa stringeva ogni parte del suo corpo.
Uno dei due si alzò, prese due pugnali ed usandoli a mo’ di pinza raccolse dal fuoco un tizzone incandescente grande quanto il suo pugno. Avanzò sino all'uomo e con un colpo devastante gli infilò il tizzone contro le labbra, questo spalancò la bocca sprigionando un odore di carne bruciata ed un fumo nerastro, permettendo al suo aguzzino di spingere ancora più in profondità il tizzone.
Il prigioniero svenne e sembrò strozzarsi con il moncherino che gli rimase al posto della lingua.
L’altro uomo si alzò, scocciato di vedersi interrotta la cena. Avanzò sino al prigioniero, gli inclinò la testa infilandoci la mano guantata e sistemò quello scempio, permettendo almeno all’aria di fluirgli lungo la gola e di farlo respirare.
“Ci servono vivi! Ora lasciali stare e spera che questi maghi schifosi non decidano di mollare la schifosa presa sulla loto altrettanto schifosa vita! Sono un dono, non sono per noi, non ancora”.
Come se nulla fosse tornò a sedersi accanto al fuoco e terminò di mangiare la sua cena. Da lì a poco anche l’altro uomo lo raggiunse, levandosi il pesante cappellaccio nero ed usandolo come cuscino si avvolse in una pesante pelliccia, girandosi su un fianco ed addormentandosi subito, lasciando il suo compagno a fissare con sguardo tremendo l’oscurità tutto attorno.