- Sun May 24, 2020 1:10 pm
#20097
GDROFF// Salve gente, apro questo topic allo scopo di documentare una lunga serie di giocate e racconti. Vorrei però utilizzare questa nota in gdroff iniziale per chiarire alcuni punti:
- Citazioni. All’interno di alcuni post potrei inserire delle citazioni provenienti da libri, film e simili esistenti nel mondo reale. Queste citazioni hanno il solo scopo di introdurre o accompagnare il post ma non avranno nessuna valenza in game. Esse quindi, come anche le loro origini, in game non esistono e non sono mai state pronunciate ne scritte.
- Musica. Moltissimi post potrebbero essere accompagnati da link con della musica di vario genere. Essa serve solo ad accompagnare, non significa che essa esista in game. Qualora io intenda proporre della musica da considerarsi realmente eseguita, questo sarà esplicato nel post stesso e la musica in questione sarà sempre a tema e mai fuori luogo o in contrasto con il bg di TM.
- Immagini. Oltre gli screen, molti post potrebbero essere accompagnati da immagini. Il loro scopo tuttavia non sempre sarà quello di mostrare un qualcosa di apparso in game ma anche di essere puramente decorative. In ogni caso nessuna immagine mostrerà mai un qualcosa di non inerente al contesto o fuori luogo (Es. Un astronave di Star Wars), ma saranno sempre disegni o opere in chiave fantasy e/o medioevale.
- Umorismo. All’interno di un post potrei anche nascondere qualche link a scopo ironico (Es. Un video, un meme, etc). Lo scopo non è quello di mostrare qualcosa di inerente al gioco, ma solo quello di far sorridere. È solo per smorzare la noia insomma. //GDROFF
Prologo – Addentrarsi nel Nulla
“In verità non so perché sono così triste;
mi stanca e voi dite che vi stanca;
ma come l’abbia presa, dove l’ho trovata,
o me la sono procurata, di che sostanza è fatta,
da dove è nata devo capirlo;
e così ottuso mi rende la tristezza
che faccio fatica a conoscere me stesso.”
[William Shekespeare – Il Mercante di Venezia – Atto 1, Scena 1]
Erano le sei di mattina ma Iranon, tra le mura del monastero, era già sveglio. Egli stava seduto su uno sgabello, gomiti appoggiati su un tavolo di legno, e la mente tutt’altro che assonnata si intrecciava in pensieri ambigui e grotteschi. Iranon è un musicista, ed è alla musica che pensava. Di fronte a se il tavolo era ricolmo di fogli e spartiti, e altri ancora erano sparsi alla rinfusa per terra. Mentre una lanterna bruciava crepitando debolmente alle sue spalle, lui scriveva spasmodico note su note, accordi su accori, ma poi cancellava tutto o strappava, o metteva da parte, eternamente insoddisfatto. Era uno stacanovista, Iranon. Da quando quasi due anni fa si era risvegliato dallo svenimento in quel lontano paese rurale, senza memoria, la sua mente aveva fin dal primo momento iniziato a lavorare incessabilmente come alla ricerca di un qualcosa di misterioso, di sconosciuto, di astratto. Come se il suo spirito fosse dilaniato da un bisogno insoddisfatto che in nessun modo può essere compreso. La sua ambigua fede per Althea riuscì solo a sedare quella sensazione; e alla fine egli tentò di seppellirla con lo studio della musica, studio per il quale dimostrò una predisposizione inaspettata. A qualcosa servì, ma ciò nonostante molto spesso si sentiva turbato senza nessun motivo, e al culmine di quella sensazione la sua mente formulava in automatico delle parole per lui stesso incomprensibili: “Sai cosa ci vorrebbe adesso..?” Chiedeva a se stesso. Ma la risposta non arrivava. Eppure bisognava trovarla, ed essendo circondato prevalentemente da persone di un certo tipo, egli chiaramente trovò quella stessa risposta che qualunque materialista avrebbe potuto suggerirgli. Iranon suppose che il suo bisogno non fosse dello spirito ma della carne, e così si provò a soddisfarlo in tal senso. Era questo il periodo in cui non si era ancora stabilito al monastero e girava da una locanda all’altra allo scopo di guadagnarsi qualche spicciolo intrattenendo i loro clienti con musica, canti e balli. E insieme a qualche spicciolo, guadagnò anche qualcos’altro. Invero anche il più impacciato dei musicisti quando inizia a condividere la sua arte riesce ad elevarsi ad un livello di carisma superiore a quello che di norma dovrebbe avere, e di questo le fanciulle se ne accorsero. Ebbe successo. Passò dei bei momenti, questo è certo, e l’appagamento fisico non lo lasciò affatto indifferente. Ma quando un giorno, un mattino, risvegliato dolcemente dai raggi di luce che filtravano dalle imposte di una stanza della locanda di Hammerheim, egli capì che la risposta non poteva essere quella. Scostò le lenzuola e si tirò su a sedere sul letto, provocando un debole gemito di fastidio alle sue spalle. Si tirò su, aprì le imposte e guardò fuori dalla finestra mentre la luce del giorno spezzava la densa oscurità di quella stanza. La città era era ancora dormiente, il cielo era ancora di quell’azzurro elettrico che è possibile notare quando il giorno è ancora giovanissimo, come se la notte cercasse ancora di aggrapparsi ed a rifiutare di cedere il suo nero dominio. Osservò la città. Quella lunga sfilza di edifici lo lasciava indifferente, lo annoiava. Non era questo che i suoi occhi sentivano il bisogno di vedere, e così li chiuse. “Sai cosa ci vorrebbe adesso?” Pensò. E allora fu chiaro che ciò che “ci vorrebbe adesso” non era quel qualcosa che stava lì dietro, distesa sul letto a lamentarsi con voce assonnata di chiudere le imposte perché voleva ancora dormire, perché lui la aveva sfinita, perché era stanca, che se desiderava svegliarla poteva farlo in altro modo, più gradito. Iranon non ascoltava. Erano altre, le voci che le sue orecchie tentavano invano di cogliere. Ancora una volta, era turbato. Ma non era la paura ad annichilirlo, o un banale sentimentalismo. Era soltanto un accresciuta acutezza dei sensi. Sentiva le mattonelle gelide sotto i suoi piedi. Sentiva il vento mattutino accarezzare il suo corpo nudo e portare con se la voce stanca del mare. Sentiva lo sbraitare dei gabbiani che sbottavano al cielo il loro inspiegabile sdegno. Sentiva in lontananza il crudo latrare di un cane spandersi tremante nell’aria. Era come se vi fosse un qualcosa di lontano, lontano, troppo lontano per lui, inafferrabile. Non poteva sentirlo chiaramente e non poteva esserne certo, ma lo intuiva. Un armonia distante, trascendente, che la sua anima anelava con tutte le sue forze ma con la quale in nessun modo poteva fondersi. Era al di là dei suoi sensi: le sue orecchie, la sua pelle, i suoi occhi, il suo olfatto potevano forse indirettamente dedurne l’esistenza ma non potevano realmente coglierla. E anche quel giorno, lì seduto sul suo sgabello, tra le austere mura del monastero, Iranon sentiva il bisogno spasmodico di comprendere qualcosa di incomprensibile. Di conoscere ciò che non può essere conosciuto, di fare ciò che non può essere fatto. E mentre consumava fogli su fogli e note su note sentiva come tutta l’esistenza opporsi a lui, rifiutarlo con sdegno. Era come se ogni granello del suo corpo gli sussurrasse di lasciar perdere, di desistere, di adattarsi a vivere come tutti gli altri vivono. Proprio come quel giorno lontano ad Hammerheim, in cui tutto intorno a lui sembrava sussurgli di voltarsi e tornare dentro e cogliere quanto gli era stato dato. Ma quel giorno Iranon ignorò le lusinghe della sregolatezza e andò via da quella locanda, sottraendosi a stento e con dolore dalla piacevole ma cieca oscurità del vizio. Rifiutò a malincuore quella morbida mano che verso di lui si protendeva, quello sguardo languido che su di lui si posava. Oggi proprio come allora, turbato e deluso, Iranon perseverava a rifiutare la via facile ed a scegliere la più dura e la più dolorosa. E rimase lì, seduto sul suo sgabello, tra le opprimenti mura della sua stanza, perdendosi la primavera che lì fuori si andava compiendo, smettendo senza volerlo di lavorare alle sue composizioni e lasciandosi consumare da pensieri privi di parole e indecifrabili persino a se stesso. Pensieri che parlavano di verità, bugie e desolazione.
- Citazioni. All’interno di alcuni post potrei inserire delle citazioni provenienti da libri, film e simili esistenti nel mondo reale. Queste citazioni hanno il solo scopo di introdurre o accompagnare il post ma non avranno nessuna valenza in game. Esse quindi, come anche le loro origini, in game non esistono e non sono mai state pronunciate ne scritte.
- Musica. Moltissimi post potrebbero essere accompagnati da link con della musica di vario genere. Essa serve solo ad accompagnare, non significa che essa esista in game. Qualora io intenda proporre della musica da considerarsi realmente eseguita, questo sarà esplicato nel post stesso e la musica in questione sarà sempre a tema e mai fuori luogo o in contrasto con il bg di TM.
- Immagini. Oltre gli screen, molti post potrebbero essere accompagnati da immagini. Il loro scopo tuttavia non sempre sarà quello di mostrare un qualcosa di apparso in game ma anche di essere puramente decorative. In ogni caso nessuna immagine mostrerà mai un qualcosa di non inerente al contesto o fuori luogo (Es. Un astronave di Star Wars), ma saranno sempre disegni o opere in chiave fantasy e/o medioevale.
- Umorismo. All’interno di un post potrei anche nascondere qualche link a scopo ironico (Es. Un video, un meme, etc). Lo scopo non è quello di mostrare qualcosa di inerente al gioco, ma solo quello di far sorridere. È solo per smorzare la noia insomma. //GDROFF
Prologo – Addentrarsi nel Nulla
“In verità non so perché sono così triste;
mi stanca e voi dite che vi stanca;
ma come l’abbia presa, dove l’ho trovata,
o me la sono procurata, di che sostanza è fatta,
da dove è nata devo capirlo;
e così ottuso mi rende la tristezza
che faccio fatica a conoscere me stesso.”
[William Shekespeare – Il Mercante di Venezia – Atto 1, Scena 1]
Erano le sei di mattina ma Iranon, tra le mura del monastero, era già sveglio. Egli stava seduto su uno sgabello, gomiti appoggiati su un tavolo di legno, e la mente tutt’altro che assonnata si intrecciava in pensieri ambigui e grotteschi. Iranon è un musicista, ed è alla musica che pensava. Di fronte a se il tavolo era ricolmo di fogli e spartiti, e altri ancora erano sparsi alla rinfusa per terra. Mentre una lanterna bruciava crepitando debolmente alle sue spalle, lui scriveva spasmodico note su note, accordi su accori, ma poi cancellava tutto o strappava, o metteva da parte, eternamente insoddisfatto. Era uno stacanovista, Iranon. Da quando quasi due anni fa si era risvegliato dallo svenimento in quel lontano paese rurale, senza memoria, la sua mente aveva fin dal primo momento iniziato a lavorare incessabilmente come alla ricerca di un qualcosa di misterioso, di sconosciuto, di astratto. Come se il suo spirito fosse dilaniato da un bisogno insoddisfatto che in nessun modo può essere compreso. La sua ambigua fede per Althea riuscì solo a sedare quella sensazione; e alla fine egli tentò di seppellirla con lo studio della musica, studio per il quale dimostrò una predisposizione inaspettata. A qualcosa servì, ma ciò nonostante molto spesso si sentiva turbato senza nessun motivo, e al culmine di quella sensazione la sua mente formulava in automatico delle parole per lui stesso incomprensibili: “Sai cosa ci vorrebbe adesso..?” Chiedeva a se stesso. Ma la risposta non arrivava. Eppure bisognava trovarla, ed essendo circondato prevalentemente da persone di un certo tipo, egli chiaramente trovò quella stessa risposta che qualunque materialista avrebbe potuto suggerirgli. Iranon suppose che il suo bisogno non fosse dello spirito ma della carne, e così si provò a soddisfarlo in tal senso. Era questo il periodo in cui non si era ancora stabilito al monastero e girava da una locanda all’altra allo scopo di guadagnarsi qualche spicciolo intrattenendo i loro clienti con musica, canti e balli. E insieme a qualche spicciolo, guadagnò anche qualcos’altro. Invero anche il più impacciato dei musicisti quando inizia a condividere la sua arte riesce ad elevarsi ad un livello di carisma superiore a quello che di norma dovrebbe avere, e di questo le fanciulle se ne accorsero. Ebbe successo. Passò dei bei momenti, questo è certo, e l’appagamento fisico non lo lasciò affatto indifferente. Ma quando un giorno, un mattino, risvegliato dolcemente dai raggi di luce che filtravano dalle imposte di una stanza della locanda di Hammerheim, egli capì che la risposta non poteva essere quella. Scostò le lenzuola e si tirò su a sedere sul letto, provocando un debole gemito di fastidio alle sue spalle. Si tirò su, aprì le imposte e guardò fuori dalla finestra mentre la luce del giorno spezzava la densa oscurità di quella stanza. La città era era ancora dormiente, il cielo era ancora di quell’azzurro elettrico che è possibile notare quando il giorno è ancora giovanissimo, come se la notte cercasse ancora di aggrapparsi ed a rifiutare di cedere il suo nero dominio. Osservò la città. Quella lunga sfilza di edifici lo lasciava indifferente, lo annoiava. Non era questo che i suoi occhi sentivano il bisogno di vedere, e così li chiuse. “Sai cosa ci vorrebbe adesso?” Pensò. E allora fu chiaro che ciò che “ci vorrebbe adesso” non era quel qualcosa che stava lì dietro, distesa sul letto a lamentarsi con voce assonnata di chiudere le imposte perché voleva ancora dormire, perché lui la aveva sfinita, perché era stanca, che se desiderava svegliarla poteva farlo in altro modo, più gradito. Iranon non ascoltava. Erano altre, le voci che le sue orecchie tentavano invano di cogliere. Ancora una volta, era turbato. Ma non era la paura ad annichilirlo, o un banale sentimentalismo. Era soltanto un accresciuta acutezza dei sensi. Sentiva le mattonelle gelide sotto i suoi piedi. Sentiva il vento mattutino accarezzare il suo corpo nudo e portare con se la voce stanca del mare. Sentiva lo sbraitare dei gabbiani che sbottavano al cielo il loro inspiegabile sdegno. Sentiva in lontananza il crudo latrare di un cane spandersi tremante nell’aria. Era come se vi fosse un qualcosa di lontano, lontano, troppo lontano per lui, inafferrabile. Non poteva sentirlo chiaramente e non poteva esserne certo, ma lo intuiva. Un armonia distante, trascendente, che la sua anima anelava con tutte le sue forze ma con la quale in nessun modo poteva fondersi. Era al di là dei suoi sensi: le sue orecchie, la sua pelle, i suoi occhi, il suo olfatto potevano forse indirettamente dedurne l’esistenza ma non potevano realmente coglierla. E anche quel giorno, lì seduto sul suo sgabello, tra le austere mura del monastero, Iranon sentiva il bisogno spasmodico di comprendere qualcosa di incomprensibile. Di conoscere ciò che non può essere conosciuto, di fare ciò che non può essere fatto. E mentre consumava fogli su fogli e note su note sentiva come tutta l’esistenza opporsi a lui, rifiutarlo con sdegno. Era come se ogni granello del suo corpo gli sussurrasse di lasciar perdere, di desistere, di adattarsi a vivere come tutti gli altri vivono. Proprio come quel giorno lontano ad Hammerheim, in cui tutto intorno a lui sembrava sussurgli di voltarsi e tornare dentro e cogliere quanto gli era stato dato. Ma quel giorno Iranon ignorò le lusinghe della sregolatezza e andò via da quella locanda, sottraendosi a stento e con dolore dalla piacevole ma cieca oscurità del vizio. Rifiutò a malincuore quella morbida mano che verso di lui si protendeva, quello sguardo languido che su di lui si posava. Oggi proprio come allora, turbato e deluso, Iranon perseverava a rifiutare la via facile ed a scegliere la più dura e la più dolorosa. E rimase lì, seduto sul suo sgabello, tra le opprimenti mura della sua stanza, perdendosi la primavera che lì fuori si andava compiendo, smettendo senza volerlo di lavorare alle sue composizioni e lasciandosi consumare da pensieri privi di parole e indecifrabili persino a se stesso. Pensieri che parlavano di verità, bugie e desolazione.