- Sun Mar 22, 2020 10:20 pm
#13270
Inarius Menethil
Capitolo I - Il richiamo
Selvarya smontò da cavallo, legando le redini al recinto che circondava la piccola casa nei pressi di Seliand. Dal camino si levava come sempre del fumo. Era certa di trovare suo zio a lavorare in fucina piuttosto che ad oziare comodamente seduto.
“Come stai Aegil!?” esclamò spalancando la porta del piccolo laboratorio nel quale era collocata la forgia.
Al vecchio per poco non prese un accidente, spaventato da questa improvvisa irruzione. Era da qualche tempo ormai che sua nipote Selvarya aveva lasciato la bottega per recarsi ad Amon ed Aegil non era più abituato ad averla intorno, lei e la sua esuberanza!
“Hai forse intenzione di farmi morire di crepacuore?” tuonò il vecchio, guardando accigliato la giovane. Selvarya era avvezza ai modi burberi dello zio e non si scompose minimamente. “Morire tu? Figuriamoci, lo sai che gli Dei non ti vogliono, sei troppo scontroso!” disse la ragazzina. All’unisono esplosero entrambi in una fragorosa risata e Selvarya si gettò tra le braccia di Aegil. Per la prima volta dopo tanto tempo si sentiva nuovamente a casa…
Selvarya si fermò a cena lì quella sera, e davanti ad un piatto caldo di minestra ebbe modo di parlare apertamente con lo zio:
“Allora piccola mia, come procede la tua vita lontano da qui?”
“Bene” disse, mentre teneva lo sguardo fisso sul suo piatto e lentamente portava alla bocca una cucchiaiata di brodo.
“Selvarya, guardami. Mi sono preso cura di te da sempre e ti conosco. Se reagisci così di certo le cose non vanno bene come dici. Dov’è il tuo solito fuoco, la tua passione?”
“Non l’ho trovato Zio!” sbottò la giovane. “Non ho sentito il calore di Aengus tra le fredde mure e le fiamme della sua forgia mi lambivano a malapena, erano distanti. Com’è possibile?”
Aegil sospirò ed un triste sorriso velò il suo volto. “Sapevo che questo momento sarebbe arrivato, prima o poi… In fondo, a parte per gli occhi che sono quelli di tua madre, sei la sua copia esatta.”
“Che vuol dire Aegil?” chiese la giovane, guardando con aria interrogativa lo zio.
“Tuo padre, Selvarya. Sei tale ed uguale a lui, a Brom.”
Per la prima volta in molti anni Selvarya si rese conto che non sapeva praticamente nulla di suo padre. Da quando i suoi genitori erano morti servendo Amon e lei, praticamente neonata, era stata affidata a suo zio, era la seconda o terza volta che Aegil menzionava Brom. Forse perché suo zio era il fratello di sua madre, o per qualche motivo che Selvarya ignorava, Aegil non aveva mai parlato alla giovane di suo padre né lei si era mai preoccupata di chiedere.
“Tu hai preso il nome della famiglia che io e tua madre portiamo, Volken. E’ una delle poche cose che non hai ereditato da tuo padre. Brom era diverso da noi e tu sei molto più simile a lui di quanto mi piaccia ammettere.” continuò il vecchio. “Vedi, tuo padre abbandonò la sua casa, la sua terra e le sue tradizioni per amore di tua madre e si trasferì con lei ad Amon. Ma nel cuore di Brom, fino al momento della sua morte, ha sempre continuato ad ardere la fiamma di Aengus e nel suo sangue a ribollire il fuoco che contraddistingue la sua gente.”
Selvarya osservò ancora più perplessa lo zio. “Cosa intendi Aegil? Chi era mio padre?” chiese la giovane con insistenza.
Aegil si alzò, dirigendosi verso la cassettiera posta all’angolo della stanza. Aprendola ne estrasse un piccolo involto, che porse a sua nipote. Dal panno Selvarya tirò fuori un ciondolo ornato con i denti di un grande animale, probabilmente un orso. La giovane alzò lo sguardo, dirigendolo verso lo zio, che rispose alla giovane ancor prima che questa potesse porgergli la domanda:
“Tuo padre era un uomo del Nord, la cui famiglia era fedele ad uno dei Clan più importanti da quelle parti, i Valdar. Brom compì un enorme sacrificio per amore di tua madre ed il risultato di quella difficile scelta, beh, sei tu!” sorrise il vecchio. “Evidentemente il tuo attaccamento al Grande Fabbro comincia a risentire della lontananza dalla sua dimora. Credo che sia ora che tu diriga il tuo sguardo più a nord.”
“Quindi ho sangue nordico nelle mie vene… Mio padre… La dimora di Aengus…” Un turbinio di pensieri prese a vorticare nella mente di Selvarya, sconvolta da rivelazioni che non si sarebbe mai aspettata di ricevere. Quella notte, anche se molto stanca, Selvarya non riuscì a chiudere occhio.
Il mattino successivo Selvarya trovò suo zio già in piedi, intento a preparare una colazione frugale. Sul tavolo notò anche una pesante mantella di pelliccia. Osservò Aegil e, senza neanche bisogno di parlare, i due si compresero all’istante. La giovane, evitando di incrociare lo sguardo dello zio per non fargli notare gli occhi velati di lacrime, prese il mantello ed uscì di corsa dalla casa. Mentre già dirigeva il muso del suo cavallo verso nord, si voltò e con il suo solito ardore gridò all’indirizzo di Aegil, che la osservava sulla soglia della porta: “Ci vediamo presto, vecchio brontolone. Ti porterò un otre della migliore birra che tu abbia mai assaggiato!”
E così Selvarya si lasciò alle spalle quella che finora era stata la sua vita, diretta verso le fredde lande del Nord e la fiamma ardente del Dio Aengus. Il clangore metallico del suo martello che batte incessantemente sull’incudine la stava chiamando…

Selvarya smontò da cavallo, legando le redini al recinto che circondava la piccola casa nei pressi di Seliand. Dal camino si levava come sempre del fumo. Era certa di trovare suo zio a lavorare in fucina piuttosto che ad oziare comodamente seduto.
“Come stai Aegil!?” esclamò spalancando la porta del piccolo laboratorio nel quale era collocata la forgia.
Al vecchio per poco non prese un accidente, spaventato da questa improvvisa irruzione. Era da qualche tempo ormai che sua nipote Selvarya aveva lasciato la bottega per recarsi ad Amon ed Aegil non era più abituato ad averla intorno, lei e la sua esuberanza!
“Hai forse intenzione di farmi morire di crepacuore?” tuonò il vecchio, guardando accigliato la giovane. Selvarya era avvezza ai modi burberi dello zio e non si scompose minimamente. “Morire tu? Figuriamoci, lo sai che gli Dei non ti vogliono, sei troppo scontroso!” disse la ragazzina. All’unisono esplosero entrambi in una fragorosa risata e Selvarya si gettò tra le braccia di Aegil. Per la prima volta dopo tanto tempo si sentiva nuovamente a casa…
Selvarya si fermò a cena lì quella sera, e davanti ad un piatto caldo di minestra ebbe modo di parlare apertamente con lo zio:
“Allora piccola mia, come procede la tua vita lontano da qui?”
“Bene” disse, mentre teneva lo sguardo fisso sul suo piatto e lentamente portava alla bocca una cucchiaiata di brodo.
“Selvarya, guardami. Mi sono preso cura di te da sempre e ti conosco. Se reagisci così di certo le cose non vanno bene come dici. Dov’è il tuo solito fuoco, la tua passione?”
“Non l’ho trovato Zio!” sbottò la giovane. “Non ho sentito il calore di Aengus tra le fredde mure e le fiamme della sua forgia mi lambivano a malapena, erano distanti. Com’è possibile?”
Aegil sospirò ed un triste sorriso velò il suo volto. “Sapevo che questo momento sarebbe arrivato, prima o poi… In fondo, a parte per gli occhi che sono quelli di tua madre, sei la sua copia esatta.”
“Che vuol dire Aegil?” chiese la giovane, guardando con aria interrogativa lo zio.
“Tuo padre, Selvarya. Sei tale ed uguale a lui, a Brom.”
Per la prima volta in molti anni Selvarya si rese conto che non sapeva praticamente nulla di suo padre. Da quando i suoi genitori erano morti servendo Amon e lei, praticamente neonata, era stata affidata a suo zio, era la seconda o terza volta che Aegil menzionava Brom. Forse perché suo zio era il fratello di sua madre, o per qualche motivo che Selvarya ignorava, Aegil non aveva mai parlato alla giovane di suo padre né lei si era mai preoccupata di chiedere.
“Tu hai preso il nome della famiglia che io e tua madre portiamo, Volken. E’ una delle poche cose che non hai ereditato da tuo padre. Brom era diverso da noi e tu sei molto più simile a lui di quanto mi piaccia ammettere.” continuò il vecchio. “Vedi, tuo padre abbandonò la sua casa, la sua terra e le sue tradizioni per amore di tua madre e si trasferì con lei ad Amon. Ma nel cuore di Brom, fino al momento della sua morte, ha sempre continuato ad ardere la fiamma di Aengus e nel suo sangue a ribollire il fuoco che contraddistingue la sua gente.”
Selvarya osservò ancora più perplessa lo zio. “Cosa intendi Aegil? Chi era mio padre?” chiese la giovane con insistenza.
Aegil si alzò, dirigendosi verso la cassettiera posta all’angolo della stanza. Aprendola ne estrasse un piccolo involto, che porse a sua nipote. Dal panno Selvarya tirò fuori un ciondolo ornato con i denti di un grande animale, probabilmente un orso. La giovane alzò lo sguardo, dirigendolo verso lo zio, che rispose alla giovane ancor prima che questa potesse porgergli la domanda:
“Tuo padre era un uomo del Nord, la cui famiglia era fedele ad uno dei Clan più importanti da quelle parti, i Valdar. Brom compì un enorme sacrificio per amore di tua madre ed il risultato di quella difficile scelta, beh, sei tu!” sorrise il vecchio. “Evidentemente il tuo attaccamento al Grande Fabbro comincia a risentire della lontananza dalla sua dimora. Credo che sia ora che tu diriga il tuo sguardo più a nord.”
“Quindi ho sangue nordico nelle mie vene… Mio padre… La dimora di Aengus…” Un turbinio di pensieri prese a vorticare nella mente di Selvarya, sconvolta da rivelazioni che non si sarebbe mai aspettata di ricevere. Quella notte, anche se molto stanca, Selvarya non riuscì a chiudere occhio.
Il mattino successivo Selvarya trovò suo zio già in piedi, intento a preparare una colazione frugale. Sul tavolo notò anche una pesante mantella di pelliccia. Osservò Aegil e, senza neanche bisogno di parlare, i due si compresero all’istante. La giovane, evitando di incrociare lo sguardo dello zio per non fargli notare gli occhi velati di lacrime, prese il mantello ed uscì di corsa dalla casa. Mentre già dirigeva il muso del suo cavallo verso nord, si voltò e con il suo solito ardore gridò all’indirizzo di Aegil, che la osservava sulla soglia della porta: “Ci vediamo presto, vecchio brontolone. Ti porterò un otre della migliore birra che tu abbia mai assaggiato!”
E così Selvarya si lasciò alle spalle quella che finora era stata la sua vita, diretta verso le fredde lande del Nord e la fiamma ardente del Dio Aengus. Il clangore metallico del suo martello che batte incessantemente sull’incudine la stava chiamando…

